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Era il 3 ottobre 2014 quando intervistai Kenan Sofuoglu a Magny Cours.
Tra le varie domande che gli rivolsi una riguardava il suo Paese, e gli chiesi se ci saremmo dovuti aspettare qualche altro pilota turco in Superbike. Di fianco a noi seduto per terra c’era un ragazzo che giocava ai video games e il Sultano me lo indicò: “Lui correrà in Superbike. E’ più forte di me”.
Pensai ad una boutade del penta campione del mondo Supersport, ma oggi devo dire che aveva ragione: il ragazzo era Toprak Razgatliuoglu.
Era arrivato in Francia assieme a Kenan in automobile da Alanya in Turchia, dopo un viaggio durato due giorni, voluto da Sofuoglu che lo voleva conoscere meglio, dopo averlo visto all’opera in pista ed aver capito da subito il suo talento.
Toprak era salito per la prima volta su una moto all’età di cinque anni spinto dal padre Arif, il più famoso stuntman motociclistico della Turchia, soprannominato Tek Teker Arif (che si può tradurre con: Arif su una ruota sola). Dopo aver vinto quattro campionati nazionali di cross, Toprak passa alla pista nel 2009 a soli tredici anni, e dopo tre stagioni si aggiudica il titolo di campione turco Supersport, correndo contemporaneamente nel nazionale Supermoto e nella Coppa Yamaha R6 in Germania.
Nel biennio 2013/14 partecipa alla Red Bull Rookies Cup che chiude al decimo ed al sesto posto, conquistando una vittoria al Sachsenring.
Il Sultano lo porta a Magny Cours per fargli correre come wild card l’ultimo round dell’Europeo Stock 600. Sesto al termine delle libere, Razgatlioglu termina le qualifiche in seconda posizione per poi vincere la gara. Il tutto senza aver mai visto il tracciato francese e tantomeno la ZX-6R del team Bike Service Racing.
Una vittoria che convince Kenan a puntare sul giovane connazionale, e l’anno successivo lo affida alle cure di Manuel Puccetti che gli fa disputare tutta lo Stock 600. Toprak domina il campionato vincendo le prime cinque gare e mettendosi alle spalle avversari come Michael Ruben Rinaldi, Federico Caricasulo e Augusto Fernadez.
Sofuoglu ha ben chiara in mente la strada da fargli percorrere, che prevede il suo passaggio alla Superstock 1000. Non vuole ripetere l’errore da lui stesso commesso di diventare un “pilota da 600” e lo mette subito su una 1.000. La ZX-10R non è competitiva a livello stock, ma ciò nonostante il ventenne turco chiude al quinto posto nella generale del 2016 ed al secondo nel 2017, cedendo il titolo per soli 8 punti a Rinaldi.
Al termine del campionato lo raggiunge la terribile notizia della morte del padre, in un incidente stradale in moto. Toprak si precipita in Turchia appena in tempo per assistere al funerale, circondato dall’affetto dei suoi cari e con tutta la comprensione da parte di Sofuoglu, colpito a sua volta in passato da lutti famigliari.
Tornando alla pista ormai i tempi sono maturi per fare il grande salto in Superbike, sempre con il Kawasaki Puccetti Racing. Nella classe maggiore l’abilità di guida e le capacità di Razgatlioglu emergono in modo evidente, anche a chi sino ad allora erano sfuggite.
Qualche gara per prendere le misure alla Ninja e poi a Donington a poche curve dal termine di Gara2 supera un certo Jonathan Rea, salendo così sul secondo gradino del podio. In conferenza stampa a chi gli chiede se si fosse accorto di aver superato il campione del mondo soffiandogli la seconda posizione, risponde: “Si, l’ho visto, ma... andava piano”.
Il suo inglese è stentato e fatto di poche parole, con le quali però esprime benissimo i concetti che vuole esporre. Come quando conquista il podio a San Juan Villicum in Argentina e per spiegare questo sue secondo exploit afferma: “Moto good, podium” che tradotto dal 'toprachese' significa: “Datemi una moto competitiva e io vinco”. Chiaro, no?
Chiude la stagione al nono posto assoluto e l’anno successivo resta con la squadra di Reggio Emilia, per completare la sua crescita. Ormai i suoi risultati non stupiscono più. Vince due volte a Magny Cours e conclude il campionato in quinta posizione, con un totale di 13 podi. Al termine della stagione la Kawasaki lo premia con la partecipazione alla 8 ore di Suzuka, una tappa fondamentale della sua carriera, ma non per quanto avviene in pista.
E’ il terzo pilota della squadra ufficiale della casa di Akashi, assieme a Rea e a Leon Haslam, composta dal team KRT del mondiale SBK.
Il team vince la prestigiosa gara endurance giapponese, ma Toprak non scende mai in pista. Sofuoglu lo interpreta come una beffa, un boicottaggio nei confronti del suo pupillo, che avrebbe potuto essere parte di una vittoria che gli avrebbe permesso di entrare nel cuore della casa giapponese, ma che ne è stato invece ingiustamente escluso.
Non sapremo mai come sono realmente andate le cose. Da tempo si parlava di Razgatlioglu come possibile sostituto di Haslam nel team ufficiale, e questo non avrebbe di certo fatto piacere a Rea che si sarebbe trovato in casa un avversario alquanto scomodo. C’era però anche chi sosteneva che il giovane turco, da sempre pilota Red Bull, non avrebbe potuto correre in una squadra sponsorizzata Monster, e che quindi il Sultano avesse colto la palla al balzo per sbattere la porta in faccia alla Kawasaki (che tra l’altro non è presente in MotoGP) per abbracciare la causa Yamaha nel 2020.
Nei test invernali Toprak fa subito faville con la R1, guidandola con naturalezza, come se lo avesse sempre fatto. Il suo debutto non potrebbe essere migliore, visto che si aggiudica Gara1 a Phillip Island, e diventa immediatamente il pilota di punta della casa dei tre diapason.
Forte e talentuoso, ma non ancora completo. Con la gomma da tempo e quando la pista è bagnata, il turco non riesce ancora ad esprimersi ai massimi livelli. Ma i campioni imparano in fretta e nell’ultimo round all’Estoril la Superpole è sua. Chiude la stagione al quarto posto con 3 vittorie e 9 podi.
E siamo a quest’anno. Toprak è ormai un pilota completo, un talento naturale come se ne vedono pochi, unito ad una grande professionalità, ad un coraggio e ad una grinta spesso al limite della correttezza. Non guarda in faccia a nessuno e corre per vincere.
Non mi interessa il campionato, afferma dopo ogni gara vinta, io parto per vincere tutte le gare. Le lamentele di Scott Redding e le critiche di Rea non intaccano la sua imperturbabile convinzione nei propri mezzi e nella sua superiorità.
Non parte fortissimo, e per la sua prima vittoria bisogna aspettare Gara2 a Misano. Torna da Donington con un doppio successo, ma ad Assen si deve arrendere all’irruenza di Garrett Gerloff che lo fa cadere alla prima curva, mentre il sei volte campione del mondo vince tutte e tre le gare.
Ma da Most in poi Toprak non scende più dal podio ed inizia un braccio di ferro memorabile tra lui e Jonny, tra il 'vecchio' campione ed il giovane rampante. Razgatlioglu riesce a rompere un dominio che durava da sei anni, ma a tener vivo il campionato ci pensano l’impressionante determinazione del pilota nordirlandese e... la Yamaha.
La R1 lo lascia a piedi a Barcellona per un problema elettronico e poi lo butta in terra a Portimao, quando il suo parafango anteriore si stacca e si infila nella ruota anteriore. Senza queste tre caselle vuote nella sua classifica, forse, il campionato si sarebbe concluso prima dell’ultimo round di Mandalika, al quale Razgatlioglu è arrivato con un vantaggio di 30 punti nei confronti di Rea, frutto di 13 vittorie e 28 podi.
In Indonesia Toprak ha dimostrato di possedere un gran sangue freddo. Dopo il rinvio di Gara1 causa pioggia e dopo che la stessa aveva fatto la sua comparsa anche prima della partenza della gara decisiva, il giovane turco non ha mai perso la concentrazione e come aveva promesso ha fatto una gara tutta all’attacco senza fare calcoli, tanto da far segnare il giro veloce al penultimo passaggio.
E sempre tenendo fede a quanto aveva dichiarato, ha dedicato il titolo al padre scomparso nel 2017. Commovente il suo abbraccio con Sofuoglu, suo padre sportivo, così come quello con Rea, campione anche di sportività.