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Dovevamo essere in quattro, alla fine partiamo in sette. E non è la stessa cosa. Innanzitutto per questioni organizzative. Trovare due stanze in un paesino del Montenegro, soprattutto se non si hanno grandi pretese, è abbastanza semplice.
Ben altra cosa è cercarne quattro (di cui una possibilmente per una persona sola). E poi andranno tutti d’accordo? Alcuni si sono conosciuti grazie a whatsapp, e poi de visu solo davanti a una pizza.
Inutile dirlo, gran persone, ma anche grandi caratteri (anche nel senso peggiore): lo scontro è sempre in agguato e rovinare una vacanza divertente per farla diventare una lagna è un attimo.
Le vacanze di gruppo riservano sempre sorprese, spesso piacevoli, ma a volte diverbi banali sulla scelta di un ristorante diventano motivo di litigi e rottura di amicizie. Ora questa è acqua fresca, lo sapete anche voi, ma al netto del fatto che ho sempre viaggiato con amici, quindi persone che stimo e per le quali provo profondo affetto, so anche che alcuni sono capaci di adombrarsi per aspettative disattese, anche in parte, e soprattutto quando meno te lo aspetti.
Come puoi immaginare che un padre di famiglia possa risentirsi per l’ordinazione sbagliata in un ristorante di Bangkok.
In viaggio ci può stare di sbagliare comanda, soprattutto se il menu è tradotto con un inglese approssimativo che può portare fuoristrada. A me è successo e a nulla è servito suggerire un altro piatto. Il danno era fatto ed era irrimediabile.
A quel punto si può solo sperare che il malumore duri lo spazio della cena: se non succede e ogni sera al momento di scegliere il posto dove attovagliarsi si scatena un dramma shakespeariano, va da sé che devi cambiare compagni di viaggio.
In ogni caso, anche con i nuovi una accurata selezione non guasta. Nel nostro caso più che selezione c’è stata aggregazione, ma lo spirito (e l’entusiasmo) con cui hanno aderito fa ben pensare. E comunque qui sotto trovate sette brevi ritrattini dei miei compagni di viaggio. E se il buon giorno si vede dal mattino, i presupposti per una bella vacanza ci sono tutti. A partire da loro.
Sono una coppia collaudata. Lei architetto, lui nel ramo assicurazioni con una passione per le buone letture e per Tex.
Da più di 30 anni hanno sincronizzato le loro vite con un matrimonio, due figli, due nipoti (nel senso che sono nonni), due cani, e non hanno perso il gusto di andare a zonzo per il mondo.
Lei propone le destinazioni, lui dispone e la convince a fare cose anche molto differenti. Ma è soprattutto l’entusiasmo con cui supportano ogni loro scelta (anche non itinerante) a raccontare la loro voglia di vivere e sperimentare nell’antico senso di esperire. Hanno superato prove forti e non drammatizzano mai: preferiscono smussare più che acuire questioni, ma non dissimulano.
Lontani mille miglia da logiche di compromesso, soprattutto in termini di valori, i loro occhi raccontano la voglia di fare e di non rimanere fermi troppo a lungo. Anche sulle loro posizioni.
È single per forza in questo viaggio. La Pina, sua moglie, non reggerebbe l’urto di tanti chilometri in moto su e giù per i Balcani. Il suo impegno come vicepreside in un istituto superiore dell’hinterland milanese le assorbe grandi energie. Preferisce il comfort della casa vista lago.
Lui invece non vede l’ora di montare in sella alla sua nuova Honda con cambio automatico DCT («In città è come uno scooter, ma quando vuoi diventa una moto a tutti gli effetti»). Cesare è carico, è appena tornato da Londra dove ha assistito (moglie al seguito) al concerto di Eric Clapton: roba da matusalemme, gli hanno whazzappato in coro i due figli, ma per lui è stato come togliere 40 anni sulla carta di identità (almeno per un paio d’ore).
E forse anche per questo ha l’entusiasmo di un adolescente alla prima vacanza senza genitori. Metodico, prepara il bagaglio e studia gli eventuali acquisti da fare con il rigore del dirigente di banca alle prese con gli stress test di Basilea 3, ma sentirlo valutare le specifiche di uno stivale da moto proietta nella surrealtà. Oltre a infondere un’iniezione di fiducia anche per il sottoscritto.
Non ha ottenuto la wild card per partecipare a questo viaggio. Non dal sottoscritto, bensì dalla moglie e dai figli, che non gli non hanno concesso il nulla osta nemmeno in cambio di promesse che lui sarebbe solo felice di mantenere.
Til non è solo un amico, è il mio compagno di scorribande in moto, tranne quelle in fuoristrada. Se non viaggio con moglie al seguito, sono con lui e con la sua Crossrunner camouflage delle cui prestazioni va orgoglioso come del libretto di studi universitari dei suoi tre figli.
Si perdoni il blasfemo accostamento, ma l’amore che Til ha per le sue moto è tale; tre figli e tre motociclette: oltre alla sopracitata Crossrunner, possiede una piccola Yamaha che ha regalato alla primogenita neopatentata e un Gilera 124 che ha restaurato per rinverdire gli anni della sua gioventù e delle prime gite in camporella sul lago.
Purtroppo non viene, ma finora ha partecipato attivamente a tutta la preparazione di questo viaggio, compresi preziosi motoconsigli da esperto biker. Non dedicargli nemmeno una riga sarebbe irriconoscenza. Con un amico non si fa.
Hanno comperato la moto per fare questo viaggio. Finora si sono accontentati di una Vespa, adatta ai percorsi metropolitani e a qualche gita fuoriporta. Ma da un anno la vita di Giacomo (e conseguentemente quella di Anna) è cambiata. Manager da 200 mila miglia di volo all’anno, a 58 anni ha salutato e ringraziato il board della multinazionale di cui dirigeva la filiale italiana per dedicarsi all’agricoltura nell’azienda di famiglia.
Un ritorno alle radici faentine che gli ha ridato nuova linfa e l’entusiasmo di un ragazzino che comunque lui, timido e iper riservato, nasconde dietro un aplomb coltivato in anni di riunioni internazionali, brainstorming, feed back e follow up.
Per disintossicarsi gli serve ancora un po’ tempo e qualche raccolto di noci, ma siamo sulla strada buona. Gli è bastato sentire la locuzione «vacanze in moto» per rimetterlo in sella. S’è comprato un Swm da motard e, per far capire che lui e Anna sarebbero stati della partita senza se e senza ma, ha cambiato l’immagine del gruppo whatsapp con l’effige della sua due ruote. Più che il desiderio, la determinazione, che non manca nemmeno ad Anna, sua moglie e compagna di vita con la quale ha tre figli. A uno di questi lasceranno, temporaneamente, le redini dell’azienda per ritagliarsi questi 15 giorni da biker di campagna.
Del sottoscritto è meglio tacere, ma qualche riga va dedicata alla compagna di viaggio, nonché moglie da quasi dieci anni. Viaggia con me nonostante una paura atavica a tratti la paralizzi, il che in moto (ma anche in auto) non aiuta.
Se la porta dietro, la paura, dall’infanzia e dai suoi viaggi in auto attraverso l’Europa con la famiglia e con un padre che al volante ama la velocità.
Purtroppo le strade dell’ex Jugoslavia che da Berlino li portavano fino in Grecia non erano il percorso più adatto per dimostrare le sue capacità di pilota collaudate sull’Avus di Berlino. Semmai di prudenza. Ma questa è storia. Oggi che il rettilineo dell’Avus è diventato un pezzo d’autostrada e quel che rimane della ex Jugoslavia è diviso in sette stati, Babette monta in sella dietro di me armata di cartina stradale e smartphone regolarmente collegato a Google Maps: in altre parole, per lei la strada (da fare) non ha segreti.
Anche perché la sola ipotesi di non sapere quale direzione prendere a un bivio la fa andare ai pazzi e il combinato disposto di paura e indecisione si riflette sul sottoscritto peraltro già impegnato nella guida. Non a caso in questo viaggio le è stato affidato l’incarico di router e sta già studiando le cartine della Jugoslavia, retaggi di interminabili viaggi d’infanzia che però non sono più utilizzabili. Servono nuove carte di Croazia, Bosnia e Montenegro.