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Le acciaierie di Terni, lungo la strada, non calamitano la nostra attenzione nonostante l’imponente stabilimento che racconta molto della siderurgia italiana e del suo attuale stato comatoso di crisi. All’hotel di Spoleto ci attendono e non è mai bello far aspettare, ci redarguisce Paola, che ha già preso accordi con la reception dell’albergo sull’orario del nostro arrivo e su come verremo sistemati: due coppie in altrettante camerette del corpo centrale, la terza in una minisuite in un palazzo limitrofo. Non ci facciamo attendere. Dopo le procedure di riconoscimento e la presa di possesso delle camere, una doccia defatigante e la mezz’ora di relax per la schiena ci permettono di avventurarci in bermuda e scarpette da ginnastica per il più che promettente centro di Spoleto, con lo straordinario duomo e la Rocca Albornoziana. La spianata che scende al Duomo e lo stesso duomo con gli affreschi di Filippino Lippi incantano per bellezza e cura. L’impianto è medievale ma tra il ‘600 e il ‘700 l'interno della cattedrale subì pesanti rifacimenti e il barocco voluto da Maffeo Barberini, allora arcivescovo di Spoleto, poi diventato papa Urbano VIII, ha preso il sopravvento sull’iniziale struttura a capanna.
La Rocca Albornoziana domina invece la città dal colle Sant’Elia. Fa parte del sistema di fortificazioni fatto edificare da papa Innocenzo IV in funzione del ritorno della sede pontificia da Avignone a Roma. Il cardinale spagnolo Egidio Albornoz e Matteo Gattaponi, l’architetto che la progettò, immaginarono per la rocca una duplice funzione: solida e imponente fortezza, ma anche elegante e confortevole residenza. Ora è sede permanente del Museo nazionale del Ducato di Spoleto e al suo interno trovano posto anche il Laboratorio di diagnostica applicata ai Beni culturali e la Scuola europea di conservazione e restauro del libro antico. Noi purtroppo tutto questo lo apprendiamo dalla guida cartacea perché una volta risaliti fino all’ingresso scopriamo che è troppo tardi per visitare la Rocca.
Se Duomo e Rocca incantano, purtroppo non si può dire lo stesso per la città. Impossibile disconoscere il valore monumentale di alcuni edifici che si incontrano gironzolando, ma l’eccessiva presenza di auto è di pregiudizio nel piacere di passeggiare nei vicoli del centro storico. Un aperitivo in piazza e una cena non memorabile potrebbero chiudere la serata, sarebbe un peccato. Ed è Marco a prendere l’iniziativa e a proporre il bicchiere della staffa. Le ragazze apprezzano e individuano i tavolini di un bar di una piazzetta meno centrale ma anche meno affollata: un paio di rhum e un whisky abbondanti per omaggiare la bellezza di Spoleto e incontrare Morfeo con sorriso sulle labbra.
Come dicono a Genova: “Fa niente freddo”. Ci mancherebbe, è pure la vigilia di Ferragosto. Il programma comunque non cambia. Per il 15 dobbiamo essere tutti a casa e quindi bisogna partire presto e bere con frequenza. Tramonta l’ipotesi di visitare il Piccolo Museo del Diario di Pieve di Santo Stefano dove vorrebbe portarci Anna. L’ha già visto ed è rimasta impressionata dalle microstorie che attraverso una ricca aneddotica raccontano la Storia d’Italia, quella con la S maiuscola, da un punto di vita diverso, sicuramente inedito. La verifica sulla carta stradale però è inesorabile, come lo fu per il Giardino di Ninfa, a Cisterna di Latina, di cui Babette si faceva ambasciatrice raccontandone meraviglie, ma è troppo lontano per poterlo inserire nel nostro itinerario ciociaro. Lo stesso discorso vale per il Piccolo Museo del Diario: non riusciremmo a rientrare a casa per Ferragosto.
Prosegue il nostro ostracismo nei confronti delle corsie autostradali e le colline dell’Umbria prima e della Toscana dopo ci ripagano ampiamente regalandoci paesaggi spettacolari anche in queste ultime due tappe forzate verso casa. Sia per chi è alla guida della moto ma anche, e vi assicuro non è secondario, per il passeggero, in questo caso le passeggere. Oggi va in scena questo angolo di Umbria che ha i colori dorati del grano appena tagliato e le sottili linee verdi dei filari di vite. Tanta roba, come direbbe mia nipote millennial, e non solo per i biker. Questo tratto d’Umbria è anche una piccola madeleine per Babette che qui ha vissuto per sei anni. Il suo Google Maps ci fa transitare a pochi chilometri dal casolare qualche chilometro a sud di Perugia dove viveva e dove ha lasciato anche un pezzettino del suo cuore. Lo guardiamo da lontano, lei fa ampi cenni al resto dell’equipaggio anche per esorcizzare ed evitare che la lacrimuccia dentro il casco esondi.
La moto di Giacomo si affianca a noi e Anna ampi gesti ci segnala esigenze meno poetiche: tipo fare benzina e soprattutto bere. Sembra un noioso tormentone, ma il caldo di questo agosto ci mette a dura prova. Consultiamo la cartina, riportiamo i dati su Google e decidiamo di fermarci a Città della Pieve, che è bellissima ma oggi è giorno di mercato e le vie del centro, oltre a essere occupate dalle bancarelle degli ambulanti, sono pure affollate all’inverosimile. È inimmaginabile visitarla in un simile casino e con in più la mascherina in faccia. Meglio proseguire per Monte San Savino: il borgo promette, dovremmo raggiungerlo intorno all’ora di pranzo e si potrebbe trovare un locale per rifocillarsi. Mai decisione si rivelò più sensata. A Monte San Savino il termometro segna 40 gradi, 42 percepiti precisa la meteo app di technoAnna. Guadagniamo il centro pedonale del paese e occupiamo le ultime sei sedie all’ombra di un bar con la scusa di ordinare un panino ristoratore. In verità il ristoro arriva dalle 4, diconsi 4, bottiglie di acqua minerale leggermente gassata, come piace alla compagnia, che tracanniamo senza sosta e senza ritegno. Inutile dire che ce la prendiamo comoda e prima di ripartire, con la scusa di non risalire in moto troppo presto, abbozziamo una breve visita al borgo. Che, nell’ordine, prevede l’immancabile chiesa e il palazzo del Podestà, entrambi lungo il corso principale che taglia il centro del paese. Se all’interno sono conservati ed esposti in bella mostra due carri funebri (1a e 2a classe), anche il palazzo del Podestà riserva una sorpresa: al secondo piano dell’edificio si possono visitare le antiche celle della prigione. Non proprio delle camere d’albergo: gli ingressi a quelli che potremmo definire loculi sono talmente bassi che prima di varcare la soglia, un solerte impiegato comunale consegna al visitatore un caschetto giallo da cantiere per evitare dolorose zuccate e rimborsi assicurativi. Di visitare chiese e, tantomeno prigioni, Giacomo non ne vuol sapere. Si accomoda su una panca, accende il sigaro postprandiale e attende con britannica flemma i resoconti della curiosità dei suoi compagni di viaggio e la telefonata da casa che gli confermi l’avvenuta consegna della raccoglitrice e dello scuotitore che ha ordinato per l’imminente raccolta delle noci. Noi invece non vediamo l’ora di arrivare a Greve in Chianti dove abbiamo prenotato un airbnb e prevediamo di attovagliarci in una trattoria davanti a una fiorentina docg, che qui a nord di Siena si guardano bene dal servire tagliata.
L’arrivo non è dei più semplici. I cinque chilometri della ripida strada sconnessa con brecciolino a minacciare l’equilibrio sugli stretti tornanti che salgono a questo antico convento richiedono attenzione. Le indicazioni di Stefano la facevano più facile. Noi, come Indurain al Tour, veniamo su con il nostro passo cercando di non sbagliare direzione al bivio con la sterrata che arriva fino al parcheggio. Un ultimo sforzo che viene ripagato dalla cortesia di Stefano. Ci accoglie con il savoir faire del padrone di casa e il panorama mozzafiato che oltre a dominare le colline del Chianti ci regala un tramonto su Firenze che rimette di buon umore anche Giacomo che sperava in un aubergement più comodo e soprattutto più vicino a un ristorante. La casa è bellissima con arredi di grande gusto e opere d’arte appese alle pareti, ma è chiaro che non è immaginabile scendere a valle per raggiungere il ristorante: risalire fin quassù di notte genera un po’ di apprensione nel gruppo e lo spauracchio dell’incontro con il cinghiale pone fine alla questione ristorante. Che fare, oltre a disdire la prenotazione? Giacomo dice che non ha nessuna intenzione di scendere fino a Strada in Chianti, ma assicura che dopo una doccia è pronto a mettersi ai fornelli, mentre Stefano, da buon ospite, non ha un attimo di esitazione ed estrae dalla tasca le chiavi della sua auto: “Prendete pure la mia macchina per andare a fare la spesa. A me non serve stasera”. A questo punto non resta che chiedere a JackChef che cosa gli serve per cucinare, prendere diligentemente nota, indossare abiti civili e scendere al supermercato. Già che ci siamo mettiamo in nota yogurt e frutta per la colazione del giorno successivo e come due guide indiane io e Marco riscendiamo a valle per gli approvvigionamenti della truppa oramai con la testa sotto la doccia prima di una serata casalinga con vista sul Chianti: il ristorante e la fiorentina, intesa come carne, possono attendere. La gustosissima spaghettata al pomodoro fresco e basilico di JackChef, accompagnata da un paio di bottiglie di Vernaccia, rimette tutte le cose a posto, buon umore compreso, inizialmente minacciato dal poco agile atterraggio in questa casa. che porta il nome della nonna di Stefano. Alle pareti sono infatti appesi studi e opere di quel circolo di artisti da tutto il mondo che ruotava intorno all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Non solo. I volumi maniacalmente ordinati nelle librerie per argomento e autore raccontano di letture erudite e di frequentazioni non banali. E’ lo stesso Stefano che racconta, mentre si prepara alla sua serata mondana, le vicende di questa casa che ora lui gestisce come un airbnb. Purtroppo, ci conferma, solo in estate. Non se ne può occupare a tempo pieno perché il suo lavoro di videomaker lo trattiene per molti mesi l’anno a Barcellona.
Si viaggia, si visitano chiese e palazzi storici, si ammirano monumenti e panorami. Ci si sdilinquisce davanti alla natura e alle sue manifestazioni più spettacolari, ma spesso sono le persone che si incontrano, le loro vite, le loro storie che si intrecciano quasi per caso e nelle quali si entra e si esce come da una porta girevole di cui possiamo regolare la velocità, a dare senso e significato alle nostre peregrinazioni. Non a caso quando alla mattina prima di ripartire prepariamo la colazione, il tavolo del bersò è apparecchiato per sette. Paola non si è certo messa a fare di conto: il suo è stato un gesto spontaneo come quello di Stefano che si è servito una tazza di caffè e ha iniziato a raccontarci la sua serata. “Sì, carina. Ma forse avrei fatto meglio a restare a cena con voi”. Stefano, sarà per un’altra volta, per noi è ora di andare. Controlliamo il livello dell’olio del motore, io e Giacomo diamo anche un po’ di grasso alla catena: non abbiamo fatto molti sterrati né preso pioggia, ma il manuale del bravo motociclista consiglia di ingrassare la catena ogni 1000 chilometri. Le moto sono ok, stiviamo i bagagli, ci bardiamo per il viaggio ma prima di metterci il casco salutiamo Stefano con un abbraccio e ci mettiamo in marcia. Questa volta verso casa.
A Strada in Chianti, davanti a un caffè ci salutiamo anche noi. Tutti a casa anche se non è l’8 settembre ma solo il 15 agosto e questo scampolo d’estate può regalare ancora qualche emozione da vacanza. Magari ancora a due ruote.