EuroVespa 50: settima parte, Parnu

EuroVespa 50: settima parte, Parnu
Simone Sciutteri è arrivato a Parnu in sella alla sua Vespa PK50, provando a segnare il nuovo Guinness dei Primati nella categoria Longest Journey on a 50 cc. Seguitelo passo passo nella sua avventura su Moto.it!
12 gennaio 2015

Pärnu, km 6437

Buon anno da Pärnu. Con un giorno di anticipo, perché domani spero di arrivare per tempo a Tallin, comprare il biglietto per il traghetto che il giorno dopo mi dovrebbe portare a Helsinki, farmi una doccia e godermi la serata. Sono in Estonia, da Varsavia pochi chilometri e tanti giorni. Non tutto è andato per il verso giusto, ultimamente.
Eppure la mattina in cui sono partito da Varsavia tutto sembrava così facile. Sì, avevo perso un giorno in più del previsto per aspettare le gomme da neve. E me le avevano montate al contrario! Così ero andato da Prezmek, un amico del Buena Vespa Social Club la mattina stessa a sistemarle nel suo garage. Prezmek, come Piotr a Cracovia, mi è stato di grandissimo aiuto. E entrambi si sono dimostrati ospitali, come se mi conoscessero da una vita. Incontro come questi sono uno dei grandi doni che mi ha fatto finora questo viaggio. E, mentre mi scarrozzava in giro per le vie di Varsavia, o mi offriva la colazione ed io continuavo a ripetergli “ma non ti preoccupare, non ti voglio disturbare!”, proprio Prezmek mi ha detto una cosa importante: “Bisogna imparare ad accettare i doni. E poi so che tu al mio posto faresti lo stesso”. Dopo chilometri noiosi lungo una strada non troppo trafficata e dal fondo perfetto, arrivo a Lomza che è quasi buio. Per una volta sono riuscito a combinare un'ospitata con Couchsurfing, dopo un paio di inviti che avevo dovuto far saltare per inconvenienti o cambi di rotta. La famiglia di Olga è di un'ospitalità grandiosa e quasi non faccio in tempo a togliermi la giacca che sono già pieno di cibo. C'era una tavola già imbandita ad aspettarmi. Olga mi porta a passeggio per la cittadina, mi indica grandi spazi nel buio che sono le colline dove lei va a camminare e le spiagge lungo il fiume che in primavera si riempiono di gente. Mi porta a vedere il cimitero ebraico, una distesa di pietre su una collina verde dove, mi racconta, ogni tanto arriva qualcuno a strappare le erbacce e a rimettere ordine e se ne, silenziosamente com'era arrivato.

Riparto da Lomza con la pancia piena di uova e pancetta e mentre avanzo nella fredda mattina polacca mi chiedo, come spesso mi capita durante i primi chilometri della giornata: chi me l'ha fatto fare? Poi però esce addirittura un raggio di sole, la campagna riprende di nuovo vita e arrivo di slancio ad Augustow. Pochi chilometri alla fine della Polonia, che mi ha accolto e mi ha regalato tanti begli incontri, ma non mi ha certo entusiasmato per le sue strade. Fino ad Augustow, almeno. Perché poco dopo è ancora Polonia, politicamente, ma geograficamente comincia un altro mondo. Mi infilo in una galleria di abeti e faggi, la strada riprende ad avere qualche movimento, spariscono le case di mattoni rossi e ricompare con prepotenza il legno, molto spesso colorato. I tetti, più spioventi che mai, preannunciano l'ingresso nel nord Europa.
Pochi chilometri dopo entro in Lituania. Sta già facendo buio e decido di fermarmi al primo paese che incontro, Lazdijai. Mi infilo nel piccolo centro. La poca gente in giro mi guarda stupita. Chiedo informazioni su dove trovare da dormire e mi mandano nella piazza centrale. L'unico Hotel del posto sembra però chiuso. Sto già pensando di trascorrere la notte dal benzinaio appena fuori paese, aperto 24h, ma prima decido di prendere un caffè nel bar accanto all'hotel. Chiedo, già che ci sono, informazioni. La ragazza mi fissa con due occhi azzurri spalancati e stupiti: non parla una parola d'inglese. Un ragazzo seduto a un tavolo mi da una mano, la ragazza fa una telefonata e in 5 minuti si materializza un signore attempato che, in pratica, apre l'albergo per me e per i miei dodici Euro. Mi fa pagare in Euro, anche se mancano ancora dieci giorni perché entri ufficialmente in corso in Lituania.

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Il giorno dopo Peyton, che ho lasciato colpevolmente parcheggiato all'aria aperta sotto il diluvio, parte al primo colpo. Poco dopo però mi accorgo che le frecce anteriori non funzionano. Poco male. Sono diretto a Vilnius, dove c'è il mio amico Paolo ed ho già in programma di dare una sistemata alla Vespa durante i giorni che trascorrerò da lui. Anche se piove a dirotto, tutto sembra andare per il meglio. Fino a che, appena venti chilometri dopo, Peyton tossisce un paio di volte e poi si spegne. Ok – mi dico – forse è solo questione di un po' di condensa dalle parti della centralina. Aspetto un po', tolgo il portaoggetti nel sotto sella per controllare che tutto sia a posto, ma non c'è niente da fare. Spingo Peyton per qualche metro, fino alla prima casa. Per scrupolo, prima di bussare, provo a mettere in moto e magicamente il motore si rimette a girare. Riprendo il cammino in mezzo alla verde campagna lituana, sorrido pensando alla cena che mi godrò a Vilnius, ma dopo qualche chilometro sono di nuovo fermo. Stavolta Peyton non ne vuol sapere. Si ferma un auto della polizia e uno degli agenti mi da una mano. Le proviamo tutte. Stacchiamo tutte le parti elettriche che possiamo e le asciughiamo con l'aria calda dentro la loro auto. Lui si mette anche ad armeggiare attorno al carburatore, stacchiamo il filtro dell'aria e forse faccio tutta un'altra serie di cose insensate, ma il tempo passa, Vilnius si allontana e siamo da un'ora fermi sotto la pioggia. Alla fine, magicamente, Peyton riparte di nuovo. Scrivo a Paolo di aspettarmi per cena, ma altri due chilometri e la storia si ripete. Stavolta spingo per un chilometro, fino a un ristorante lungo la strada. Chiedo al ragazzo che ci lavora se posso parcheggiare Peyton all'asciutto, nella legnaia e poi esausto mi asciugo e ordino la zuppa. Guardo malinconicamente fuori dalla finestra il diluvio ininterrotto e la strada dritta che avrebbe dovuto portarmi a Vilnius. Scrivo di nuovo a Paolo: sono fermo, mi sa che faccio autostop fino alla prossima città e cerco un meccanico. Ti vengo a prendere in macchina – mi risponde. E Peyton? Pure lui. Ecco, Paolo è il mio amico che fa diventare possibili le cose che all'apparenza assurde e che ti fa fare cose a cui tu nemmeno avresti pensato. Poche ore dopo scarichiamo Peyton dal bagagliaio della macchina e lo parcheggiamo nel garage dei genitori di Simona, che ci ospiteranno poi a Natale, a Jurbarkas, a pochi chilometri dal Kaliningrad.

Tra un abbuffata e una passeggiata sul lungofiume, rimettiamo in sesto Peyton. Controlliamo tutto quello che possiamo con buoni risultati: parte al primo colpo e il motore gira bene; non abbiamo trovato qualcosa che giustificasse lo stop di due giorni prima, ma ci convinciamo che fosse un problema carburatore sporco e il 26 dicembre riparto lungo le vie di Jurbarkas, circondata dal verde e dai fiumi, in una bellissima e gelida giornata di sole. Dopo qualche chilometro il motore tossisce, ma non si spegne. È solo a quel punto che vedo per puro caso, all'altezza di un foro passacavi sotto il carburatore, delle scintille e scopro che uno dei cavi che arrivano dal nottolino della chiave è completamente scoperto e rovinato. Mi spiego così il fatto che i problemi ci fossero sempre dopo notti piovose all'aperto e mi do da fare col nastro isolante. Riparto contento, anche se durante le manovre ho urtato il carburatore e adesso faccio il rumore di un aereo al decollo quando sono in folle. Ma rimando il problema all'arrivo della tappa. A Siauliai sento Andrea, che mi fa assistenza anche da lontano – e poverino lo disturbo anche durante le vacanze. Mi da istruzioni e l'indomani mattina fisso il carburatore...con del nastro americano, visto che tra le tante cose che mi sono portato, non c'è la chiave a brugola che mi servirebbe! Ma il risultato è quello che conta e la strada fino a Riga scivola senza inconvenienti. Anzi: è addirittura uno dei giorni di guida più belli, perché a qualche chilometro dalla città, dopo i primi biancori del giorno precedente, arriva la neve, quella vera! Quella che imbianca completamente i campi e le foreste che incorniciano la strada. I fiumi e i laghetti sono congelati e lungo la strada vedo i primi allevamenti di renne. In mezzo a tutto questo, la striscia di asfalto è perfetta, pulita come se fosse estate e mi convinco che da lì a Tallin, nonostante tutte le preoccupazioni che avevo, sarà una passeggiata. Tallin, poi Helsinki per Capodanno e magari mi fermo qualche giorno in più per sistemare bene il problema elettrico.
Tra le mura dell'ostello Peyton diventa una celebrità. La gente va fino al parcheggio nella piazzetta di fronte per controllare se la storia di questo italiano mezzo matto sia vera o se si sia inventato tutto. A Riga incontro anche Matteo. L'occasione di un'intervista per Ivg.it è invitante e divertente e ci facciamo una bella chiacchierata davanti a una cioccolata calda. Nevica tutta la sera. Ma sono troppo contento per preoccuparmi. Confido di trovare la mia striscia d'asfalto pulito anche il giorno seguente.

Scuoto la neve da dosso a Peyton, che senza brontolare si mette in cammino. L'inizio è insidioso: sono in pieno centro storico, la pavimentazione è di pietre e tener dritta la vespa sulle pietre innevate è un'impresa. Infatti scivolo al primo dosso! Ma piano, senza conseguenze. Comunque uscire dalla città è un'agonia ai 15 km/h, coi i piedi che accompagnano le ruote e i brividi a ogni piccolo cambio di direzione o a ogni irregolarità della strada. Finalmente fuori, l'asfalto torna amico e mi rilasso. Ma non ci siamo. A trenta chilometri dalla città mi fermo. Armeggio un po' intorno al cavetto maledetto, ma non c'è niente da fare. Spingo, di nuovo, Peyton fino al primo villaggio. Chiedo all'unico essere vivente che vedo in quel mare di neve e camini fumanti – un signore che sta spalando il cortile – se posso parcheggiare momentaneamente la mia moto lì da lui. Sarei tornato l'indomani, con un meccanico. Ci mettiamo un attimo per capirci, ma poi mi apre il cancello, mi fa parcheggiare, mi offre il caffè e si offre, visto che è domenica e le officine sono tutte chiuse, di darmi una mano per provare a riparare Peyton. Sua mogli e chiama il cugino, camionista, che poco dopo arriva e si mette a lavorare con noi. Dopo qualche tentativo di asciugare e rinastrare mi rassegno, devo fare qualcosa di più. Con un cavetto di scorta faccio un ponte per saltare la parte più rovinata. Peccato che più nastro scopro, più mi rendo conto di quanto è marcio: mi si sbriciola quasi in mano. Comunque, trovo due punti un po' più solidi e procedo. Peyton si rimette in moto! I signori mi invitano a cena, poi Normands – il cugino – mi accompagna a cercare un posto per dormire e mi dice che mi tornerà a prendere l'indomani. Mangio una zuppa, da solo a lume di candela, mentre nel ristorante diffondono una musica melensa. Sono preoccupato, di pessimo umore. Ho scritto il resoconto della giornata e ho ricevuto tanti incoraggiamenti. Ma l'idea di non sapere se davvero riuscirò a ripartire è frustrante. Devo prendere una boccata d'aria. Faccio due passi in mezzo alla neve. Da qualche parte, anche se non capisco da dove, arriva un luce che fa brillare la neve gelata. Laggiù c'è il mare, non lo vedo, ma lo sento. Le nuvole del pomeriggio sono sparite e tra i rami intravedo un cielo stellato dalla bellezza insensata. Per un attimo mi dimentico di tutto e mi perdo in quella visione, fino a che il freddo non mi rispedisce in camera, davanti al bagaglio sparpagliato in giro e al portatile aperto speranzoso su GoogleMaps.

Vicino a Peyton trovo un pacchettino: la signora mi ha lasciato un panino, dei cioccolatini, una mela. Sono commosso. Rimetto in moto al primo colpo, spingo la Vespa attraverso la neve alta fino a bordo strada e sto per montare in sella e salutare Normands quando Peyton tossisce e si spegne. Per un attimo penso “e adesso?”. Ma non c'è molto da fare. Normands si offre di aiutarmi a cercare un'officina. Quando finalmente ne troviamo una aperta, mi dicono che i ragazzi che lavorano con le moto quel giorno lì non erano in servizio. Gli chiedo se me li può chiamare. Dopo 10 minuti sono lì. E si appassionano. E uno dopo l'altro affrontano tutti i problemi che si erano accumulati. Il cavetto, il carburatore fissato male, la carburazione completamente sballata. È sempre così coi mezzi meccanici, se sei un dilettante come me: per risolvere un problema, ne crei altri dieci e finché non li affronti in maniera decisa e vai avanti a rattoppi, non puoi che andare avanti di male in peggio. Dopo sei ore di lavoro tutto sembra essere a posto. I ragazzi mi chiedono venti euro, ma mi rifiuto di dargli così poco. So che forse non è molto elegante, ma è l'unico modo che ho per ringraziarli e per dimostrar loro quanto è grande quello che hanno fatto per darmi una mano. Alla fine accettano i soldi solo perché gli dico che valgono anche nel caso in cui io rimanga piedi l'indomani!
Il resto è storia di oggi. Previsioni del tempo pessime, che in una situazione differente mi avrebbero fatto rimanere al caldo. Matteo che mi da un passaggio fino all'officina. Peyton che perde un piccolo colpo dopo cento metri, ma è solo un colpo di tosse di uno che si è appena svegliato dopo un lungo sonno. Poi canta, come se fossi partito oggi da casa. Quando entro in Estonia sono euforico. La situazione climatica è pessima, nevica abbondantemente, ma la strada tiene bene, c'è poco traffico, il paesaggio è grandioso e finalmente vedo anche il mare, in mezzo agli alberi, che spuma irrequieto sulle sponde innevate sbattendo qua e là qualche pezzo di ghiaccio. Ma devo restare concentrato. Non fa freddissimo, gli scaldini chimici tengono al sicuro mani e piedi, ma sulla visiera del casco si è congelata la condensa e devo viaggiare tenendola aperta. In più, i pochi mezzi che mi sorpassano, sollevano nuvole si neve e sabbia. Mi bruciano gli occhi, ma non importa: spero in un aumento del traffico, perché vedo le condizioni della strada sempre peggiori. In più, il vento è aumentato e spazza i rami degli alberi muovendo nuvole di neve che creano effetto nebbia. La strada ora è tutta bianca, impossibile distinguere neve e sale.
Senza capire perché, mi sbilancio. Il tempo di rendersene conto e non c'è già più nulla che possa fare per rimanere dritto. Maledico la mia euforia di poco prima, scivolo una ventina di metri e mi rialzo, senza conseguenze. Peyton ha lo specchietto un po' rigato e un angolo del parabrezza è volato da qualche parte. Peccato per gli adesivi che ho perso per sempre. Mentre rifiato a bordo strada, dopo tanti minuti di silenzio e solitudine, il primo mezzo che passa, beffardamente, è lo spazzaneve! Proseguo con la massima cautela. Sono a meno di quaranta chilometri da Pärnu. Quando entro in città sento che lentamente la tensione della giornata – una specie di groppo all'altezza della bocca dello stomaco – si va sciogliendo. Gli ultimi chilometri sono un pantano in mezzo alla tormenta, affrontato un po' a spinta e sempre coi piedi per terra, zigzagando incurante della segnaletica, fino all'ostello. Quando metto Peyton sul cavalletto, in un attimo rivivo la settimana appena andata: tutte le volte che mi sono detto “e ora?” o “chi me l'ha fatto fare?”, tutte le volte che sono ripartito e mi sono fermato, tutte le difficoltà e la tensione. E forse, mentre sfilo il caso, mi è sembra – tirando un sospiro di sollievo soddisfatto – di avvertire due minuscole gocce di ghiaccio agli angoli degli occhi; ma sicuramente è colpa del sale.

È stata la settimana più difficile. Lo sapevo fin dall'inizio, anche se non mi aspettavo i problemi meccanici e i saliscendi dell'umore e la frustrazione di procedere a singhiozzo che mi ha minato parecchio lo spirito. Ma ho imparato anche tanto dall'aiuto e dall'ospitalità che ho incontrato in questi giorni. Ho capito che Eurovespa non è solo il mio viaggio, né solo la mia storia. È anche il viaggio dei ragazzi dell'officina, di Paolo, di Matteo, di Prezmek, di Piotr, di Bobi, Danilo e Antonio da Podgorica, di Sara da Istanbul, dei ragazzi di Firenze in gita a Vienna, di Dejan da Belgrado, di Nikolas e Dejan da Nis, di Svetovar da Varna, di tutti quelli che mi hanno dato una mano, che mi hanno ospitato, che mi hanno anche solo indicato una strada. E di tutti quelli che mi hanno scritto sulla pagina Facebook Eurovespa, che mi hanno incoraggiato, che mi hanno mandato un messaggio. Non so se e quanti problemi avrò ancora lungo la strada, né posso prevedere dove riusciremo davvero ad arrivare io e Peyton, ma già adesso, per quanto mi riguarda, questo viaggio è stato un successo ed un esperienza incredibile. Ieri, in officina, a un certo punto ho detto: “Beh, se anche questa volta non funziona, mi arrendo”. Il ragazzo mi ha guardato e mi ha detto, semplicemente: “No. You can't give up!”. Ecco. Magari invece a un certo punto mi dovrò arrendere, ma non certo per un cavetto malandato. Finchè possiamo, io e Peyton ce la mettiamo tutta.
Adesso sta piovendo. Poco fa, passeggiando per Ruutli, la via pedonale che d'estate s'accende di movida in questa che è la capitale estone del mare, sentivo la neve scricchiolare, e cadere dai tetti e osservavo la poltiglia della neve che si scioglie sulla strada. Le previsioni del tempo danno temperature in forte rialzo, addirittura sopra lo zero di un paio di gradi. Se davvero così fosse, la strada dovrebbe essere dalla mia, domani. Ma ci penserò davvero domani mattina. Adesso mi godo la ritrovata sensazione di essere in viaggio e la soddisfazione per essere venuto fuori da una giornata complicata. Tallin, Helsinki, Turku, Stoccolma, Copenaghen. Sono questi i prossimi, difficili chilometri. Ma ci penserò, come sempre, un po' alla volta. Al massimo stasera riesco a immaginare – se tutto andrà bene – come sarà entrare nel nuovo anno sotto il cielo d'Estonia.

Simone Sciutteri

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