Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su [email protected]
Tutti i maratoneti, alla domanda “quali sono stati i chilometri più difficili?” rispondono “gli ultimi”. Non gli ultimi metri, quelli che si fanno con le tribune e il traguardo già in vista; quelli li si fa col sorriso, o commuovendosi o trovando addirittura la forza per un ultimo sprint. Ma gli ultimi chilometri, quelli in cui magari le sorti della corsa sono già decise, quelle in cui il maratoneta si rende conto di aver staccato gli avversari, di avere davanti a sé un'inezia rispetto a quello che ha già percorso: quelli sono i chilometri che non finiscono mai. Così questi ultimi giorni per me e Peyton.
Quando lasciamo Lisbona sento subito un po' di “saudade”. La città e il suo fascino, l'idea di essermi lasciato alle spalle il primo traguardo volante, le belle giornate che ho passato in compagnia di amici vecchi e nuovi. Per tutti questi motivi non è facile lasciare Lisbona, ma è tempo – mi dico – di tornare a casa. Quindi, per prima cosa, sbaglio strada! Passato il ponte sul Tago (molto a nord di Lisbona, dove c'è l'unico che possiamo attraversare io e Peyton) imbocco una strada verso Sud, ma me ne accorgo solo dopo 20 chilometri. Pazienza, non ho troppa fretta, il tempo è bello, la strada deserta. Ma non passa molto che inizio la mia personale battaglia col vento. Io voglio andare verso est, lui va verso ovest. Inutile dire che non riusciamo a metterci d'accordo e che è decisamente più forte lui. Ma io e Peyton resistiamo. Mi fermo spesso per far rifiatare il motore: di fatto è come se stessimo andando costantemente in salita e in certi momenti fatico a tenere inserita la quarta e in certi momenti addirittura la terza. La giornata di fatica viene ripagata dall'arrivo a Elvas, proprio mentre il tramonto colora l'imponente acquedotto romano che caratterizza la cittadina.
Pochi chilometri ed entriamo in Spagna. Il primo benzinaio da cui mi fermo per fare colazione mi dice di rassegnarmi: l'Extremadura è così: ventosa, quasi sempre. E la piega degli alberi mi fa capire che anche la direzione prevalente è proprio quella che fa faticare me e Peyton. Andiamo avanti a passo lento. Riusciamo a fare non più di 160 chilometri in tutto il giorno. Il paesaggio ci ripaga abbondantemente, comunque. La strada è bella e poco trafficata, come tutte le vecchie nazionali spagnole. Uliveti, rocce, pascoli, qualche piccola cittadina. In certi momenti mi sembra di essere sulla luna. C'è sempre il sole e la luce che colora le rocce e la terra rossa da un tocco di magia che rende certe ore indimenticabili. Mi accampo in una vallata, vicino a un torrente, dentro al recinto di un campeggio ancora chiuso per l'inverno, ospite del custode. Qualche volta, quando inizia a essere l'ora giusta per accamparmi, vedendo un'insegna mi sono fermato a chiedere e finora mi hanno sempre dato ospitalità; così ho un posto sicuro per Peyton e spesso anche bagno e doccia a disposizione. Il fatto è che l'attrezzatura da campeggio, come me, comincia a perdere qualche colpo: mi sveglio al mattino a livello del suolo. Il materassino si è bucato e immagino che il responsabile sia il gatto con cui ho giocato tutta la sera precedente mentre montavo la tenda. Pazienza, mi dico anche questa volta: ormai manca poco e non fa più nemmeno troppo freddo.
I chilometri successivi sono la replica dei precedenti: lunghe giornate scandite dall'allungarsi della nostra ombra sull'asfalto, strade poco trafficate e mente che vaga spostandosi tra il paesaggio e i pensieri che comincio a rivolgere seriamente al momento dell'arrivo. Però andiamo sempre piano, troppo piano. A un certo punto ci si mette anche una foratura (in un punto anche poco simpatico in cui accostare, così semino lungo il bordo carreggiata le sacche gialle del bagaglio per segnalare la mia presenza a bordo strada). È appena la seconda in tutto il viaggio, quindi non posso certo lamentarmi, però inizio a storcere il naso. Questi chilometri sembrano non finire mai.
L'alba è tra la nebbia de La Mancha. Non c'è vento, finalmente. Ma Peyton continua ad arrancare. A questo punto, mi dico, devo capire cosa c'è che non va. Un po' di giorni addietro – dopo un consulto a distanza con Andrea e Luca – avevo dato qualche colpo di cacciavite dentro la marmitta, per stapparla da eventuali depositi e la cosa sembrava aver funzionato. Ma, evidentemente, non abbastanza. Mi fermo dopo pochi chilometri, in un officina. Passiamo più di un'ora con la fiamma ossidrica a cercare di bruciare i depositi che hanno completamente tappato la marmitta, ma la situazione è tale che alla fine bisogna arrendersi alla soluzione più drastica: un bel buco! Ripartiamo facendo un rumore che mi sembra di guidare una Harley Davidson, ma Peyton...vola! Le strade de La Mancha adesso scorrono veloci e me le godo sorridendo e cantando.
La Spagna mi regala ancora soddisfazioni lungo la strada che mi porta verso Utiel. L'asfalto è perfetto e il paesaggio anche. Mi accosto per fare qualche foto, proprio dove il cavalcavia dell'autostrada taglia il lago. La luce è bellissima, le pareti rocciose della vallata si tuffano nell'acqua, un paio di aquilotti disegnano le loro ombre sulla superficie del lago e poco lontano da me alcune capre selvatiche brucano tranquille tra i cespugli. Tutte cose che le auto che corrono veloci su quel cavalcavia non potranno mai godersi. Fermo nello stesso piazzale c'è Luis, un ragazzo di Valencia, innamorato delle sue montagne. Mi racconta e spiega e starei ore ad ascoltarlo se non fosse che si sta facendo buio. Arrivo ad Utiel, trovo una stanza in un motel e vado a dormire felice.
Ma il meglio doveva ancora venire! La strada che mi porta da Utiel verso la costa, dirigendomi a nord ovest, per aggirare la zona urbana di Valencia, è sicuramente una delle strade più belle del viaggio. Stretta, ma deserta; piena di curve che si appoggiano ai pendii e ai profili delle vallate. Il paesaggio è mozzafiato e tocca l'apice della bellezza dalle parti di Alcublas. Mi fermo ogni paio di curve per guardarmi intorno. Passa spesso anche mezz'ora prima che incroci una macchina. Mi godo il silenzio e i panorami, prima di iniziare la discesa, attirato dall'idea di rincontrare, dopo tanto tempo, il Mar Mediterraneo. Che arriva improvviso, poco prima dell'imbocco della starale 340, la strada che dovrebbe portarmi diritto a Barcellona.
Insieme alla vista del mare torna però uno sgradito compagno: il vento. Stavolta mi prende quasi di traverso, con folate fortissime che rischiano di sbattermi fuori strada. C'è anche parecchio traffico, molti camion prendono la statale per risparmiare i soldi del pedaggio e dopo pochi chilometri mi arrendo. Accosto e parcheggio davanti a una taverna. Trovo un posto al riparo dal vento, altrimenti Peyton rischierebbe di cadere dal cavalletto ad ogni folata. Mentre mi sistemo a un tavolino, mi guardo intorno per capire dove passerò la notte e chiacchiero coi vecchi del tavolo vicino. “Domani sarà peggio di oggi” mi dicono. Sconsolato, immagino già di dover passare un giorno fermo: troppo pericoloso mettersi in viaggio, carico, in quelle condizioni. Poi però ricevo un messaggio da Paolo e Checco: c'eravamo dati appuntamento a Barcellona, volevano venirmi incontro per fare un po' di festa prima del mio arrivo in Italia. “Aspettaci lì!” mi scrivono e all'una e mezza di notte stiamo brindando insieme. Visto il vento escludiamo di montare la tenda e passiamo comodamente la notte in tre su una Panda!
L'indomani posso scaricare Peyton, smontare anche il parabrezza, caricare tutto sulla macchina degli amici e mettermi in viaggio, nonostante il vento. Mi scortano per due giorni, fino a Barcellona, che riesco quindi a raggiungere nonostante il vento non cessi mai. In città incontro Camilla, l'ultimo “Erasmus” da salutare lungo il cammino. Visto che è giunto il momento di cambiare candela, le regalo la “Camilla” che mi ha portato fino a Barcellona e innesto quella che, secondo i miei calcoli, sarà l'ultima “Camilla” di Eurovespa.
Saluto gli amici e torno a caricare i bagagli su Peyton. Gli ultimi chilometri in Spagna e i primi in Francia continuano a essere frustati da fortissimi venti che mi investono di lato. Mentre valico i Pirenei, nel punto in cui si tuffano in mare, passo parecchi momenti difficili, spesso devo rallentare fino quasi a fermarmi e a volte devo anche appoggiare il piede destro contro il guardrail o il muretto per evitare di essere sbattuto fuori strada dalle folate di vento. Passo la notte in tenda, poco dopo il confine, dormendo poco. Il vento fa schioccare il telo, sono stanco e soprattutto mentalmente stressato dalle ore di guida in cui mi sento costantemente in pericolo, ad ogni colpo di vento. Sono felice di aver però almeno passato i Pirenei: visto che danno il vento in aumento, “se oggi è stato difficile e rischioso, domani avrebbe potuto essere impossibile”, mi dico.
In effetti il vento aumenta ancora. Soprattutto dalle parti di Leucate, dove sono completamente esposto, le cose si fanno difficilissime. Tenere dritto Peyton è faticosissimo e rischio innumerevoli volte di finire fuori strada. Dopo un passaggio particolarmente difficile, mi fermo a riprendere fiato. Accosto davanti a un negozio di windsurf e decido di chiedere informazioni: chi meglio di loro può conoscere i venti locali? “Devi sopravvivere fino a Narbonne. Passato quel punto il vento cala di molto”. Narbonne dista quaranta chilometri, che in quelle condizioni sono tantissimi. Ma mi fisso il punto in testa: ho bisogno di credere alle indicazioni del ragazzo per riuscire a tener duro. Ancora trenta, ancora dieci, ancora cinque...Narbonne: e il ragazzo aveva ragione! I chilometri successivi sono ancora una lotta, ma meno sfiancante e meno pericolosa di poco prima. Arrivo a Vauvert e mi fermo. Il giorno dopo proseguirò attraverso la Camargue e ritornerò sulla costa dopo aver superato Marsiglia e Tolone.
Arles, Aix-en-Provance e poi di nuovo verso il mare. Sono belle strade, c'è il sole, Peyton non perde un colpo. E non c'è vento. Mi fermo spesso, ma solo per la voglia di un caffè e per godermi il momento. Adesso, lo sento, manca davvero poco. E conto i chilometri. Finalmente mi sento il maratoneta all'ingresso dello stadio. I chilometri della fatica, quelli che non finiscono mai, sono alle spalle. Adesso avrei quasi voglia di sprintare e il buio che arriva e mi fa fermare poco prima di Frejus sul momento mi indispettisce. Ma poi mi godo il momento, come quando avevo in vista Cabo da Roca. Mi accampo a pochi metri dal mare, guardo le luci di Cannes in lontananza e conto i chilometri. I prossimi mi riporteranno in Italia e, chilometro più, chilometro meno, saranno quelli con cui supererò l'attuale record. Ma a Peyton non dico niente, non vorrei che si emozionasse e facesse il timido!
Appena passato il confine mi fermo e abbraccio Peyton, tra gli occhi stupiti dei camperisti parcheggiati. Ce l'ha fatta. Nonostante il freddo, la neve, la pioggia, il ghiaccio, il vento, le cadute, la mia pessima guida, le volte che l'ho tirato a freddo, l'olio pessimo e la benzina ancora peggiore che gli ho fatto bere lungo la strada, i contrattempi, i piccoli guasti, i colpi di tosse, le inchiodate, i miei chili e quelli del bagaglio, le salite, i passi di montagna, le picchiate col motore su di giri, le tempeste di sabbia, il fango, la terra, le rotonde ripetute tre volte perchè non capivo i cartelli, le buche, i salti, le volte che ho sbagliato strada e tutte le altre cose che ha dovuto sopportare, Peyton ce l'ha fatta: mi ha riportato (quasi!) a casa!
Dovrei spendere mille parole per provare a raccontare la sensazione e lo stato d'animo. Ma non ci riuscirei. È strano. È tutto così normale adesso, tutti i chilometri, così lontani, così tanti. Non riesco ancora a rendermene conto e tanto meno a spiegarlo. Mi fermo a dormire a pochi chilometri da casa, poi valico verso la Pianura Padana, mi fermo a casa di amici, Stefano e Michela dalle parti di Ovada, Alberto e Giulia a Vigevano.
Stasera mi fermo qui. Domani arriverò a Milano e sarà strano essere di nuovo lì, dove sono partito quattro mesi fa. Poi ci sarà ancora un po' di strada da fare. Dopo Milano farò tappa a Modena, per mantenere una promessa. E quindi a Pontedera, perchè sin dall'inizio il mio arrivo era fissato lì: per rendere omaggio alle Vespe di Giorgio Bettinelli. Perchè Eurovespa è nato innanzitutto da quelle pagine. No Peyton, non è ancora il momento di parcheggiare sotto casa, anche se è lì, a portata di mano. Quel momento, che non riesco neppure a immaginare, è sempre più vicino, ma ancora non è arrivato. Per ora l'appuntamento è domani a Milano, vicino alla sede di Moto.it. Se ripenso a quel piovoso pomeriggio di novembre, mi sembra incredibile essere di nuovo (quasi!) lì.