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Ci sono persone che hanno fatto la storia del mondiale Superbike e non parlo solo di piloti, ma anche di tecnici e team manager. Tra questi quello il cui nome è legato a filo doppio con il periodo d’oro del mondiale delle derivate è certamente Francesco Batta. Il manager belga, che aveva iniziato la sua carriera nel mondiale GP500, ha sempre avuto idee innovative ed è stato artefice di progetti vincenti. Un talento manageriale che non era passato inosservato, tanto che nel 1990 Maurizio Flammini gli aveva affidato la gestione dell’intero mondiale Superbike. In seguito aveva fondato assieme alla moglie Patricia la “Alstare Racing”, squadra che ha debuttato nel 1995 nell’allora campionato europeo Supersport ed aveva iniziato a vincere subito. Prima con Paquay e poi con l’indimenticabile Fabrizio Pirovano. Negli anni la lista dei titoli conquistati dalla squadra belga si è allungata sino a comprende non solo la Supersport, ma anche la Stock 1000 con gli allora giovanissimi Vittorio Iannuzzo e Michel Fabrizio, ed il mondiale Superbike conquistato nel 2005 con Troy Corser e la Suzuki ufficiale. Le fortune del team Alstare sono legate alla casa giapponese, ma anche allo sponsor Corona Extra, birra messicana che Battà contribuì a rendere famosa in Europa, grazie ad mirato lavoro di comunicazione e di iniziative pubblicitarie ad effetto. Oltre all’australiano hanno corso con lui anche Pierfrancesco Chili e Max Biaggi, che nauseato e rifiutato dall’ambiente della GP, venne convinto dal manager belga a vivere una seconda carriera in Superbike. Un colpo da maestro. Il Corsaro quell’anno non vinse il titolo (lo fece successivamente con l’Aprilia nel 2010 e 2012) ma diede lustro a tutto il campionato. Perso lo sponsor messicano il team Alstare restò in Superbike, schierando negli anni Yukio Kagayama, Max Neukirchner, Fonsi Nieto, Sylvain Guintoli, Leon Haslam e ancora Michel Fabrizio. Nel 2013 iniziò una difficile collaborazione con la Ducati, e l’anno successivo l’ennesimo ambizioso progetto: riportare in alto la Bimota. Le moto vanno forte in pista, ma i problemi legati all’omologazione in pista della BB3 rendono inutili gli sforzi dei tecnici e dei piloti e il sogno svanisce. Stanco e con problemi di salute Francesco decide di ritirarsi, sino a questo inverno, quando unendo le forze con il team Gil Motorsport, torna nel paddock della Superbike. Lo abbiamo incontrato all’Estoril.
Come hai trovato questa Superbike?
I tempi cambiano. E non solo in Superbike. Qui ho trovato gli stessi cambiamenti che posso riscontrare nella vita di tutti i giorni. E’ tutto più complicato, più burocrazia e meno umanità. Parlando più dettagliatamente della Superbike posso dire che ora che ho visto da vicino il paddock, le moto e le gare, sono molto stupito dal fatto che questo campionato non abbia il ritorno che merita. Lunedì scorso dopo il primo round di Aragon ho comperato la rivista Marca, una delle maggiori testate sportive spagnole, ed ho cercato la Superbike. Ho trovato solo un articolo di poche righe, che citava solo i vincitori delle gare. E allora mi è venuto spontaneo chiedermi: cosa sto a fare qua?
E cosa stai a fare qua?
A novembre sono stato operato al cuore. Un intervento difficile che poteva anche avere conseguenze molto gravi. Per fortuna si è risolto nel migliore dei modi, e quando ero in ospedale ho avuto modo di riflettere ed ho capito che mi avrebbe fatto molto piacere tornare in quello che per tanti anni è stato il mio mondo, la mia vita. Certo non ho gli stessi obiettivi che avevo prima. Il nostro pilota per ora non può vincere, e guardando la lista dei partecipanti capisco che per noi entrare in zona punti rappresenta già un successo. Però sono riuscito a mettere insieme una squadra valida, fatta di ragazzi che conosco bene, la moto è ottima e poi il sevizio offerto dalla Yamaha è perfetto, con tutte le indicazioni ed i dati necessari. Stiamo facendo un buon lavoro.
Partire dal fondo della griglia. Una situazione nuova per te
Sì è vero. Come sai in passato ho sempre lottato per la vittoria, abbiamo vinto tante gare in tutte le categorie nelle quali abbiamo corso. Trovarsi ora in fondo alla griglia di partenza è un’esperienza nuova e strana. Ma vedremo... stiamo lavorando per fare sempre meglio.
E’ un programma a lungo termine?
Ho ancora dei problemi fisici e non so se riuscirò ad essere qui anche il prossimo anno. Mi piacerebbe restare almeno un'altra stagione, anche perché sono curioso di vedere come sarà la Superbike quando le porte degli autodromi si riapriranno. Nel paddock ci sono grandi strutture, hospitaly stupende ed è un vero peccato vederle vuote.
Quali sono a tuo parere i problemi della Superbike attuale?
I problemi della Superbike sono sempre stati i team manager. Qui ora ci sono due o tre manager molto in gamba. Il responsabile della Yamaha (Andrea Dosoli ndr) è uno di questi, ed ha le idee molto chiare. Gli altri però vivono solo per se stessi. A loro che nel paddock o sulle tribune ci sia tanta o poca gente non interessa più di tanto. Manca professionalità. Non voglio rivangare il passato ma devi sapere che nel mio team il budget che stanziavo per la comunicazione era uguale a quello che dedicavo alla squadra. Spendevo molto in pagine pubblicitarie sulle riviste e sui giornali, organizzavo manifestazioni che coinvolgevano il pubblico, facevo pubblicità al mio team, ai miei sponsor, ma anche alla Superbike.
E l’interesse per il campionato ora è basso.
Purtroppo è vero, e come ti dicevo dipende dalla comunicazione e di conseguenza dalla visibilità in televisione. Se vuoi vedere la Superbike devi pagare, ma vedi solo le gare. Non ci sono approfondimenti, interviste, dibattiti. Nessuno crea interesse per il campionato. In MotoGP si diceva che senza Valentino Rossi l’interesse sarebbe crollato, ma non è stato così, perché hanno costruito un giocattolo che è una macchina da guerra, e non è stata solo la Dorna a crearlo, ma anche i team manager e tutti quelli che lavorano attorno al mondo GP.
Anche la Superbike è gestita dalla Dorna.
Dorna è una grossa azienda, molto professionale, che lavora bene e investe molto nel personale. E’ chiaro però che dovendo gestire anche la GP gli elementi migliori siano impiegati in quel campionato. In molti si chiedono se la Dorna voglia tenere la Superbike ad un livello più basso, che non la voglia far crescere. Io non credo ci sia l’intenzione. Penso piuttosto che sia un fattore congenito, storico. La GP è da sempre il campionato di riferimento, il sogno di tutti i piloti. Per Dorna è un grosso business, il principale ed è chiaro che accentui la propria attenzione ed i propri sforzi sulla GP.
C’è ancora spazio per due mondiali di moto?
Secondo me sì, perché sono due realtà completamente diverse. Purtroppo la Superbike ha perso molto quando la GP è passata al quattro tempi. Tutte le case hanno spostato i loro budget su questo campionato, ma soprattutto è venuta meno la caratteristica che differenziava i due campionati: due tempi in GP e quattro tempi in Superbike. Ciò nonostante ritengo che ci sia spazio per entrambi e lo dimostra l’interesse per la Superbike da parte delle case produttrici.
Un interesse che per fortuna non è diminuito.
No, anzi. Tutte le case, a parte la Suzuki, sono tornate ad interessarsi alle derivate e questa è una grande fortuna per noi. Grazie a loro ho visto team e strutture che non sfigurerebbero nemmeno se confrontati con i top team della MotoGP. Però ritengo che anche le case debbano investire maggiormente sulla pubblicità per creare interesse attorno al campionato. Non è solo la Dorna che lo deve fare.
E a proposito di Suzuki, la casa giapponese è stata legata a filo doppio con il tuo team.
Certamente. E solo ora capisco che mi sarei dovuto ritirare quando la Suzuki ha cessato il suo impegno nelle derivate. Invece ho accettato la proposta della Ducati ed ho sbagliato. La mia mentalità non poteva coesistere con quella della casa di Borgo Panigale, il cui appoggio si limitava alla fornitura delle moto e del materiale. Inizialmente avevamo trovato un accordo interessante che poteva funzionare, ma in seguito all’acquisizione della Ducati da parte di Audi cambiò tutto. A questo va aggiunto il fatto che era il primo anno della Panigale V2, la moto meno vincente della storia della casa italiana. Fu una stagione difficilissima, anche perché venne a mancare il sostegno di quello che avrebbe dovuto essere il main sponsor ed io ci ho rimesso un milione e ottocentomila euro.
E l’anno successivo passasti alla Bimota.
Un progetto che aveva un grande potenziale, ma che invece è finito male. La Bimota era di proprietà di due imprenditori che purtroppo avevano commesso due errori. Il primo è stato quello di sottovalutare l’impegno ed il secondo di aver scelto il motore BMW che era il più costoso in assoluto. Ho spinto molto con la FIM e con Dorna per diminuire il numero di moto che si devono produrre per poter correre in Superbike. Mi ero impegnato anche per quanto riguardava le vendite della moto ed ero arrivato a oltre 100 unità vendute. Alla fine mancavano solo ottanta moto per omologarla per il campionato, ma al momento di investire circa ottocento mila euro per l’acquisto dei motori mancanti la proprietà di Bimota non se l’è sentita ed il progetto è naufragato. Il resto c’era, mancavano solo i propulsori. Anche in questo caso ha avuto un ingente perdita economica, ma al di là di tutto mi è dispiaciuto molto perché sono ancora convinto che quella fosse un’operazione vincente. Tant’è vero che ora Kawasaki ha acquistato il marchio e produce delle special.
Cosa ne pensi dei piloti che attualmente corrono in Superbike?
Il livello attuale è molto alto. Ci sono molti piloti bravi, e poi c’è Jonathan Rea che è un campione di valore assoluto. Non è andato in MotoGP solo perché tutti sanno che è un uomo Kawasaki e poi non è più un ragazzo. Ritengo che sia una fortuna che sia rimasto qui, perché è uno dei pochi piloti Superbike conosciuti a livello mondiale.
E dei piloti che hai avuto nel tuo team quali sono quelli che ricordi ancora?
Innanzitutto Fabrizio Pirovano. Era un uomo straordinario, e non lo dico perché non è più tra noi. Per me è come un figlio. Parlando degli altri ne ho avuto tanti di piloti forti, ma penso che su ci siano Biaggi e Corser. Loro mi hanno fatto vedere cosa significhi saper guidare una moto. Max avrebbe potuto vincere i mondiale già nel suo primo anno in Superbike con la nostra Suzuki. Purtroppo ha commesso qualche errore che gli è costato caro in termini di punti. Ricordo con piacere ed affetto anche i due giapponesi Kagayama e Fujiwara, due grandi personaggi. E poi Stephane Chambon, un pilota che con ogni tipo di moto faceva quello che voleva. Ci siamo sentiti alcuni giorni fa e gli ho proposto di venire ad allenare e aiutare Ponsson. E non posso dimenticare Pierfrancesco Chili che mi ha regalato il primo podio Superbike con la Suzuki. Pilota velocissimo ed ottimo collaudatore.
Portare Biaggi in Superbike fu un capolavoro.
Mi chiedevo: cosa potrebbe far fare un salto di qualità al nostro campionato? Cosa potrebbe dargli più visibilità? E Biaggi è stata la risposta e la chiave del successo. Non solo per il mio team e per i miei sponsor, ma per tutta la Superbike. Avevamo una visione più ampia ed avevamo a cuore la Superbike. Proprio quello che ora manca.