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Scott Redding è senza dubbio un bel personaggio, fuori dagli schemi e mai banale. E’ uno spirito libero, che mal si adatta alle regole ed alle imposizioni, ma è anche un serio professionista. L’abbiamo incontrato a Barcellona, alla vigilia di un round forse non decisivo, ma sicuramente molto importante per l’assegnazione del titolo mondiale Superbike 2020.
A Phillip Island hai iniziato in modo cauto, puntando al podio, ma senza prendere troppi rischi. Ritieni ancora che sia stata la tattica giusta?
Non rinnego nulla di quello che ho fatto a Phillip Island. Ero al debutto e salire tre volte sul podio è stato molto positivo.
Forse con qualche test o qualche gara in più una di quelle gare l’avrei anche potuta vincere, ma il mio obiettivo primario era quello di imparare il più possibile, per poi spingere più forte nelle gare successive.
Bisogna capire il momento e le diverse situazioni, ed io a Phillip Island non sono solo salito sul podio, ma ho anche trovato un buon feeling con la moto e con la squadra, tornando in Europa al secondo posto della classifica del mondiale.
Dopo la caduta al Motorland hai accusato il colpo
Più che accusare il colpo mi si è proprio spezzato il cuore! Ero davvero sconvolto ed arrabbiato perché non me l’aspettavo. Ero concentrato sulla vittoria ed è stata una caduta del tutto imprevista, che ha spazzato via tutti i miei programmi.
Erano tanti anni che non mi capitava di veder sfumare un obiettivo proprio quando lo stai per raggiungere. Inizialmente ero molto in collera con me stesso e moralmente a pezzi.
Pensavo che il campionato fosse ormai perso. Però in seguito ho parlato con la squadra ed ho capito che il campionato non è ancora finito e che dobbiamo continuare a lavorare duro, a crederci e a lottare.
Non mi sembri un pilota che cade molto
Normalmente non cado spesso. Corro per fare punti, perché i punti portano i premi, le vittorie. Nelle prove cerco di lavorare con l’obiettivo di sentirmi a mio agio sulla moto, per guidare come preferisco e per evitare errori.
Purtroppo ad Aragon non è andata così. Nelle prove avevamo avuto dei problemi con la moto in alcuni settori della pista. Non ero a posto, e quindi avevo due possibilità: lottare per una delle prime sei posizioni oppure provare a spingere forte per salire sul podio. Se vuoi vincere il campionato devi sempre lottare per il podio, senza accontentarti. L’ho fatto e sono caduto. Però ti posso dire che non è stato per colpa mia. Abbiamo avuto problemi con la gomma anteriore. Ho controllato mille volte i dati con il mio team, e non ho fatto assolutamente nulla di diverso rispetto a quello che facevo nei giri precedenti. Esattamente gli stessi dati, sempre.
Quella volta però la gomma anteriore ha perso improvvisamente aderenza e sono caduto. La gomma era arrivata, e se non fossi caduto in quel giro sarebbe comunque successo qualche giro dopo.
C’è qualcosa che la Ducati o il tuo team potrebbero fare per aiutarti?
Si può sempre migliorare e fare di più, ma sono completamente soddisfatto del supporto del mio team e di quello della Ducati. Stanno facendo il massimo che possono fare. Credo fortemente nel nostro team. Lavoriamo tutti nella stessa direzione per mettere a punto la nostra moto nel miglior modo possibile e per vincere le gare. Nella mia carriera non ho mai fatto parte di una team e di un azienda così forti e motivati.
Che livello hai trovato in Superbike? Cosa pensi dei tuoi avversari?
Il livello è buono, ma non riesco a paragonarlo a quello della GP, perché qui dispongo di una moto competitiva. Se avessi avuto una moto competitiva anche in GP allora potrei dire che forse là il livello è più alto, ma purtroppo non è stato così. Non posso dire che se i piloti della Superbike andassero in GP sarebbero ugualmente competitivi, perché stiamo parlando di due campionati diversi.
Loris Baz è andato in GP, ma ha avuto una moto che andava bene solo per andare a passeggio, e ora che è tornato qui sta andando forte, anche con una moto che non è ufficiale. Penso che passare dalla SBK alla GP non sia facile perché qui le moto sono meno veloci, meno potenti e le gomme più facili da gestire. Credimi, in MotoGP si rischia molto in ogni curva e va tutto bene se hai una moto competitiva ed un buon feeling con la stessa.
Se invece spingi sempre al massimo, ma la tua moto non è competitiva allora i risultati non arrivano e può anche capitare di perdere fiducia in te stesso. In Superbike mi ha sorpreso il controllo della gara che hanno molti piloti. Nel BSB era abbastanza semplice per me capire cosa avrebbero fatto i miei avversari, e di conseguenza come avrei potuto replicare. Qui invece ci sono piloti esperti, che corrono da molti anni in questa categoria e che hanno sempre il controllo della situazione.
Come è stata la tua esperienza in MotoGP?
Per dirtelo in poche parole, non ho mai avuto una moto che mi permettesse di competere per le prime cinque posizioni. In Aprilia inizialmente credevo nel progetto, ma ben presto mi sono reso conto che non c’era una reale volontà di vincere, e che sarebbe stato inutile rischiare la vita senza aver nessuna prospettiva di successo.
In Pramac la situazione è stata diversa. Il team era fantastico e mi sono trovato subito molto bene con loro. Purtroppo la moto non era competitiva, e spesso era quella utilizzata dagli ufficiali l’anno precedente. Quando me ne sono andato hanno iniziato a ricevere moto molto simili a quelle ufficiali. Era una situazione ideale se avessi avuto l’obiettivo di entrare nella top ten, ma io avrei voluto giocarmela con i migliori piloti al mondo, che dispongono di un grande talento.
Purtroppo non puoi lottare con loro se disponi di un mezzo inferiore. E’ stato un peccato. Ma ora sono in Superbike, dove ho una moto competitiva e posso lottare per il titolo.
Non deve essere stato facile passare dalla MotoGP al BSB
No. E non è stato nemmeno l’unico momento difficile della mia carriera. In passato ho avuto alcuni incidenti e mi sono rotto qualche osso, ma dentro di me ho sempre avuto la consapevolezza di poter vincere.
Sono un pilota molto eclettico, che si adatta in fretta. Non potevo pensare di andare a correre nel BSB e prendermi un anno per imparare le piste, anche se sono effettivamente difficili e pericolose. Allo stesso modo non voglio dire “è il mio primo anno in Superbike e devo fare esperienza”. Sono solo scuse. Nella SBK inglese ho corso su piste che non sapevo nemmeno che esistessero, ma ho vinto. Ho fatto capire alla gente che io sono uno che vince anche senza conoscere le piste o gli avversari. E la stessa cosa sta succedendo qui in Superbike. Voglio che tutti capiscano che quando ho una moto competitiva io sono un vincente.
Che ne pensi delle corse stradali, come il TT?
Non sono corse che fanno per me. Massimo rispetto per chi ci partecipa, ma il gioco non vale la candela. I rischi sono troppo elevati. Potevano andare bene in passato, ma ora hanno poco senso.
Quali sono le principali differenze tra la tua Panigale al BSB e quella che utilizzi qui nel mondiale?
Quella più evidente riguarda l’elettronica, in quanto in Inghilterra non avevo il controllo del freno motore o l’anti impennamento e questo rendeva la moto divertente da utilizzare. Qui la mia Panigale è più curata, più evoluta, ma è sempre una Panigale.
Prima che tu arrivassi in SBK non ti conoscevo. Qualcuno ti dipingeva come una ragazzo molto estroverso, un poco matto. Mi sembra invece che tu sia una persona di carattere ed un ottimo professionista, a parte il fatto che a volte dici qualche parolaccia.
Devo dire che sono in parte d’accordo su quello che ti hanno detto, ma di certo sono una persona sincera e spontanea. Io sono sempre me stesso, in pista come nella vita. Di certo non sono banale o scontato e dico sempre quello che penso. Per questo qualcuno può pensare che io non sia un professionista, perché a volte rompo le regole, ma mi devo giudicare come pilota, per quello che faccio in pista.
Il mondo delle corse, sia in moto che in auto, è diventato piatto e i piloti dicono tutti le stesse cose. Preferivo quando si fumavano una sigaretta in griglia e facevano a cazzotti con i loro meccanici per poi andarsi a bere una birra insieme.
Sono oltre nove anni che la Ducati non vince il mondiale SBK. Senti il peso della responsabilità di dover riportare il titolo a Borgo Panigale?
Lo scorso anno ci sono andati molto vicini e anche in MotoGP stanno facendo un grande lavoro, ma non sono ancora arrivati a vincere il mondiale. Riportare il titolo a Bologna sarebbe la più grande soddisfazione della mia vita, ma non sento la pressione di doverlo fare. E’ assolutamente determinante che il team e l’azienda abbiano una grande voglia di vincere. Se non avessero questo desiderio, questa forte motivazione non potrei correre per loro.
Ad Aragon sono caduto, ma la gara successiva l’ho vinta io, perché avevo una grande motivazione che mi era stata trasmessa anche dal team. Qui tutti vogliono vincere: io, il team, la Ducati e lo sponsor Aruba. Non è un peso, ma un grande stimolo.
Nel tuo contratto c’è una clausola che prevede un tuo ritorno in GP nel caso tu vinca il titolo SBK? In altre parole vedi questo campionato solo come un mezzo per tornare in GP o sei contento di essere qui?
Non c’è nulla di scritto. Se vincessi il titolo potrei andare in GP, ma potrei anche restare qui a difendere il mio titolo. Il mio obiettivo è quello di vincere adesso in Superbike e non penso a cosa potrà succedere dopo.
Non escludo di poter tornare un giorno in GP, nel qual caso mi piacerebbe dimostrare di poter essere vincente anche in quel campionato. Certo dovrei essere sicuro di avere una moto che mi permetta di farlo. Parlando della Superbike mi piace molto questo paddock, nel quale solitamente la gente può entrare. Qui noi piloti siamo più vicini alla gente, possiamo parlare con loro. In GP sei sempre sotto osservazione e ti giudicano per qualsiasi cosa tu faccia. In SBK l’ambiente è decisamente più rilassato.