EuroVespa 50: decima parte, Irun

EuroVespa 50: decima parte, Irun
Simone Sciutteri è arrivato a Irun dopo 10.825 chilometri percorsi in sella alla sua Vespa PK50, provando a segnare il nuovo Guinness dei Primati nella categoria Longest Journey on a 50 cc. Seguitelo passo passo nella sua avventura su Moto.it!
7 febbraio 2015

Irun, 10.825 km

Ci sono alcune cose dei francesi che mi piacciono molto. Per esempio come accentano certe parole. Allora, quando mi fermo a parlare con qualcuno che mi chiede da dove arrivo e che mi domanda incredulo se davvero ho fatto tutta questa strada su Peyton, ecco che lui diventa la Vespà. E poi hanno il gusto per le imprese, da popolo appassionato di ciclismo. Così, quando mi fanno i complimenti, anche se non abbiamo vinto il Tour de France e non siamo né Nibalì né Pantanì, io e Peyton un po' ci inorgogliamo. Insomma: abbiamo passato i 10.000 chilometri, mica male!
Gli ultimi giorni sono trascorsi in modo un po' altalenante. Il fatto di essere entrati in una fase più “turistica” e meno di “sopravvivenza”, mi ha creato qualche grattacapo. Soprattutto mentalmente non è stato facile rientrare nell'ordine di idee dei chilometri da fare, dei paesi ancora da toccare, e allo stesso tempo cercare di godersi il paesaggio e i luoghi attraversati. Ma andiamo con'ordine.
Il Galles regala davvero grandi soddisfazioni a livello paesaggistico: le campagne scorrono verdi lungo le Black Mountains, la gente è aperta e socievole, le strade poco trafficate. Fa freddo, ci sono vento e pioggia leggera e pungente, ma sono chilometri piacevoli. Quando arrivo a Fishguard esce il sole e nella baia si disegna un arcobaleno nitidissimo. Mi metto a fare su e giù con Peyton per le strade del borgo, felice, e mentre mi guardo in giro penso “questo posto sembra uscito da un libro di Melville!”. La cosa divertente è che la sera, mentre aspetto di fare arrivare le 2:30 – quando partirò in traghetto per Rosslare, Irlanda – e ascolto il complesso dei pescatori del paese che suonano al pub, come fanno ogni martedì da quarant'anni, una signora mi racconta che è proprio lì che hanno girato il famoso “Moby Dick” con Gregory Peck nei panni del Capitano Achab, nel 1956.

In Irlanda io e Peyton facciamo i turisti. Esigenze di tempo da combinare con gli orari dei traghetti mi fanno decidere di rimanere nei paraggi: tanto l'Irlanda è magica ovunque, basta guardarsi intorno! A Dunckomirk mi ospita Bill. Vive in una casetta al centro di una fattoria, suona il banjo-mandolino e mi coinvolge nella bellissima serata concerto che anche qui, come a Fishguard, gli abitanti tengono abitualmente da decenni ogni mercoledì sera: suonano in cinque o sei, ma ogni tanto qualche vecchietto si sposta dal bancone per unirsi al gruppo cantando un paio di canzoni; Bill conosce anche ogni angolo della sua terra e la sua storia e mi porta a visitare il faro e le rovine di un monastero; lo aiuto a tagliare la legna per la moglie di un amico in ospedale, gli cucino una pasta al ragù – con la carne che fa nelle sua fattoria – e lui ricambia con una favolosa Shepard Pie. A dispetto dei pochissimi chilometri fatti, passo due giorni pieni e divertenti e mi imbarco per Cherbourg pensando, come tutti quelli che passano in Irlanda, “tornerò”.
Cherbourg, col suo fascino della città di frontiera, mi accoglie con la più classica delle rotonde all'uscita del porto: finalmente in senso antiorario! Simone, bentornato nel mondo “normale”! Da Cherbourg, mi dirigo verso Omaha Beach, la spiaggia dello Sbarco in Normandia. Un vento fortissimo spazza la spiaggia e riempie le strade di sabbia. Dopo un minuto fermi a bordo strada, io e Peyton siamo completamente impanati! Arrivare fino a lì ci è costato una gran fatica, ma era una tappa doverosa per un viaggio che, in una piccola misura, ha percorso le strade dell'Europa anche attraverso la sua storia. Il cimitero militare americano, che si trova qualche chilometro dopo, con tutte quelle croci bianche tutte rivolte verso ovest è un luogo maestoso e toccante.

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Ripartiamo tagliando verso ovest, direzione Bassa Normandia: la prossima tappa è Mont Sant Michel. Un po' perchè è sicuramente un luogo che merita di essere visitato e affascina non appena lo si vede spuntare da lontano, al di là della campagna e della spiaggia di marea che circonda l'isolotto e quindi, se stiamo entrando in una fase più turistica del viaggio, non possiamo certo perdercelo – nonostante i poco pittoreschi lavori in corso per smantellare la diga-strada costruita anni fa e riportare Mont Sant Michel alla sua originaria natura isolana. Ma soprattutto voglio passarci perchè mi tornano in mente le prime volte in cui avevo pensato di fare un viaggio in Vespa e mi dicevo: potresti andare fino a Mont Sant Michel. Poi guardavo la cartina, contavo i chilometri e mi dicevo che ci sarebbe voluto troppo, che era troppo distante, che mi sarei stufato prima. Mentre salgo lungo la strada che gira attorno all'isola per andare a visitare l'abbazia, ci ripenso e rido.
Sono giorni in cui dall'Atlantico arrivano forti venti; stare dritto in sella a Peyton non è affatto facile. Il meteo da queste parti, poi, è quasi schizofrenico: tra Mont Sant Michel e Vitrè vengo investito da tre scariche di grandine, un paio di acquazzoni e passo poi invece lunghe mezz'ore a sudare sotto il sole, dentro ai miei panni invernali. L'umore procede di pari passo. Quando esce il sole la Bretagna si fa verde e bellissima, quando passano grandi nuvoloni grigi, le case di pietra diventano all'improvviso fredde e monotone. È forse l'odore di casa; o magari il fatto di essere quasi completamente rilassato. Fatto sta che i chilometri pesano più del solito, l'umore è in balia dei raggi del sole e la stanchezza dei mesi passati in viaggio e dei chilometri fatti mi sale tutta insieme, la sera mentre vado a dormire. Ormai anche quello che ho fatto la mattina, mentre mi addormento, mi sembra un secolo fa.

Punto verso La Rochelle, che col suo vecchio porto incorniciato dalle torri mi era sembrato sin dall'inizio un bel posto per ritrovare il mare e seguirlo per un po'. Con l'Oceano alla mia destra proseguo fino a Royan. È una giornata bellissima, guido felice verso sud, col sole in faccia tutto il tempo. Mi imbarco per attraversare l'estuario della Gironda e proseguo il mio cammino verso sud, mentre la strada si infila tra foreste di pini e canali per la coltivazione delle ostriche. La notte pianto la tenda in un campeggio, che sarebbe ufficialmente chiuso, ma il custode mi da il permesso di sistemarmi in una piazzola e di usare il bagno, la corrente elettrica e anche il collegamento internet. Dopo la giornata di sole, scende una notte gelida alla quale segue una mattina che fatica a scaldarsi e la tenda scricchiola ghiacciata mentre la rimetto a posto. Peyton in compenso non accusa per niente il freddo o gli sbalzi di temperatura. Continua a fare il suo dovere con una regolarità disarmante e mi rendo conto di quanto sia davvero importante avere questo genere di fiducia per proseguire in un viaggio di questo tipo.
Lungo la costa c'è la Duna du Pilat, un'enorme e incredibile duna di sabbia affacciata sull'Oceano, che offre un panorama mozzafiato. Salgo lungo il pendio più verticale, arrivo in cima che ho il fiatone e mi rendo conto di quanto tempo è passato dall'ultima volta in cui ho fatto un po' di sport! Ma lo spettacolo che si gode da lassù è di quelli che non ti fanno rimpiangere quella piccola fatica. Bellissime strada ancora in mezzo a foreste, lungo spiagge, laghi, piccole città quasi fantasma adesso che siamo fuori stagione, in cui mi fermo volentieri a fare colazione o merenda nelle poche boulangerie che trovo aperte. Parcheggio a Biscarrosse e aspetto un amico. A visitare la bella Bordeaux ci andiamo con la sua macchina. Da qualche chilometro mi è entrata in testa questa convinzione di evitare a tutti i costi le città. D'altra parte, per visitarle bene ci vuole un tempo che io, purtroppo, comincio a non avere più e l'idea di infilarmi nel traffico per nulla mi da solo fastidio. Le ore che mi godo di più in assoluto sono quelle immerse nella solitudine del paesaggio, i giorni che mi sembrano migliori sono quelli in cui io e Peyton percorriamo più di duecento chilometri e l'unica cosa che mi fa davvero felice è farlo sotto il sole. Quello che speravo di trovare ad accogliermi in Spagna e che invece si è nascosto bene. Addirittura stamattina – quando pensavo di aver salutato definitivamente la neve settimane fa, in Lussemburgo – mi sono svegliato mentre fioccava e la strada, per i primi venti chilometri, non è stata affatto divertente. D'accordo: l'idea che avrei potuto seguire la costa fino a casa, come in una lunga passeggiata sul lungomare, era volutamente esagerata ed esageratamente ottimista, però non mi aspettavo di arrivare in Spagna all'ombra delle vette della Cordigliera Cantabrica imbiancate. Invece anche adesso una leggera neve bagnata scende su Irun, appena dopo il confine. Domani sarà ancora freddo, poi le condizioni dovrebbero migliorare. Un benzinaio mi ha detto, questa mattina, che capita una volta all'anno di avere la neve dalle parti di Biarritz: averla centrata in pieno non è un gran colpo di fortuna, ma – mi dico – meglio qui che nei paesi nordici! In ogni caso l'idea per i prossimi giorni è quella di seguire la Ruta Nacional 634, una strada abbastanza famosa tra i motociclisti locali, che dovrebbe portarmi – seguendo il profilo frastagliato della costa e della Cordigliera – fino a Santiago de Compostela, nel giro di quattro giorni.

Sì, passati i 10.000 ho cominciato a contare i chilometri. Non ancora in vista del Guinness dei Primati, ancora lontano – ad oggi – circa 3700 chilometri. Ho cominciato a controllare quanti ne mancano per il rientro. Da un lato vorrei non finisse mai. Soprattutto quando le giornate sono soleggiate e la strada scivola sotto le ruote di Peyton senza nessuno sforzo. Ma, d'altra parte, i mesi di viaggio cominciano a farsi sentire: i giorni si confondo; ogni tanto mi sveglio e mi chiedo dove sono; carico i bagagli con l'automatismo di chi ha fatto la stessa cosa mille volte, oramai; ripeto la cantilena – in ogni lingua – “dall'Italia alla Turchia, dalla Turchia alla Finlandia, dalla Finlandia all'Irlanda, dall'Irlanda a qui” a tutti quelli che mi chiedono da dove arrivo; mi guardo allo specchio e vedo una barba che ormai ha raggiunto una lunghezza ingestibile e sento che il mio corpo comincia a reclamare qualcosa di diverso: camminare, correre, dormire due volte nello stesso letto, dormire fino a tardi. Però la voglia di proseguire non manca. Anche se cercherò di evitare le città qualche luogo che ancora vorrei visitare c'è lungo la strada. E poi devo arrivare a toccare il Portogallo, per completare il progetto. Ho una deadline, dovuta a positive novità lavorative, che non pensavo di avere quando sono partito e anche questo forse un po' condiziona umori e idee. Probabilmente mi toccherà tagliare le tappe isolane e la risalita dell'Italia, con parecchio dispiacere, perchè ci avrei tenuto molto. Ancora non è detto, ma l'ipotesi al momento è molto probabile. Voglio essere indietro entro la metà di marzo, perciò il tempo inizia davvero a dover essere scandito a suon di tappe da duecento chilometri al giorni o anche qualcuno di più, se voglio godermi qualche giorno fermo ancora qua e là. C'è la voglia di godersi il viaggio, ma anche quella di macinare chilometri. La stanchezza che affiora, ma anche il desiderio di portare a compimento nel miglior modo possibile il piano iniziale.
Anche Peyton mi sembra nella mia situazione. Sporco e forse un po' stanco, ma ancora in grado di portare a termine la sua missione, se tutto andrà bene. I miei pantaloni da moto e la sua carrozzeria hanno addosso polvere balcanica, graffi d'asfalto estone, macchie di neve finlandese, terra danese, erba inglese, sabbia francese. Un carico che pesa, ma che contiamo di riuscire a trascinarci dietro ancora per un po'. C'è ancora un po' di spazio, almeno per un po' di salsedine portoghese. Poi, in qualche modo, sarà davvero strada verso casa.

Simone Sciutteri

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