Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su [email protected]
Ciao a tutti! Non una bellissima SBK, quella dello scorso fine settimana dalla Thailandia, tanto che la materia di discussione, anche tra i nostri lettori, è diventata il regolamento invece della competizione in pista. Sei a zero per la stupefacente e discussa (ma regolarissima) Ducati V4R, che come già accadde in Australia ha un solo mattatore: Alvaro Bautista. Anche la televisione aiuta poco noi spettatori a distanza: “Edorardo” Vercellesi (così nei sottopancia, da correggere) e Max Temporali ce la mettono tutta, ma non basta.
Bisogna notare che il pilota spagnolo ex-MotoGP, l’unico che riesce a spremere la V4R fino ai limiti attuali, pare anche baciato dalla buona sorte: Laverty e Davies stanno lentamente progredendo, ma i problemi tecnici li hanno stoppati sul più bello. Il primo, lo sapete, ha rischiato di farsi molto male e ha dovuto rinunciare alle gare della domenica, il secondo (che resta uno dei miei preferiti) purtroppo fa una gran fatica a cambiare stile di guida; quanto a Rinaldi, il meno esperto, evidentemente gli servono tempo e piste più note. Ma attenzione, checché se ne dica, la rossa è tutt’altro che a posto, il motore è super, ma intorno alla ciclistica c’è ancora molto da fare; in ingresso di curva la moto si pianta, non è scorrevole, appare impacciata persino nelle mani di Alvaro. Al momento insomma non è abbastanza precisa di avantreno ed è impegnativa da guidare, e penso proprio che la Kawasaki di Rea, così ciclisticamente bilanciata e perfetta come appare oggi, su un circuito guidato la lascerebbe indietro. Naturalmente c’è spazio per affinare la quattro cilindri – è giovane - ma non c’è nemmeno tanto tempo perché la prima delle gare europee, quella di Aragón, è qui dietro l’angolo. Tra venti giorni saremo in Spagna: quei 960 metri di dritto basteranno alla V4R per recuperare il tempo che presumibilmente potrà aver perso tra quelle diciassette curve? Questo è forse l’unico tema interessante del prossimo futuro.
Perché siamo qui a discutere delle scelte Ducati, di una moto di serie (garantita due anni a chilometraggio illimitato) che ha fatto impennare il livello tecnico della SBK annichilendo la stessa Kawasaki mattatrice degli ultimi anni; stiamo parlando dello spettacolo che entusiasma solo chi vince, di una Yamaha che si difende bene con tanti piloti da podio. Ma bisogna anche chiedersi dove siano finite la Honda e la BMW: qualcuno sogna che la HRC, in un sussulto di fierezza, possa tirar fuori dal cassetto una RC213-V da produrre in serie limitata nel limite dei 40.000 euro; e che la BMW possa decidere finalmente di esprimere tutto il suo potenziale. Ma alla fine, la domanda più importante da porsi è se davvero, nel motociclismo di oggi, ci sia spazio per due formule mondiali di così alto livello tecnologico e spettacolare. Sedici partenti soltanto nella seconda gara di Buriram, se li ho contati bene, fanno suonare molti campanelli di allarme.
Anche più allarme di quello che circonda Melandri, che improvvisamente litiga con l’avantreno della Yamaha R1 esattamente come litigava l’anno scorso con la Panigale bicilindrica: spaventosi sbacchettamenti in fotocopia, che peraltro i suoi compagni di marca non conoscono. Povero Marco! Viene addirittura da ipotizzare che veramente la moto non sia soltanto un pezzo di ferro, come diceva qualcuno anni fa: forse la moto ha davvero un’anima, e, un po’ come quei cani che si affezionano ai padroni e copiano i loro comportamenti, così pare che la Yamaha cerchi di conquistarsi l’affetto del pilota adeguandosi al suo stile. Lo dico con un po’ di humor ,ma senza voler mancare di rispetto al Macho, che è il migliore dei nostri e sinceramente vorrei rivedere sul podio fin da Aragón.