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“Gianfranco sei già sull’isola?” “Ancora no”. Questo è l’ultimo messaggio che ci siamo scambiati. Ero in partenza per Phillip Island e pensavo che ci saremmo visti presto. Purtroppo non è stato così. In Australia non c’eri ed in seguito non hai più risposto ai miei messaggi, perché stavi dirigendo una gara diversa dalle solite. Una gara impari che hai comunque condotto con il tuo stile e la consueta riservatezza. Anche se eri più giovane di me tu eri un fratello maggiore, con il quale mi confrontavo spesso per avere un parere onesto ed autorevole, da chi come me aveva a cuore solo il bene della superbike.
“Sei un bravo ragazzo, peccato che tu sia interista” mi prendevi in giro, tu che eri un anomalo milanista di Roma. “Tu sei nato lo stesso giorno di mia moglie - gli restituivo la battuta - vedi che almeno qualche merito ce l’hai?”. La gioia di vederci e di trascorrere un poco di tempo insieme scatenava la nostra ironia, che ora mi mancherà tanto. Mi mancheranno i tuoi sfottò, accompagnati da quel sorrisetto che faceva trasparire tutta la tua bontà d’animo.
Mi sono voluto fare del male ed oltre ad ascoltare alcuni dei mille messaggi che ci siamo scambiati su Whatsup, sono andato anche a rivedere la video intervista che ti avevo fatto circa due anni fa. Non era stato facile convincerti, perché eri una persona riservata, tanto importante per il nostro mondo quanto poco incline all’apparire. Non ti si vedeva molto in giro per il paddock, ma sapevamo che eri sempre al tuo posto, a far valere le regole, con fermezza ma anche con umanità. E per questo tutti ti volevamo bene.
Voglio ricordarti con le parole con le quali hai chiuso la nostra intervista, che se da una parte mi fanno venire le lacrime agli occhi dall’altra mi consolano, perché siamo riusciti a fare la vita che volevamo, coltivando la nostra passione: “Mi ritengo molto fortunato di fare questo lavoro e di lavorare in questo campionato. Non potrei chiedere altro”.