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Aruba è una delle novità del mondiale Superbike 2015. La società italiana con sede ad Arezzo è una bella realtà dell’economia italiana, con le caratteristiche tipiche delle imprese del nostro paese, che uniscono l’ingegno e la fantasia alle indubbie capacità imprenditoriali. Aruba S.p.A. offre servizi di web hosting, e-mail, registrazione di domini, servizi di posta elettronica, connettività, housing, server dedicati, virtual private server, servizi di posta elettronica certificata (PEC), firma digitale, e ultimamente anche soluzioni di Cloud Computing, Private Cloud e Cloud Object Storage.
Da quest’anno la famiglia Cecconi, che ha creato e gestisce l’azienda italiana, ha scelto di entrare a far parte del mondo della Superbike, dando così sfogo ad una passione che da sempre anima il suo A.D. Stefano. Lo abbiamo incontrato al Motorland Aragon, poche ore prima che Chaz Davies portasse per la prima volta alla vittoria la Panigale e l’Aruba.it Racing – Ducati SBK Team.
Come è nata Aruba?
«Aruba è nata alla fine del 1996 quando non era facile aver accesso a Internet. Visto che anche noi avevamo il problema di collegarci ad Internet, abbiamo deciso di fornire noi l’accesso alla rete ed abbiamo quindi iniziato un’attività collaterale nell’azienda di mio padre. La società di famiglia sino a quel momento progettava e commercializzava impianti e tecnologia per la costruzione di traverse ferroviarie. Impianti ad alta automazione che venivano venduti in tutto il mondo. Nel 2000 abbiamo deciso di dedicarci solo ad Internet. Siamo nati vendendo l’accesso ad Internet, come provider a pagamento, in un mercato che era pieno di piccole realtà locali come la nostra».
Ma proprio in quegli anni l’accesso ad internet divenne gratuito
«Esatto proprio nel 2000 nacquero Tiscali e Libero, che offrivano un accesso gratuito a Internet. A quel punto abbiamo dovuto cambiato la nostra attività. Dal vendere l’accesso ai nostri clienti siamo passati ad ospitarne i contenuti, come i siti web o la posta elettronica e abbiamo iniziato anche a registrare i domini. Visto poi che le esigenze crescevano, nel 2003 abbiamo costruito un primo data center, un’infrastruttura per ospitare i nostri macchinari e quelli dei nostri clienti. Quasi tutte le aziende, piccole o grande che siano, fanno ricorso all’informatica e molti decidono di farla gestire a noi.
Dal 2007 in poi ci siamo impegnati anche in un altro ambito chiamato web-security e che riguarda ad esempio la posta certificata, la firma digitale e la fatturazione elettronica. Infine siamo i produttori delle tessere sanitarie italiane. Abbiamo vinto le gare ed i bandi pubblici e ad oggi ne abbiamo prodotte oltre 50 milioni».
Da cosa pensi sia dipeso il successo della tua azienda?
«Siamo partiti nel momento giusto ed abbiamo fatto le scelte giuste, ma abbiamo scelto un modello commerciale che si è rivelato vincente. Sin dall’inizio abbiamo proposto i nostri servizi ad costo accessibile a tutti. Calcolato il nostro costo e dopo averci aggiunto un giusto margine di profitto, lo abbiamo immesso sul mercato. Non abbiamo mai pensato a quanto i clienti sarebbero stati pronti a spendere , ma abbiamo valutato i nostri prezzi in base ai costi reali e ad un giusto profitto. Questo ci ha permesso di rendere disponibili a prezzi popolari servizi per i quali altri chiedevano cifre molto elevate e accessibili a pochi. Abbiamo proposto siti internet a meno di 25 euro, rendendo così possibile anche alla piccola impresa o all’artigiano la realizzazione del proprio spazio sul web. Possiamo dire di aver “democratizzato” Internet».
Siete cresciuti molto, ma siete rimasti un’azienda a conduzione familiare.
«Il Consiglio di Amministrazione di Aruba è formato dalla nostra famiglia. Siamo andati sempre avanti con la mentalità definita “del contadino”. Abbiamo fatto i passi secondo la gamba ed investito sempre meno di quello che guadagnavamo. Questo per dare solidità economica all’azienda, secondo una filosofia che ci permette di continuare ad investire anche in periodi difficili come quelli attuali, nei quali altri non lo possono fare».
E le corse? Come rientrano in questa filosofia aziendale?
«Quello delle corse è un progetto nato per vari motivi. Se ti rivolgi ad un mercato internazionale, ad un grande numero di potenziali clienti, devi essere visibile proprio a livello internazionale. Quando ci serviva un ritorno a livello nazionale abbiamo sponsorizzato il Torino calcio, che abbiamo accompagnato dalla serie B alla A. Ora invece stiamo cercando di replicare sui mercati esteri quello che abbiamo fatto in Italia e quindi dobbiamo internazionalizzare anche la nostra visibilità».
Perché le corse motociclistiche? Vai in moto?
«Sono motociclista e Ducatista. Ho sempre seguito sia la GP che la SBK, e la mia passione è condivisa anche dal resto della famiglia».
Il mondiale delle derivate dalla serie in Italia viene trasmesso da una rete nazionale visibile a tutti e non a pagamento, ma soprattutto ha una dimensione più semplice
Perché la SBK e non la GP?
«Il mondiale delle derivate dalla serie in Italia viene trasmesso da una rete nazionale visibile a tutti e non a pagamento, ma soprattutto ha una dimensione più semplice. In questo campionato possiamo invitare i nostri clienti e fargli vivere l’atmosfera del paddock e dei box, possiamo farli parlare con i nostri piloti. E poi è anche una questione di costi, di investimenti. Le cifre necessarie per avere una buona visibilità in Superbike per noi hanno un senso, mentre quelle che ci venivano richieste dalla MotoGP erano troppo elevate e poco consone alla nostra realtà».
Però per il team Ducati non siete solo sponsor, ma anche parte attiva della sua gestione.
«Quando abbiamo deciso di entrare nel mondo della Superbike abbiamo contattato Luca Scassa, nostro concittadino e pilota di questa categoria. Inizialmente volevamo creare un team privato e per questo motivo ci siamo rivolti ad alcuni produttori, ai quali però abbiamo richiesto non solo le moto, ma anche un supporto tecnico da team ufficiale. Meccanici ed ingegneri di pista. In breve tempo la nostra scelta si è ridotta a due aziende: Aprilia e Ducati. La casa di Noale però in quel periodo non aveva ancora deciso cosa fare in Superbike. Comunque la motivazione più importante che ci ha portato a scegliere Ducati è legata alla lunghezza del nostro progetto, che è di almeno tre anni. Non avrebbe avuto senso investire per un periodo minore. Ducati ci ha garantito questa continuità».
Però eravate ancora dell’idea di creare un team privato
«Esatto e da team privato, pensando di utilizzare moto Ducati, abbiamo però realizzato che non solo saremmo stati uno dei vari team privati della casa di Borgo Panigale, ma saremmo stati gli ultimi arrivati. Da imprenditore, che investe per ottenere il massimo possibile, questo non mi piaceva. A questo punto però ci fu un’apertura importante da parte della casa di Borgo Panigale, che ci prospettò la possibilità di iniziare a lavorare insieme. Inizialmente per fare la necessaria esperienza ed in seguito per valutare la possibilità di gestire il loro team ufficiale. Non sarebbe stato un semplice rapporto cliente-fornitore, ma qualcosa in più».
Era quello che volevate.
«Sì, ma a dare la svolta definitiva al nostro progetto pensò l’ing. Marinelli. Ernesto ci chiese quale senso potesse avere la creazione, con tanta fatica e tramite importanti investimenti, di un buon team clienti che poi avrebbe potuto portare alla gestione della squadra ufficiale. Perché disperdere energie? Non era più logico che Aruba e Ducati unissero subito le forze e le reciproche risorse economiche a favore del team ufficiale? Una proposta che ha incontrato subito il nostro parere favorevole anche perché è stato facile trovare il giusto equilibrio tra le nostre e le loro necessità. A noi non interessava certamente avere la gestione tecnica del team, che lasciamo con piacere e completa fiducia all’esperienza ed alle capacità tecniche della casa italiana. Noi chiedevamo di non essere per Ducati il “solito sponsor”, quello che mette l’adesivo sulla carenatura, bensì di essere coinvolti nella gestione della squadra, di essere parte integrante dei risultati del team, sia nel bene che nel male. Se vinciamo vince anche Aruba e se si perde perdiamo anche noi».
Questa gestione riguarda anche la scelta dei piloti?
«Quella dei piloti era una questione che ci avrebbe dovuto coinvolgere solo alla fine dell’attuale stagione (sia Davies che Giugliano hanno un contratto biennale che scade al termine del 2015 - ndr), invece siamo stati chiamati in causa prima delle gare di Phillip Island a causa dell’infortunio di Davide. Quella dei piloti è una scelta che ci vede come parte attiva. Il nostro non è un coinvolgimento tecnico, ma i piloti vengono valutati da noi e da Paolo Ciabatti, responsabile di Ducati Corse. Oltre che dei piloti ci occupiamo ovviamente anche della comunicazione. L’Aruba.it Racing – Ducati SBK Team può disporre sia della nostra comunicazione che di quella istituzionale Ducati. Da parte nostra faremo inoltre degli sforzi per avvicinare e coinvolgere i nostri clienti con il mondo della Superbike. Porteremo nel paddock non solo i nostri clienti, ma anche quelli degli altri sponsor del team Ducati, con i quali potranno quindi nascere dei rapporti commerciali e delle interessanti sinergie. Un'ulteriore possibilità di mettere a frutto la nostra collaborazione con Ducati».