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Il Montenegro ha fama di essere terra di furfanti e di contrabbandieri. Più di una procura italiana (Napoli e Bari) si è interessata ai traffici poco chiari di Milo Dukanovic, attuale presidente della Repubblica, sospettato di legami personali e politici con il contrabbando di tabacco in Montenegro per tutto il 1990. Era stato richiesto anche l’arresto. Non bruscolini. Nel 2008 Dukanovic è stato interrogato per sei ore e mezza negli uffici del procuratore di Bari protetto, come disse il suo avvocato, da un’immunità politica e diplomatica da presidente di uno Stato sovrano. Successivamente, nel 2009, anche i magistrati di Napoli hanno fatto cadere tutte le accuse. Contro di lui non ci sono prove schiaccianti, ma la sua carriera politica è punteggiata da ombre e da frequentazioni inquietanti. Probabilmente non c’entra nulla ma nemmeno quel galantuomo di Donald Trump pare sia disposto a schierarsi a fianco di un alleato troppo scomodo e poco credibile nonostante il Montenegro sia membro della Nato. Come per Danzica, pare non si possa (debba) morire nemmeno per il Montenegro.
Fin qui la politica. Noi, da curiosi viaggiatori a due ruote, ci limitiamo a non viaggiare di sera, meglio essere assistiti dalla luce del giorno. Quindi, come dicono gli alpini, occhio alla penna; noi, oltre alla penna, curiamo portafoglio e bagagli che, in moto, sono sempre in bella vista a disposizione del primo “malamente”. I miei compagni di viaggio sono sul chi vive, nonostante le mie rassicurazioni e Damir che in un paio d’ore ha rimesso in sesto la mia moto senza spolpare le nostre finanze. Per rassicurarli provo a raccontare del mio arrivo notturno a Dulcigno, dopo avere attraversato il canyon che dal lago di Scutari raggiunge questa meravigliosa baia lungo la costa, al confine con l’Albania. Dulcigno, o Ulcjni come la chiamano adesso, è la storia straordinaria dei Balcani.
Attualmente la città più a sud del Montenegro ospita la più importante comunità albanese: destinazione turistica per eccellenza della costa, fu meta di villeggiatura per molti dirigenti del partito comunista italiano che qui trovavano la bellezza di un mare spettacolare e l’accoglienza della nomenklatura titina. Non basta. Tito è morto e del Pci è rimasto ben poco. Racconto allora di come, solo un anno prima, qui a Dulcigno ho trovato un alloggio confortevole quanto improbabile a soli 5 euro, della bontà del pesce alla griglia servito nel ristorante adiacente, della moto lasciata (e ritrovata intatta il mattino dopo) tra le casse di minerale e i fusti di birra vuoti accatastati nel cortile di un bar; alle ragazze parlo della popolazione residente più alta d’Europa, della regina Elena che arrivava da Cettinje, antica capitale del Montenegro: non mi seguono. Con gli ometti provo con il calcio: metto in campo il talento puro di Savicevic e i dribbling di Jovetic. Qualche timido sorriso, le obiezioni sul caratteraccio di Ljaic e dei calciatori montegrini, tutti genio e sregolatezza: sui volti dei miei amici rimane stampata quell’espressione incredula che ti dice «Sarà, ma se ne sentono così tante».
Purtroppo la diffidenza e il pregiudizio sono brutte bestie da sconfiggere con la sola forza della ragione. Cartesio e due secoli di illuminismo non bastano. Un po’ come con il meteo: inutile scomodare Celsius o Fahrenheit, quel che conta è la temperatura percepita, vale di più san Tommaso. Fanculo la scienza, nel terzo millennio conta l’esperienza personale. Saranno infatti i chilometri percorsi su queste strade, la meraviglia del fiordo più spettacolare del Mediterraneo e il fascino d’antan delle foto alle pareti di un bar nel centro di Podgorica che ritraggono l’antica Titograd e la vita ai tempi della Jugoslavia a far cadere un pregiudizio da bar dello sport. E poi, detto tra noi, manco arrivassimo dalla Scandinavia.
Più del sellino della moto, fece il caldo africano che avvolge questo angolo di costa balcanica. Per apprezzarne le meraviglie, soprattutto quelle del golfo di Cattaro, avevamo prenotato, grazie ad airbnb e ai prodigi della tecnologia, una casa di fronte a Kotor. L’idea era quella di spezzare il ritmo della vacanza itinerante, spiaggiarsi per un paio di giorni al mare, possibilmente con i comfort di una casa indipendente prima di avventurarci nell’interno.
Tre notti in questa casetta basica ma confortevole, con due piani e un ampio terrazzo panoramico sul fiordo più interno delle Bocche di Cattaro è stata una scelta provvidenziale che ora ci evita di viaggiare con 40 gradi e la perenne sensazione di stare dentro a un forno: la casa di Dujan a Perzagno ci ha accolto con la semplicità di questo angolo di Montenegro che, sebbene sia meta di crociere, ha mantenuto lo stile naïf della villeggiatura all’italiana anni 50.
Le Bocche di Cattaro sono una destinazione per famiglie croate o russe attratte da un mare talmente facile da sembrare un lago, prezzi democratici e piccole taverne che non sono ancora state visitate né tantomeno ristrutturate da Gordon Ramsey o da Antonio Cannavacciuolo. Qui la febbre da Masterchef non è ancora arrivata: regna ancora sua maestà la griglia su cui sfrigolano pagelli e orate pescate poche ore prima: una sorta di chilometro zero forzato. Anche perché le gole sono chiuse e difese a est dalle alture del parco di Lovcen e da una strada tutta tornanti la cui larghezza non incentiva le comunicazioni commerciali.
La certezza assoluta non l’abbiamo, ma ci è bastato salire fino alle foreste di pini di Lovcen per capire quanto possa essere difficile percorrere questa strada anche con un semplice furgone.
La conferma è arrivata entrando nel negozio/emporio sotto casa: uno sguardo al banco del fresco e capivi che gli arrivi non sono certo giornalieri. La casa di Dujan diventa per noi una sorta di Cuernavaca, buen retiro temporaneo per riprendere le forze e il contatto con una quotidianità meno stressata dagli spostamenti.
Sono le navi delle crociere a scandire il ritmo della nostra giornata. Sono infatti le prue di questi palazzi galleggianti che si affacciano e transitano fino a coprire l’intero panorama ad annunciare il pomeriggio. Navigano lentamente fino a raggiungere, qualche miglio più avanti, Kotor per la regolamentare visita con escursione sulle mura. Storico borgo di capitani coraggiosi e base per le scorribande di pirati, Kotor come Perasto e gli altri piccoli villaggi del golfo raccontano una ricchezza arrivata più o meno lecitamente dal mare, testimoniata dall’architettura, mai banale, di queste case affacciate sul golfo e abbellite con colonne e capitelli di memoria veneziana. A Kotor, intimoriti dall’ordalia di giapponesi e cinesi stick per selfie muniti, ci limitiamo a una breve visita serale. E sebbene più di un cartello inviti a una passeggiata lungo le mura arrampicate sulla montagna, limitiamo la nostra curiosità a un paio di chiese ortodosse e alle piazzette del centro. Le mura preferiamo immaginarle e ne apprezziamo il fascino da casa al calar della sera quando, con il buio, si illuminano a formare un presepe sulla parete rocciosa della montagna.
Personalmente non ho il benché minimo dubbio: Budua era bellissima. Almeno fino a pochi anni fa doveva essere davvero un posto meraviglioso. E non siamo ai luoghi comuni. Pensate a una cittadella fortificata con una piccola spiaggia affacciata sul mare di una baia profonda poco più di un miglio e larga tre, con due isolette verdi talmente vicine alla costa che con il vento da nord sembra quasi di toccarle. Budua deve essere stata per secoli un gioiello. Purtroppo sono passati anche gli uomini. Che dopo essersi combattuti per secoli hanno pensato bene che dal potere delle armi si potesse passare agevolmente a quello dei soldi. Senza colpo ferire, nemmeno alla bellezza di Budua. Beata illusione.
Ora quel che rimane della vecchia città è un’inezia in confronto alla teoria di alberghi, case, motel, ristoranti, pompe di benzina e autonoleggi che proliferano nell’entroterra. Uno scempio che nemmeno Rapallo è così conciata. Ovvio, ora il numero di turisti, villeggianti e viaggiatori che passano e si fermano da queste parti è decuplicato. Gli albergatori e gli osti fanno affari d’oro. E anche il comune, che fa pagare 7,50 euro il biglietto di ingresso a quel che rimane della vecchia Budua, lucra non poco su queste vestigia.
Ma Budua è grande «dilusione» come direbbe Joe Bastianich. L’aspettativa con cui noi abbiamo abbandonato le Bocche di Cattaro per andare a vedere il gioiellino della costa del Montenegro, tanto decantato dalle guide, compresa la sempremoltoaffidabileLonelyPlanet, è ampiamente disattesa. Per carità, cercate di capire: io non sono un talebano del viaggio. Non credo nemmeno che tutto debba rimanere immobile testimonianza di un passato che non c’è più. Ma est modus in rebus. E qui a Budua hanno fatto a fettine qualsiasi principio di valorizzazione del territorio. Con una speculazione spregiudicata e un modello di business che sfida ogni buon senso.
Sapete che cosa abbiamo fatto: avevamo previsto una cena di gran figore in uno dei tanto decantati ristorantini vista mare, avevamo addirittura ipotizzato di fermarci un giorno in più per vedere meglio, apprezzare di più quello che normalmente viene definito the place-to-be in Montenegro. Niente di tutto questo: abbiamo preso atto del disastro e dopo aver consumato una banale birra nella piazzetta dove turisti e sposini posavano apotropaicamente augurandosi il meglio per il viaggio o per la vita insieme, siamo rientrati nel nostro buen retiro di Perzagno, previa tappa gastronomica alla taverna sotto casa: un pescione alla griglia accompagnato dall’immancabile insalata locale che assomiglia tanto a un’insalata greca è stato il miglior modo di dire addio alle Bocche di Cattaro e alla casetta di Dujan.
Taberna non è mai dilusione (anche perché da queste parti fortunatamente Bastianich non è mai passato e comunque non ha mai pensato di metterci becco). Per la cronaca e la gioia dei commensali, sul tavolo spiccava anche una bottiglia di vino bianco: si può resistere a tutto ma come ci si può attovagliare senza? E su questo credo che anche Oscar Wilde sarebbe d’accordo con il nostro sempreinaltoicalici Cesare.