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È inutile, per quanto noi ci sforziamo, non riusciamo mai a capire molto di quello che ci sta attorno. Se il fatto di prendere lucciole per lanterne genera spesso situazioni comiche al limite del ridicolo, altre volte non notiamo facce, monumenti o chiese che raccontano molto di più di una guida turistica. Situazioni come quelle di Supernotes sono piuttosto lontane da noi e non viaggiamo in mezzo a conflitti e guerre guerreggiate, ma percorriamo itinerari che noi pretendiamo originali anche se spesso sono battuti come le coste della Liguria in un weekend di luglio.
In ogni caso per noi il viaggio, e soprattutto quello in moto, è sempre un po’ avventura. La gioia di una scoperta, anche piccola, può valere una giornata passata in sella a macinare chilometri, tra le lamentele del/la passeggero/a («Uffa, quando si arriva?») e il dubbio di essere sulla strada sbagliata: ma questo è il nostro on the road in salsa balcanica fatto con i capelli grigi, le immagini di Gatto nero e gatto bianco negli occhi e le musiche di Goran Bregovic nelle orecchie. Completano il bouquet di improvvisazione i mezzi, praticamente obsoleti, con cui ci muoviamo e la nostra poca (tranne nel caso di Protocollo Til) dimestichezza con la meccanica e le sue applicazioni sulle moto.
Quattro come i moschettieri e ben tre milady al seguito. Tutti bardati di caschi fluo, con tecnoarmature a prova di capitombolo e con la prospettiva di una torrida giornata d’agosto sull’Autosole: l’immagine romantica da libro di Dumas si dissolve in un gruppo di allegri ragionieri della vacanza. Inutili le giacche tecniche e il rombo dei cilindri: solo un po’ di ironia e qualche goccia di sarcasmo possono mitigare lo stile fantozziano di questa partenza sudata. Ma bando alle ciance. Il traghetto ad Ancona ci aspetta per sera.
E se tanto mi dà tanto, tra un paio d’ore saremo già fermi all’autogrill con la scusa di un pieno di benzina o di una pausa sigaretta (ebbene sì, c’è ancora qualcuno che fuma) anche per interrompere la prevedibile monotonia dell’Autostrada del Sole alla quale purtroppo non c’è alternativa. La via Emilia sarà infatti molto rock, ma è anche assai lenta, con buona pace di Adriano Celentano.
La meteorologia non è scienza esatta. Bisogna farsene una ragione. Nonostante le informazioni meteo affastellino quotidianamente palinsesti televisivi e gli schermi dei telefonini avvisando di ogni cambiamento climatico nella zona in cui vi trovate, c’è poco da fare: capire che tempo farà è sempre un rebus. Se si viaggia in moto, un temporale è molto più di una scocciatura. Se poi l’acquazzone si trasforma in una bomba d’acqua, come adesso piace chiamare i temporali estivi e non, è meglio fermarsi. Come nel nostro caso: era previsto un acquazzone, è arrivato un tornado, con pioggia di stravento e raffiche da compromettere l’equilibrio. Si impone una sosta non programmata che potrebbe pregiudicare anche il nostro imbarco.
Per fortuna il sempreprevidentesignorCesare ha voluto, per non dire preteso, anticipare la partenza di una mezz’ora (temeva il caldo dell’Autosole) e ora, seppure con l’affanno dei pensionati ritardatari allo sportello delle Poste, alle otto di sera varchiamo la biglietteria Snav del porto di Ancona e dopo meno di un’ora siamo sulla banchina del porto dove attendiamo l’arrivo della motonave Aurelia, alla quale è demandato il nostro trasporto in terra croata.
«Quindi voi non state andando in vacanza?». Sulla banchina del porto di Ancona, in attesa di imbarcarci, un simpatico romano con canottiera e regolamentari pantaloni a pinocchietto su finte Crocs mimetiche scopre con grande stupore la nostra idea di visitare il Kosovo. Lui, come denuncia anche l’abbigliamento, non vede l’ora di spiaggiarsi su un’isola delle Incoronate di cui non ricorda bene l’impronunciabile nome. «Carlaaaa? Come se chiama l’isola dove annamo domani? Mliette, Mliet, m’hanno detto che è bellissima. E voi? Niente mare? ’un fate ferie?».
L’occasione è troppo ghiotta: «Siamo in vacanza, ma per noi andare in Kosovo è fare una testimonianza, portiamo anche qualcosa per quelli che hanno bisogno», abbozzo. «Quindi voi siete ’na missione umanitaria!» risponde a tutta voce. A quel punto anche i miei compagni di viaggio strabuzzano gli occhi quasi a dire «Ma quale missione umanitaria???!!!??? Che diavolo gli sta raccontando?», però tengono bordone: è fatta!
E parte il grande pippone: «Noi in moto non possiamo portare molto, in questa borsa abbiamo vestiti e qualche bambola di pezza, ma il grosso arriva con il camion che dovrebbe partire domani. Purtroppo per il tir non abbiamo trovato posto sulla nave. Noi comunque andiamo avanti, anche perché in moto non viaggiamo di notte: in Montenegro e Kosovo, dicono le guide ma ce lo hanno confermato i nostri referenti giù a Pristina, di notte è meglio non viaggiare, soprattutto in moto.
Quelli con il tir invece non li fermano, troppo sbattimento anche per loro». Il romano s’è ammutolito: nei suoi occhi lo stupore si alterna all’ammirazione, i miei amici dissimulano con sorrisi di circostanza ma fanno fatica a trattenersi. Io come in trance agonistica inizio a farcire il racconto di un mio precedente viaggio in Montenegro, delle case bombardate di Sarajevo ma spero solo che le auto in colonna accendano i motori e vengano avviate le procedure di imbarco. In fondo manca meno di mezz’ora alla partenza prevista e i camion sono già tutti su. Il rombo di un’Audi interrompe il racconto strappalacrime e il romano canottierato si affretta al volante: lo aspettano le prelibatezze del ristorante di bordo, cui non intende rinunciare. Pure noi ci congediamo onde evitare di incorrere in contraddizioni che toglierebbero verosimiglianza alla nostra favola da banchina. Preferiamo lasciarlo nell’illusione di avere incontrato brava gente, non una banda di amici (miei?!?) della supercazzola, poco importa se lo scappellamento è a destra o a sinistra, basta che sia antani.
L’approdo a Spalato è previsto per la mattina successiva. Lo spartano comfort di bordo e il karaoke della formosa Carmen allietano una serata dal sapore nazionalpopolare tra famiglie ansiose di una villeggiatura dalmata ed esuberanti giovanotti con sguaiate mise griffate a caccia di bellezze croate e di facili avventure balneari. Per il momento si accontentano di sgranocchiare junk food (letteralmente porcherie ipercaloriche da bancone da bar) accampati alla bell’e meglio sui ponti della nave. Per noi invece la consolazione di un self service (il ristorante è per questo viaggio off-limit, c’è il romano canottierato) che offre la qualità di una mensa aziendale dopo la spending review e la privacy di una cabina metrocubo nella pancia dell’Aurelia. È la vacanza, bellezza!
La vacanza è iniziata ma dove comincia l’avventura? In una farmacia di Spalato! Si parte alla grande, ma del resto anche l’anagrafe ha le sue regole e Cesare con i suoi problemi di pressione non fa eccezione. Quelli sarebbero a posto, ma ha dimenticato le pilloline per evitare scossoni al suo corazon e quindi bisogna trovarle qui in terra croata.
Speriamo si sia ricordato tutto il resto della farmacia ambulante con cui viaggia da quando ha scoperto di avere più di 55 anni e un cuore matto almeno quanto la voglia di questa vacanza in moto.
Se il buongiorno si vede dal mattino ci conviene prendere gli indirizzi degli ospedali lungo il nostro viaggio. Ma il piccolo contrattempo sanitario non abbatte gli altri biker. Che, nel frattempo, non sono rimasti con le mani in mano. Hanno preso cartina (stradale) e penna per immaginare un’ipotesi di un itinerario per questo primo giorno. Perché oltre a recuperare le medicine per il cardiopatico c’è un altro imperativo tassativo: scappare dal casino che blocca il centro di Spalato: destinazione Trogir, Traù per noi italiani, perla medievale di una Dalmazia che ha venduto anima e coste al turismo.
Dalla padella passiamo direttamente nella brace: se il porto di Spalato è un inferno di traffico, il centro di Trogir è l’apoteosi del turismo da selfie (stick compreso). Vicoli e piazzetta sono invasi dai tavolini dei ristoranti che propongono menu turistici a prezzi apparentemente imbattibili, banchetti invitano a partecipare a minicrociere giornaliere nel golfo mentre nei negozietti si spaccia oggettistica di dubbia provenienza per artigianato locale. Davanti a questi crimini del buon gusto anche le mura veneziane di Trogir si arrendono. E noi con loro. Come il modello Saint-Paul de Vence vince e spiazza, così il combinato disposto di questo debutto croato fatto di caldo soffocante e ordalia turistica ci soffoca e impone un’alternativa. Non c’è cardiotonico che possa rimediare: occorre trovare una via di fuga. E il colore sempre più acceso delle guance di Cesare ci ammonisce come un mantra: via da questa follia.