EuroVespa 50: undicesima parte, Lisbona

EuroVespa 50: undicesima parte, Lisbona
Simone Sciutteri è arrivato a Lisbona dopo 12.143 chilometri percorsi in sella alla sua Vespa PK50, provando a segnare il nuovo Guinness dei Primati nella categoria Longest Journey on a 50 cc. Seguitelo passo passo nella sua avventura su Moto.it!
16 febbraio 2015

Lisbona, 12.142 km

Con il senno di poi – ma esiste qualcosa di più inutile del senno di poi? – tornerei indietro a Irun, scaccerei il malumore della giornata fredda e affronterei i primi chilometri in Spagna col sorriso. Invece svegliandomi e guardano fuori dalla finestra il nevischio e il cielo grigio e compatto come una lastra di cemento e le vette innevate che mi circondavano, sono risalito su Peyton di pessimo umore e ho affrontato la traversata dei Paesi Baschi godendomi ben poco del paesaggio che mi scorreva accanto. Troppo freddo e inaspettato, troppi chilometri fatti ai 20 km/h su salite ripide e troppe discese con asfalto brutto e bagnato. Troppi grovigli di rotonde e svincoli e incroci con Autovie e Autopiste che mi scacciano fuori traiettoria. Fino a Bilbao. Basta poco – dovrei esserci abituato e invece ancora mi stupisco e mi faccio trasportare – per raddrizzare la giornata. Sulla piattaforma del “puente colgante” che mi sta portando a Portugalete si avvicina Carlos, mi chiede da dove arrivo e si entusiasma per il racconto del mio tragitto. Tanto da offrirsi di portarmi fino all'imbocco della statale su cui devo proseguire il viaggio. Arranco dietro di lui lungo i saliscendi che escono dalla zona urbana di Bilbao, lui si prende anche qualche clacsonata da altre automobili, visto che procede pianissimo per aspettarmi, ma se frega e quando finalmente si accosta e ci salutiamo, mi porge il suo biglietto da visita. “Se dovessi avere bisogno qui in Spagna, chiamami”.
Riparto felice e qualche chilometro dopo incontro Jean-Marc, il primo pellegrino sulla via di Santiago, in bicicletta, mentre sale agile l'ennesima rampa tirandosi dietro il carrello dei bagagli. Ci fermiamo, in cima, a scambiare qualche parola e reciproci incoraggiamenti. Mi chiede il nome e mi promette che mi citerà nelle sue preghiere all'arrivo. Anche se le mie vie, in tutti i sensi, sono diverse dalle sue, non posso che ringraziarlo. Intanto, la giornata si è definitivamente illuminata, nonostante riprenda a piovere e quando mi fermo in una pensione lungo la strada sono soddisfatto e vado a dormire felice.

Le “carretera nacional” sono le vecchie strade di scorrimento, cadute quasi in disuso dopo la costruzione delle autostrade. Il traffico è scarso quasi ovunque. Alcuni tratti sono quasi abbandonati, giusto qualche conetto per segnalare un buco o una frana, ma in generale restano in condizioni discrete e per me e Peyton sono perfette. Ci portano a destinazione senza dover troppo sfogliare la mappa. Seguo la N-634 per molti chilometri, poi la lascio per imboccare la N-632, che resta sulla costa e mi porta a Gijon. La giornata si apre, spunta il sole e la Cordigliera Cantabrica si mostra in tutto il suo splendore. Siamo quasi in riva al mare, in certi tratti la strada costeggia la spiaggia, eppure il paesaggio rimane quasi montano e le vette innevate sembrano quasi precipitare nelle acque dell'Atlantico, che schiuma frangenti che fanno la felicità di qualche surfista incurante del freddo. Anche l'indomani proseguiamo immersi nella meraviglia, fino a Serantes, dove l'unico ponte è autostradale e ci è proibito, ma poco importa: imbocchiamo la N-640, che ci porta in Galizia. Riprendiamo a arrampicarci lungo una vallata verdissma, attraversando villaggi di campagna punteggiati dai tipici “horros”, sorta di palafitte che poggiano le gambe su quattro grandi pietre, che una volta – così mi spiega un vecchio galiziano mentre mi fermo a prendere un caffè nel piccolo bar di uno di quei villaggi – venivano usati come dispensa mentre ora sono quasi sempre riconvertiti in salotti o stanze per gli ospiti. Torniamo sulla cima, di nuovo in mezzo ai prati innevati che luccicano al sole. Sono strade fatte alla vecchia maniera, quando non ci si poteva permettere lunghi viadotti e gallerie infinite. Io e Peyton seguiamo i profili delle montagne, saliamo sui promontori, scendiamo nelle calette e nelle vallate e ci facciamo portare dal ritmo dolce delle curve. Sono strade che nessun navigatore consiglierebbe, strade che nessuno percorre per lunghi tratti, a meno di non esservi costretto. Che poi è proprio il motivo per cui io invece ho deciso di affrontare Eurovespa in sella a Peyton.
L'ultima sosta la facciamo a Vilalba, uno di quei posti poco turistici dove mi piace fermarmi. Mi premio con un polpo alla gallega, passeggio per il piccolo centro storico e, di nuovo, vado a letto soddisfatto. Stiamo facendo tanta strada, godendocela tutta, metro dopo metro, con l'aiuto del bel tempo.

Mi piaceva l'idea di arrivare a Santiago, dopo aver percorso tanti chilometri lungo il “Camino del norte”. Pellegrini non ne abbiamo incrociati molti, anche per camminare non è alta stagione. Però il nostro personale “Cammino di Santiago in Vespa”, partito con l'umore del penitente e finito con un sorriso trionfante, ci tenevamo davvero a concluderlo. Poi via, verso sud. Mi ospitano Tolo e Marta, a Playa de Limens, un villaggio incantevole vicino a Pontevedra, il posto perfetto per concludere questa piccola parte del viaggio.
Quando arrivo davanti al “Puente Internacional Tui-Valença” mi fermo. Accosto Peyton vicino all'argine. “Ehi. Ti rendi conto? Stiamo entrando in Portogallo!”. Mentre lo attraversiamo sento salire un fiume in piena di euforia, che accompagna le immagini di me alla partenza, migliaia di chilometri prima, quando tutto questo mi sembrava impossibile. Mi rendo conto, all'improvviso, di quanta strada abbiamo fatto. Qualche metro prima, come ho fatto ogni volta che sono entrato in un nuovo paese, comincio la mia cantilena rituale: “ E stiamo...entrando...in...Por-to-gaaaaaal-lo! Welcome to Portugal, Peyton!”, ma questa volta mi sgolo e balzo in piedi su Peyton ed esulto in preda all'euforia! Tanto che...qualche metro dopo, rischio di cadere sul selciato e devo anche tornare indietro perchè mi ricordo di non aver nemmeno scattato la foto di rito appena entrato in suolo portoghese.
Mi fermo poco prima di Porto, perchè non ho voglia di entrare in città mentre fa sera, perchè comincia a piovigginare e perchè, attraversandola, Vila do Conde mi ispira. Mi sembra una di quelle sensazioni che ho chiamato “lo spirito del viaggio” e che ho imparato a seguire. E in effetti anche questa volta il viaggio mi sorprende: entrato in un piccolo bar nel parco centrale, chiedo ai presenti se qualcuno parla inglese o spagnolo o francese o italiano, perchè purtroppo ancora non ho imparato molto di portoghese. Vorrei solo che mi consigliassero un posto economico dove dormire. Mi risponde “Pirikito”, un tizio dall'aria simpatica. Dopo cinque minuti scopro che è un meccanico, appassionato di moto e molto anche di Vespe, che ne sta restaurando tre, che c'è un ostello della gioventù in cui mi accompagna, che posso parcheggiare Peyton nel suo garage e che, infine, sono anche invitato a cena a casa sua! Mi regala uno stock di cavi di ricambio, qualche candela, mi presenta il presidente del Vespa Club locale, e anche lui mi lascia il numero di telefono, in caso avessi bisogno di qualcosa mentre attraverso il Portogallo. Ancora una volta, non so cosa dire: chi mai avrebbe pensato, 12.000 chilometri fa, che mi sarei fermato a Vila do Conde? Con quale altro mezzo, in quale altro viaggio, non avrei fatto quei venti chilometri che mi separavano da Porto per fermarmi lì, quella sera?
Attraversiamo Porto, costeggiando le rive del Duoro, fino al vecchio ponte Luis I, immersi nell'atmosfera della città, mentre le macchine sfrecciano sopra la nostra testa lungo il ponte autostradale.

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Il Portogallo per lunghi tratti mi regala bella gente e brutto asfalto, con buchi e toppe fatte di sampietrini su cui io e Peyton continuiamo a sobbalzare, ma anche tratti di strada bellissima, lungo la costa. Supero Figuera da Foz e campeggio poco fuori città. Mentre cucino sul fornelletto da campo mi rendo conto che sto indossando solo una maglietta e il pile. Peyton sta tenendo duro benissimo, Cabo da Roca si avvicina. L'indomani mi aspettano altri chilometri di strada che si preannuncia semplice e spettacolare. Mentre mangio i biscotti al cioccolato che mi sono comprato come dolce, mi sento perfettamente felice. Ed è una sensazione che dura tutto il giorno seguente, soprattutto quando prendo la “Estrada Atlantica”, che mi porta lungo la costa, paradiso del surf, tra Nararè ed Ericeria. Faccio una piccola deviazione cittadina, per pranzare in compagnia di Cat, che si è trasferita per lavoro a Caldas da Rainha da un mese. Non potevamo non incrociarci, visto che ci siamo visti quando sono passato a salutare Pietro, il suo ragazzo, a Trieste, più o meno 11.000 chilometri prima! Guardando le foto che abbiamo scattato quella sera e quella che facciamo lì per celebrare l'incontro, rido notando quanto sia cresciuta la barba...e quanto invece siano poco cresciuti i capelli! Ma sarà solo perchè sono rimasti schiacciati tanto tempo dentro al casco...
Mi fermo per la notte ad Ericeria. Pensavo di arrivare fino a Sintra, ma la vista di Cabo da Roca da lontano, proprio davanti alla terrazza dell'ostello, mi rapisce. Voglio assaporare la sensazione. Cabo da Roca, il punto più occidentale dell'Europa continentale, come primo traguardo di questo viaggio. È lì, che mi aspetta, e intanto me lo godo, da lontano, al tramonto e poi all'alba.

L'indomani passo da Sintra, mi fermo per colazione. Non ho nessuna fretta di arrivare e per lunghi tratti gioco a seguire l'andatura del trenino che percorre lentamente i dintorni della cittadina, verso Cabo da Roca. Quando mi ci avvicino, rallento ancora. La strada comincia a scendere, curva dopo curva. Io rallento ancora, emozionato. Poi finalmente spunta il faro, e mi fermo. “Sei pronto Peyton?” Ingrano di nuovo la prima e lentamente parcheggio Peyton davanti al muretto, affacciato sull'Oceano, proprio sotto la croce. “Qui dove la terra finisce e inizia il mare”. Dove finisce la terra finiscono anche le strade. Mentre metto Peyton sul cavalletto, mi rendo conto che quello è per noi davvero un punto di arrivo. Basta, oltre non si può andare. Resta solo da girarsi. E tornare a casa. Il lungo ritorno inizia da lì. Sono confuso, ondeggio tra “ce l'abbiamo fatta!” ed “e adesso?”. Poi arriva un gruppo di turisti italiani e un altro di motociclisti di Lisbona e travolgono me e Peyton con entusiasmo, foto, complimenti. Rido, racconto e mi dimentico per un po' la sensazione strana di poco prima. Che però, anche dopo due giorni a passeggio per Lisbona, è sempre lì e probabilmente si dipanerà solo poco a poco, quando ricominceranno a correre i chilometri sotto le ruote. E cominceremo, per davvero, a contarli.

Simone Sciutteri

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