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Quanti sono 1260 chilometri? Spesso, come in ogni cosa, dipende da come lì fai. I primi li ho fatti lottando un po' contro la noia delle lunghe e dritte provinciali padane, mentre le macchine accanto sfrecciavano e la pioggia continuava a cadere incessantemente. A volte uscire dalle nostre città senza imbucare una tangenziale è davvero un impresa! Ma sin da subito il viaggio è stato pieno di incontri; Mauro che mi ha regalato un salame delizioso a Castelfranco Veneto, Franco lungo il ponte sul Piave, Lorenzo – che mi ha aiutato nel finora unico momento di difficoltà del viaggio, Pietro e Cat, che mi hanno anche regalato degli scaldamani che mi faranno comodissimo, a Trieste. Vecchi e nuovi amici, che solo viaggiando così potevo incontrare o reincontrare. Dopo tanti chilometri, l'arrivo a Trieste è il giusto premio: il golfo si apre ai miei piedi, il mare calmo luccica sotto un tiepido raggio di sole e il Faro della Vittoria che domina la città sembra che mi dica: benvenuto, ti stavo aspettando! Anche Trieste e le sue piazze a ridosso del mare non tradiscono le mie attese.
Entro in Slovenia e subito me ne innamoro. Strade perfette che corrono in mezzo ai boschi e alle campagne, poco traffico. Se l'Italia spesso non è un paese per scooter, la Slovenia potrebbe essere il paradiso delle due ruote. Peyton si comporta benissimo, saliamo lungo i pendii senza grossi problemi, tiene anche la terza e poi, dolcemente, scivoliamo verso le vallate verdi. La strada fino a Lubiana è una cavalcata allegra e trionfale.
Arrivo in città che è quasi sera e mi accorgo di aver bruciato, per la seconda volta in poco tempo, la lampadina del faro anteriore. Per fortuna l'indomani trovo un'officina e risolvo il problema: si trattava di un piccolo sovraccarico di voltaggio – così mi spiega il meccanico – che, quando andavo a stecca per un po', faceva saltare la luce. La cosa divertente è che il meccanico, appena mi vede, si appassiona e trascorre tutto il pomeriggio a sistemare Peyton e a chiacchierare con me, rispondendo al telefono ai clienti che aspettavano la loro moto per il pomeriggio e che invece dovranno aspettare!
Lascio Lubiana un po' a malincuore, perchè è una bellissima città, ma le strade slovene mi consolano subito. L'idea iniziale era di andare verso Zagabria, ma mi hanno consigliato di andare verso sud per continuare a godermi il paesaggio e così faccio. Continua a piovere, ma ormai non ci faccio più caso. La strada è davvero bellissima e mi rendo già conto di come questo viaggio possa solo costruirsi così, strada facendo. È anche un viaggio fatto molto di più lungo la strada, negli incontri casuali con i benzinai o quando mi fermo a bere un caffè, piuttosto che nelle città o nei paesi dove mi fermo. Anche se, pure lì, gli incontri non mancano. Spesso non faccio in tempo a mettere Peyton sul cavalletto e a sfilarmi il casco che sento già qualcuno che mi chiama: “Ehi, man! Where are you from? With this? You're crazy!”.
In Croazia passo un pomeriggio con qualche difficoltà: quella che sulla cartina era segnata come una strada secondaria, si trasforma ben presto in un serpentello sterrato che si infila tra i boschi. Mi convinco che, come qualche chilometro prima, si tratti di una tratta in costruzione e che ben presto si ritornerà sull'asfalto. Invece continua così: una strada sterrata in mezzo ai Balcani profondi, e per un'ora non incontro nessuno, né incrocio altre macchine, né tanto meno ritrovo l'asfalto. Comincio ad avere dubbi: sarà meglio tornare indietro? Intanto si sta facendo tardi. Viaggiare su una strada del genere di notte non se ne parla. Oltretutto, da quando ho risolto il problema elettrico, anche se non brucio lampadine, faccio molta meno luce. Dovessi cadere e farmi male, mi ritroverebbero la prossima estate. Molto meglio sarebbe accamparsi qui e aspettare domani e comincio a pensarci, anche se l'idea non mi piace moltissimo. Ci fosse almeno una casa, una, a cui chiedere ospitalità, anche in un fienile! Almeno dovesse piovere, e il cielo lo promette, starei all'asciutto. All'improvviso spunta una vecchia casa in pietra, dall'altra parte della collina, e intravedo un'anziana che sta lavorando nel campo. Le urlo il nome della località verso cui sarei diretto, Plitvice, mi risponde qualcosa di incomprensibile, ma capisco di essere almeno nella direzione giusta e penso che, in ogni caso, potrei tornare qui per la notte. Ma non servirà. Di lì a poco spuntano un paio di case, poi un trattore e il signore che lo guida mi dice: “two kilometers, asphalt”. Finalmente! La lezione è che tornare indietro non è (quasi) mai la soluzione migliore.
Lascio la Croazia il giorno seguente, tentato dalla strada sulla costa, ma ancora troppo affascinato dai Balcani e dalla loro gente per abbandonarli. Decido di raggiungere Sarajevo da nord. La cartina promette salite a non finire, anche con forti pendenze, ma io e Peyton ci sentiamo pronti. Il paesaggio è in effetti sorprendente anche da queste parti, a ogni curva si apre la vista su laghi, fiumi, cascatelle e campi coltivati. Lungo la strada piccole case e spazi punteggiati da covoni di fieno e spaventapasseri. La guerra che ha devastato queste zone sembra lontana anni luce, anche se di tanto in tanto ritorna nelle case abbandonate o nelle parole della gente.
Faccio tappa a Jaice, un gioiellino incastonato in mezzo ai monti della Bosnia e l'indomani riparto, verso Sarajevo. Ancora montagne e ancora Peyton in gran forma. Anche se mi accorgo che si è rotto (probabilmente l'ha fatto senza accorgersene il meccanico a Lubiana) l'interruttore della benzina. Faccio mente locale e mi ricordo di essere arrivato in officina in riserva. Quindi, almeno, posso far fuori tutta la benzina nel serbatoio, però non poter tener d'occhio la quantità un po' mi complica le cose. Quanto meno: mi fermo un po' più spesso, quando calcolo di aver fatto un'ottantina di chilometri e riempio il serbatoio. Però, in fondo, che problema c'è nel fermarsi più spesso?
Arrivo presto a Sarajevo; quella che immaginavo sarebbe stata una giornata impegnativa si è rivelata invece una passeggiata. Con tanti saliscendi anche aspri, ma tutto sommato agevoli. Trovo una sistemazione per me e per Peyton – mi rendo conto che il più delle volte mi preoccupo più della sua che della mia, di sistemazione! – e mi godo un paio di giorni la città. Che mi rapisce sin dal primo momento e che lasciare non sarà affatto facile.
Simone Sciutteri