EuroVespa 50: sesta parte, Varsavia

EuroVespa 50: sesta parte, Varsavia
Simone Sciutteri è arrivato a Varsavia in sella alla sua Vespa PK50, provando a segnare il nuovo Guinness dei Primati nella categoria Longest Journey on a 50 cc. Seguitelo passo passo nella sua avventura su Moto.it!
19 dicembre 2014

Varsavia, km 5837

Sono in viaggio da poco più di un mese, anche se mi sembra molto di più. Quando ancora dovevo partire e guardavo la cartina dell'Europa che per mesi è stata appesa sopra il mio letto – ed ancora è lì, ad aspettare il mio ritorno e la linea tracciata da un pennarello – percorrevo le strade col dito, contavo i paesi, ripetevo le città che avrei toccato come se fossero un salmo. Varsavia.
Varsavia era sempre lì, nel cuore del viaggio. Sembrava impossibile, a dire il vero. Questa specie di V da disegnare, con il vertice basso in Istanbul e la lunga risalita verso il centro della Polonia. Tante strade allora ignote, tanti ostacoli, tanti chilometri.
Varsavia. A Istanbul ancora sembrava lontanissima. Ancora montagne da scavalcare. Il freddo. Tanti chilometri ancora. Anche da Belgrado pensavo a Varsavia come a una meta ancora lontana. E ancora da Vienna, che pure così lontana non è.
Varsavia, adesso ci sono.
Avevo un appuntamento importante qui. Non quello con i pneumatici invernali, che domani dovrei finalmente riuscire a montare. Più importante. Un appuntamento, uno dei pochi, segnato in rosso sin dall'inizio del viaggio, quello con Cipriano Colombini, mio bisnonno morto nel campo di concentramento di Nieporent Beniaminow e sepolto qui, nel cimitero italiano a Bielany, periferia nordovest di Varsavia. Era un appuntamento così importante che prima di partire mi ero detto che fino a qui sarei dovuto arrivare ad ogni costo, anche su una ruota o a spinta. È andata molto meglio di così. Io e Peyton siamo arrivati puntuali e senza problemi all'appuntamento. E Cipriano era lì, in mezzo a tanti altri morti in terra polacca durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Faceva freddo oggi, dalle parti di Bielany. Sotto un cielo grigio cemento ho bussato alla casetta del custode che mi ha aperto il mausoleo, un corridoio bianco con tante targhette dorate, qualche foto, qualche fiore.
Altri incontri e appuntamenti hanno accompagnato questi mille chilometri: non una grande distanza, a dire il vero. Ho un po' abbassato la media, o meglio: il ritmo. Perchè sulla strada io e Peyton siamo stati regolari, con i nostri 1000 e più chilometri a settimana, ma con qualche pausa in più.

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Una fredda mattina e un'ottima strada in buona parte nella valle del Danubio, ci hanno portato nella bella Bratislava, dove addirittura Peyton ha trovato posto al caldo, nell'androne di un palazzo. Quando la mattina dopo l'ho tirata fuori per andare a Vienna, mi ha un po' guardato male: ti ci porto, ma tu trovami un posto altrettanto comodo anche a Vienna!
Tra Repubblica Slovacca e Austria passiamo la prima vera non-frontiera del viaggio. Niente guardine abbandonate, niente sbarre, neppure già alzate, niente grandi bandiere sventolanti, nessun cambiamonete, perchè tutte e due i paesi sono in area Euro e, ovviamente, nessuno interessato ai miei documenti. Entriamo in Austria quasi senza accorgercene. C'è il sole, i prati sono verdissimi e nemmeno il vento che mi rallenta mi da fastidio, anzi: fa girare veloci le pale eoliche lungo la strada e sembra quasi di essere già in Andalusia. Hainburg an der Donau (sul Danubio) è una cartolina e quando mi fermo per far colazione con la prima fetta di Sachertorte, mi viene voglia di fermarmi lì per giorni. Invece proseguiamo, lungo la Statale 9, perfetta e quasi deserta, visto che il grosso del traffico se lo mangia l'autostrada che corre quasi parallela. Io e Peyton invece attraversiamo a passo lento i paesini e i dolci saliscendi, fino a quando, quasi all'improvviso, ci risvegliamo in mezzo ai viali imperiali del centro viennese, costeggiando il “Quartiere dei Musei”, quasi storditi dal profumo dei wurstel e del vin brulè che inonda le strade scivolando lungo i marciapiedi dai tanti mercatini natalizi che colorano piazze e stradine. In uno di questi faccio la conoscenza di Tommy, un mio coetaneo che in qualche modo diventa per me il simbolo della non-frontiera: lui è di Bratislava e tutti i giorni prende la chitarra e viene a Vienna a suonare. La sera risale sul treno con la sua chitarra, un po' di freddo e le monete di giornata.
In ostello incontro i ragazzi della 5° D del Liceo Isis Machiavelli di Firenze. Faccio finta di brontolare per il loro scorrazzare, ma è solo una scusa per fermarmi a parlare un po'. Così, dopo la serata Erasmus di Plovdiv, torno di nuovo giovane per un'ora, seduto con loro a chiacchierare raccontandogli del viaggio. Mi sembra quasi di essere lì in gita con Marco, Filippo, Viola; la mattina dopo, svegliandomi, penso di dover preparare lo zaino per andare a prendere il treno con loro. Invece sistemo la sacca e riparto, con l'umore altalenante che ho sempre quando riparto dopo una piccola pausa. Però questa volta, grazie agli incontri e alla bella mattina passata al Museo Leopold, mi sono goduto più del solito la città, senza troppo preoccuparmi dei chilometri che avrei potuto fare se... Peyton, intanto, può ritenersi soddisfatto: non è stato al caldo come a Bratislava, ma ha passato due giorni comodamente parcheggiato nel cortiletto interno dell'ostello, con un paio di gatti a fargli compagnia.

Anche al confine tra Austria e Repubblica Ceca mi fermo per dare un'occhiata in giro. Qui c'è la casetta con il cambiamonete, che vende anche i bollini per le autostrade ceche, ma a parte quello, nessun segno tangibile della frontiera. Di quella frontiera che anni fa era La Frontiera; da una parte c'era un mondo, dall'altra tutto un altro. Adesso – e quant'è meglio – la strada scivola senza nemmeno un piccolo dosso e mi consegna ai saliscendi delle colline della Moravia. I cartelli stradali sono buoni e anche le stradine secondari sono in condizioni discrete, così mi diverto ad attraversare paesini di campagna, dove i ragazzi si avvicinano e ridono quando mi fermo ai distributori e le signore vengono spontaneamente a darmi indicazioni quando mi accosto per dare un'occhiata alla cartina. A un certo punto, un'anziana robusta e una più giovane e magrolina quasi litigano perchè non riescono a mettersi d'accordo sulla strada che devo fare; vorrei interromperle per dir loro che, in ogni caso, mi basta sapere che direzione prendere al bivio che ho davanti, visto che tutto il resto di quello che mi stanno dicendo non lo capisco assolutamente! Anche quando mi fermo per mangiare in un specie di trattoria lungo la strada la comunicazione è difficile, ma ce la caviamo: a parte il fatto che la signora quasi muore dal ridere quando, per farle capire che vorrei una zuppa di pollo, imito il verso della gallina, con tanto di gomiti a mimare le ali. La zuppa arriva, è di pollo, mi scala e posso ripartire.
I saliscendi sono più di quanti mi aspettassi e Olomuc, la tappa di giornata, non arriva mai. Potrei fermarmi prima, ma non ci riesco. Il fatto è che ogni tanto la mente si fissa. Olomuc. Devo arrivare a Olomuc. Diventa una sfida, un traguardo, diventa un fatto di vitale importanza: è quasi come se dall'arrivare o meno fino a lì dipendesse l'intera riuscita del viaggio. Come se mi dicessi “se non riesci nemmeno ad arrivare a Olomuc, come può puntare a Helsinki?”. Così proseguo testardamente, mentre un tramonto spettacolare incendia il cielo della Moravia. Arrivo in città giusto prima che faccia buio, esausto. Ceno ovviamente anche qui al mercatino natalizio, sotto la colonna della Santissima Trinità che domina la splendida piazza centrale della città.

Mi accolgono in Polonia le purtroppo celebri “rotaie”: i solchi scavati nell'asfalto dalle ruote dei camion che attraversano il paese a migliaia, in tutte le direzioni. A volte sono così profondi che mi sembra di entrare in un piccolo canyon in cui rischio di sprofondare fino alle ginocchia. Me le ricordavo da un viaggio di qualche anno fa, allora su quattro ruote. Affrontate su due, sono ancora più fastidiose. Però, in realtà, di strade in queste condizioni non ne restano molte. Per la maggior parte (perlomeno per la parte che ho percorso finora, a sud di Varsavia) le strade sono state sistemate e sono in ottime condizioni. Almeno per un po', perchè il traffico di camion e autoarticolati continua come e più di prima. Cerco di sfruttare il più possibile le strade secondarie, visto che sono asfaltate abbastanza bene; però, sarà qualche sobbalzo di troppo, saranno certe brutte costruzioni e alcune grandi ciminiere che spuntano lungo la strada, sarà la giornata nuvolosa e fredda, il mio umore non è un granchè. Sarà, forse, che sto andando a fermarmi a Oswiciem, la cittadina diventata tristemente celebre per il campo di concentramento di Auschwitz.
Della visita al campo di concentramento è quasi superfluo parlare. Bisogna andarci; e probabilmente ancora non basta per capire.
Verso Cracovia mi accompagna un tiepido raggio di sole, arrivo presto e parcheggio lungo la Vistola. È bastato poco per far pace con la Polonia. E dal far pace a fare amicizia il passo è ancora più breve; mi basta incontrare Agnieszka e Mateusz, che mi invitano a prendere un caffè. Lui ha una Vespa, lei parla italiano perchè ha fatto un anno di Erasmus a Milano ed è stata qualche giorno al mare a... Savona: giusto pochi chilometri da casa mia! Poi arriva a prendermi Piotr, con un altro ragazzo del Vespa Club locale. Mi regalano un vero e proprio Vespa-tour serale in giro per la città. Facciamo tappa anche al Vespa Caffè, il loro bar-officina. Piotr mi aiuta a scegliere le gomme che arriveranno a Varsavia e mi ospita a casa. Studiamo insieme la strada – e ovviamente i suoi suggerimenti si riveleranno azzeccatissimi – ed io il minimo che possa fare per ringraziare lui e la sua fidanzata dell'ospitalità è offrirmi di cucinare una carbonara per loro. Passiamo una serata bellissima, avvolti in una nuvola di parole e racconti. Ci sono anche due bellissime gattine che si aggirano nell'appartamento e mi annusano curiose: l'effetto “casa” è così perfetto e impagabile.

Da Cracovia a Varsavia, con una tappa intermedia a Konskie, dove faccio giusto in tempo a cenare prima di addormentarmi, lungo strade discrete che attraversano una pianura infinita: lungo la striscia d'asfalto solo foreste e fermate dell'autobus, di cui approfitto per fare ogni tanto una pausa e scaldarmi un po'. I paesi se ne stanno rintanati, lontani dalla strada principale, al di là di tutti quei campi che si susseguono a perdita d'occhio o nascosti dietro alle foreste e segnalano la loro esistenza agli incroci con piccoli cartelli e grandi croci colorate e decorate, accanto alle quali c'è sempre una panchina o almeno una sedia.

Varsavia. Sono arrivato in orario all'appuntamento. Tutto sommato sto rispettando la tabella di marcia che mi ero dato. Anche il freddo è arrivato. La neve non si farà aspettare ancora molto. Peyton, finora, non ha fatto una piega. Ogni mattina si sveglia meglio di me, ogni giorno regge i chilometri e le temperature basse senza accusare. Anche questa “Camilla” (la terza, dopo che ho cambiato la seconda per precauzione in Ungheria, quando ancora aveva chilometri da spendere) non tossisce mai. Peyton sobbalza sulle buche senza scomporsi, mantiene il controllo sul bagnato, non si lascia intimidire dai camion in sorpasso. Intanto, andiamo verso nord e verso l'inverno, le giornate si accorciano e sembrano quasi passare senza soluzione di continuità dall'alba al tramonto: il sole si alza poco oltre l'orizzonte e si rintana dietro le nuvole così che quei pochi attimi in cui i raggi mi arrivano sono quasi orizzontali e colorano il cielo alle mie spalle di rosso e oro. Qualcuno mi dice finora sono stato molto fortunato, ma questo già lo so. Qualcuno mi dice che proseguire sarà impossibile. Qualcun altro mi rassicura. Io mi dico che ci voglio provare. Ho ancora voglia e non mi sono ancora giocato tutte le carte che ho contro il freddo. Le pianure baltiche mi stanno aspettando. Io già sogno Riga, la vista del mare. E poi l'imbarco per Helsinki e quello da Turku a Stoccolma... io e Peyton, soli, in mezzo al bianco accecante della Scandinavia.

Ma, come sempre finora: un passo per volta, chilometro dopo chilometro. Domani sarò ancora qui a Varsavia e poi ripartirò, verso nordest: Lituania, Lettonia, Estonia, mille chilometri che non saranno per niente facili. Ma io mi sento pronto e Peyton, come al solito, lo è molto più di me. Per il resto, possiamo solo andare a vedere che cosa ci riserverà questa volta la strada...

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