EuroVespa 50: quinta parte, Budapest

EuroVespa 50: quinta parte, Budapest
Simone Sciutteri è arrivato a Budapest in sella alla sua Vespa PK50, provando a segnare il nuovo Guinness dei Primati nella categoria Longest Journey on a 50 cc. Seguitelo passo passo nella sua avventura su Moto.it!
9 dicembre 2014

Budapest, km 4832

Mentre il cielo grigio sopra Budapest continua a sgocciolare inzuppando la città come un biscotto dimenticato nel latte, ripenso agli ultimi chilometri che ho fatto. Non posso che esserne contento. Come sempre, finora, le mie preoccupazioni hanno avuto la giusta utilità nel tenermi vigile, ma si sono rivelate eccessive. Meglio così! Per ora me la cavo, le ore in sella continuano a non pesarmi; schiena, mani, gambe, rispondono bene e il freddo – anche se quello vero ancora mi sta aspettando – riesco a sopportarlo, tra un the caldo lungo la strada e qualche balletto che faccio coi piedi per muovermi un po' anche mentre guido. In attesa di sfoderare tutte le risorse che ho ancora a disposizione! Mi rendo conto di controllare spesso che giorno è. Ho perso completamente il conto dei giorni, tappe fatte solo qualche giorno fa sembrano lontane un mese e a Lubiana mi sembra di esserci stato un anno fa. Se c'è una cosa che questo modo di viaggiare ti conferisce, è una nuova dimensione delle distanze. Quasi medievale: la frase “a due giorni da qui”, che siamo abituati a leggere nei libri o a sentir dire nei film storici, acquista all'improvviso un significato importante.
Lasciata Paracin, una soleggiata ma fredda giornata mi ha accompagnato fino a Belgrado. La cosa bella è che, per una volta, entro in città senza nemmeno accorgermene. Perché Belgrado è in collina e gli ultimi chilometri sono dolci saliscendi e non lunghe pianure industrializzate. Dopo l'ultima discesa, come per magia, mi trovo lungo la Sava, mi infilo nel traffico all'altezza della confluenza col Danubio e in un attimo sono in centro città.
A Belgrado incontro Dejan, del Vespa Club, una persona entusiasmante, sorridente e ottimista come poche. Prima mi accompagna al Museo della Vespa, probabilmente l'unico in Europa insieme a quello di Pontedera. Si trova nel garage della casa di un collezionista, che apre apposta per farmelo visitare. Passeggiamo poi per il bellissimo centro città, raccontandoci i viaggi fatti e quelli programmati. A malincuore lascio la città l'indomani, ma ancora una volta sono le previsioni del tempo a guidare la mia strada: devo ancora passare in Romania e voglio assaggiare un po' di Carpazi insieme a Peyton, perciò decido di approfittare della finestra di bel tempo prevista per i due giorni successivi.

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Quando ancora non ero nemmeno partito, mi scrisse Matteo, che abita vicino a casa mia, ma ha un ristorante a Bozovici, in Romania, giusto a qualche chilometro dal confine con la Serbia. Mi aveva invitato a passare di lì ed io avevo ovviamente accettato. In realtà Matteo è a casa, ma ad aspettarmi c'è il suo amico Luca, che mi accoglie al ristorante e senza che quasi nemmeno mi sia tolto la giacca, vedendomi infreddolito, mi fa portare una zuppa calda e... una grappa! Lungo la strada, in effetti, ho un po' patito il freddo. La neve a bordo strada – mi dicono già vecchia di una settimana – stentava ancora a sciogliersi, ma la strada pulita e con l'asfalto perfetto mi conduce fino lì, passando anche per la piccola e affascinante cascata Bigar. Luca mi racconta del passato, degli anni di Ceausescu, di quando lavorava nell'agenzia nazionale per il turismo. La notte la trascorro nell'appartamento di Matteo, addormentandomi così bene mentre la stufa crepita che quando mi sveglio la mattina quasi non mi ricordo dove sono.
Lo smarrimento aumenta mentre vado verso nord. La strada dall'asfalto terribile che mi porta da Oravita a Moravita, si trasforma in una statale nuova di zecca e il paesaggio comincia a disegnarsi di campi coltivati, prati verdissimi, capannoni di note industrie: per un attimo ho la sensazione di aver sbagliato strada da qualche parte e di ritrovarmi in pianura Padana!
Arrivo a Timisoara abbastanza presto e vengo accolto dalla musica nella piazza centrale. Trovo subito un ostello e anche il posto per sistemare Peyton: nel parcheggio del lussuoso Hotel Timisoara. Come mi vedono entrare nella hall, col casco in mano, mi guardano un po' stupiti; ma poi i ragazzi sono gentilissimi e mi dicono di parcheggiarla pure lì davanti, che ci penseranno loro a controllarla. Meglio di così non potevo chiedere, e mi tuffo a godermi il mercatino di Natale. La piazza centrale è un tripudio di luci e musica e cibo e odore di vin brule. Decido di comprare un regalo anche a Peyton: una “sorcova” tradizionale, cioè un bastoncino decorato, una specie di bacchetta magica. In cima c'è il nuovo passeggero: un pupazzo di neve che decido di chiamare Rudolph, come la renna dal naso rosso della slitta di Babbo Natale.
Lungo la strada che dalla Romania mi porta in Ungheria, asfalto perfetto e zero formalità alla frontiera – a parte le ormai solite domande: ma da dove arrivi con questa? – mi convinco di poter arrivare in giornata a Budapest. Anche se il tempo non mi aiuta, la statale 5 è una strada perfetta, c'è poco traffico e, in generale, la prima impressione che mi da l'Ungheria è di un ordine e un efficienza quasi teutonica, interrotta solo dalla baldanza delle musiche tradizionali che i vecchi mettono nei jukebox, praticamente in ogni baretto lungo la strada in cui mi fermo. In realtà, essendo partito con molta calma la mattina da Timisoara, capisco che raggiungere la capitale prima che faccia buio sarà impossibile, così, quando incontro un blocco stradale dovuto a un incidente, torno sui miei passi e mi cerco un posto dove passare la notte a Kiskunfelegyhaza, nome impronunciabile – come quasi tutto da queste parti – di una cittadina sonnolenta in mezzo alla pianura. È, mi dico, lo spirito del viaggio, guai ad andargli contro! Mentre mangio l'immancabile gulasch, comincio a pianificare i prossimi passi. A Budapest mi fermerò un paio di giorni. È da quando abbiamo lasciato Istanbul che, complice la voglia di superare le montagne prima della neve, che non ci fermiamo più di una notte nello stesso posto. È vero, alcuni giorni i chilometri fatti sono stati giusto quelli per mantenere la media, quindi, ormai, passeggiate piacevoli lungo l'antica Pannonia, monotoni spostamenti su una terra che più piatta di così sarebbe impossibile. Però sento di dovermi fermare e sento di dover concedere un giorno di meritato riposo anche a Peyton. Budapest fa proprio al caso nostro.


Ho fretta di arrivare in città. Sono poco più di cento chilometri e conto di sbrigare la pratica in meno di tre ore. Seguendo la 5 è impossibile sbagliare strada, ed è anche domenica, il mio giorno preferito per viaggiare: poco traffico, soprattutto la mattina; gli unici che si vedono in giro sono i ragazzi delle squadre giovanili che vanno a giocare con le facce assonnate e un po' di post-sbornia. Ma stavolta, per la prima volta, Peyton non è d'accordo. Mentre tranquillo proseguo spostandomi ogni tanto sulla sella, per alternare la parte di culo che appoggia e riposare a turno l'uno o l'altro lato, Peyton tossisce, perde potenza e mi costringe ad accostare. Nell'erba a bordo strada ripasso mentalmente le istruzioni per la diagnosi che mi hanno dato Luca e Andrea prima di partire. All'apparenza sembra tutto a posto, anche se Peyton, mentre provo a rimetterlo in moto, tossisce e da segni di ripresa, ma ancora non risponde. La candela non mi sembra abbia alcun problema; la cambio per prassi, più che altro, ma anche se riesco a rimettere in moto e a ripartire, di lì a poco un altro paio di volte, anche se segna spegnersi del tutto, Peyton mi chiede di accostarmi un attimo. Mi convinco che sia qualcosa che ha a che fare con la benzina. Forse anche con la mia fretta di arrivare a Budapest, forse ho tirato troppo a motore ancora caldo. Ma facendo mente locale mi tornano in mente un paio di benzinai poco rassicuranti dai quali sono stato costretto a fermarmi a rifornire. Si sarà sporcato il carburatore. Al primo benzinaio di marca nota che vedo mi fermo e faccio il pieno. Sgaso timidamente e il motore sembra riprendere a girare come si deve. Intanto controllo ancora una volta, stavolta al riparo, tutto quello che mi viene in mente e infine riparto. A cinquanta chilometri da Budapest, mentre la pioggia è aumentata e anche la mia frustrazione inizia a montare – in tre ore ho fatto poco più di sessanta chilometri – sono costretto ad accostare ancora una volta. Stavolta mi decido a sgasare a fondo, ripetutamente, fino a far andare su di giri il motore e fino a quando non sono avvolto da una nuvola bianca. Peyton, stavolta, sembra davvero rispondere “adesso sì che sto bene!” e riparto. Con un po' di cautela e con il cervello che continua a analizzare la cosa, arrivo a Budapest senza altre soste.
Entro in città attraversando la lunga periferia e quando mi fermo per capire dove sono e cercare di arrivare in centro, si ferma un ragazzo, mi fa le domande di rito alle quali ribatte con l'ormai classico, per le mie orecchie: “Are you crazy, man?!”. Scatta un paio di foto ricordo e poi si offre di guidarmi fino al centro. Lo aspetto mentre recupera la macchina e poi lo seguo fino a Ferenciek Tere, dove ci salutiamo a bordo strada tra le clacsonate degli altri automobilisti. Trovo posto per Peyton, al riparo in un garage, dove il gentilissimo Imre mi mette a disposizione un angolino per pochi fiorini. Gli dico di riguardarsi, che l'ho messo apposta al caldo perché si riprenda il meglio possibile, e vado a cercare un ostello per me.
Ovviamente oggi sono tornato a salutarlo. Credo che il problema fosse proprio dovuto alla pessima benzina che gli ho dato da bere ultimamente; gli ultimi cinquanta chilometri senza nessun a incertezza mi hanno rassicurato, anche se un po' di apprensione mi resta. Intanto mi godo – nonostante la pioggia – un giorno a spasso per Budapest, dove incontro anche qualche italiano, come Matteo che ha aperto una bella pizzeria in centro e che si trova molto bene, nonostante la pronuncia, ovviamente! Domani, se tutto andrà per il meglio, sarà Bratislava e poi Vienna, prima di riprendere il cammino verso nord-est, fino a Tallin e chissà, magari davvero anche fino a Helsinki.

Simone Sciutteri

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