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“Base terra qui tranquillità, anche se le gambe tremano, d’emozione e di quella paura che un uomo coraggioso come me non dovrebbe mai tradire…ma se verrà il momento di raccontare tutto, non saprò spiegarvi questo forte silenzio”
Max Gazzè
Che ci fanno due toscani, un senese e un fiorentino, che cercano di riparare una camera d’aria a Murghab poco meno di 60 km dal confine cinese il 28 agosto 2010, polverosi, stanchi e provati?
Per scoprirlo si deve fare un salto temporale di quasi un anno, a un post caricato su un sito web, in cui Daniele (il fiorentino) ancora privo di una moto (la prima moto che possiederà in vita sua arriverà infatti a maggio 2010) e senza la ben che minima idea sul come si organizza un viaggio e su dove sia davvero Samarcanda, decide che l’estate dopo è proprio lì che vuole andare in moto.
Francesco (il senese) visto che per coincidenza anche lui voleva passare da Samarcanda diretto in Pamir, contatta Daniele e gli propone un’incontro conoscitivo, tipo "speed date", quegli incontri che durano un minuto dove poi si decide se approfondire la conoscenza o meno.
I due s’incontrano in un Mac Donald di Siena con carte, guide, tanta voglia di partire e di conoscere e un po’ di diffidenza reciproca , ma tempo pochissimo non nasce l’amore ma ben si, il seme di un’idea che pianta le sue radici nella vita quotidiana di entrambi e diventa un progetto forte e rigoglioso, un progetto che porta i due a viaggiare per l’Italia da prima, per raccogliere info da altri viaggiatori e poi sul web, per cercare contatti, organizzare, pianificare curiosare.
E poi arriva il giorno della partenza vera e propria, che quando arriva fa quasi strano, perché d’improvviso l’idea, fattasi progetto è diventata realtà!
Una lunga tappa di avvicinamento al Tajikistan, che vede l’attraversamento dell’affascinante Albania, della Macedonia e dell’assolata Grecia, per poi varcare finalmente le porte dell’Asia, abbandonando il continente europeo, poco dopo il ponte sul Bosforo lasciandosi alle spalle l’incantevole Istanbul.
Discendere la Turchia, calandosi sempre più in un atmosfera surreale, fatta di caravanserragli invasi di luci colorate, dall’area densa di fumo delle pipe ad acqua e con il chai caldo che nessuno ti rifiuta mai insieme ad ampi sorrisi e tanta cordialità.
Sono questi i popoli musulmani che dobbiamo tanto temere e dai cui ci sentiamo minacciati?
Certo questa domanda trova troppo facile risposta in Turchia, un paese laico e civile, meglio porsela forse qualche spanna di mappa più in giù, verso l’Asia Centrale.
E allora, varcare il confine, spingersi oltre, entrare in Georgia da Batumi, fare il bagno nel Mar Nero insieme a un ragazzo azero conosciuto alla frontiera e la sua famiglia, e poi chiedere ospitalità ad una locanda perché la notte ci sorprende che T’blisi è ancora lontana e affamati non ci viene rifiutata una cena povera ma nutriente e condita con tanta umanità.
Poi le campagne georgiane, i banchini che vendono miele ai lati della strada, i bambini che sorridono affascinati dalle moto, gli animali liberi per la strada e gli usi e costumi così diversi ma per niente ostili.
T’blisi è una città meravigliosa, dall’atmosfera surreale, sembra che tutto si sia fermato eccezion fatta per il l’illuminatissimo ponte pedonale.
Azerbaijan finalmente, qui il regime sovietico ha lasciato ben poco e l’eredità più scomoda è la corruzione dilagante delle forze di polizia e dei doganieri, ma basta questo a far desistere dal voler conoscere un paese, fatto in primo luogo da persone cordiali e affabili?No, e infatti nonostante i disagi alla frontiera in attesa di una nave che non arrivava mai e taglieggiati in continuo, s’incontrano persone sincere che hanno dato una mano nel momento in cui più ce n’era bisogno.
La felicità è totale poi solo se condivisa e abbiamo avuto la fortuna di farlo con una coppia di italiani con un Dominator, Cristiano e Sabrina e due equipaggi del Mongol Rally che ci hanno scortato durante l’attraversata del Caspio e poi lungo le piste polverose e dissestate del Kazakistan, da Aqtau fino a Beyneu, località petrolifera dove al momento dei saluti le lacrime si sono mescolate a polvere e sabbia in un cemento che ci lega tutt’ora in rapporto di amicizia che difficilmente si spiega.
L’ultimo tratto di Kazakistan lo percorriamo a gas spalancato, la strada è un mix di sabbia e ghiaione che lascia sprofondare pericolosamente le moto se rallentate.
Il paesaggio è una distesa desertica e pianeggiante apparentemente infinita, lo sguardo si perde all’orizzonte alla ricerca dei quel confine, di quel limite che scopri essere solo dentro di te.
Alla frontiera tra Kazakistan e Uzbekistan un doganiere si offre di fare per noi le pratiche e noi diffidenti ci siamo chiesti quanto ci sarebbe costato. Niente!Questo il prezzo, semplicemente cortesia gratuita.
Ci siamo sentiti in colpa per aver pensato male e per il nostro essere prevenuti verso la gentilezza che ancora a 6.000 km da casa non è mai mancata.
La prima notte in Uzbekistan la passiamo nel deserto, dal momento che ancora una volta l’oscurità ci sorprende sulle piste polverose per Q’ungyrot.
Il buio è totale, ma il cielo stellato non ha paragoni e la luce della luna si specchia nella sabbia in un bagliore argenteo.
Colazione in un bazaar, con una focaccia, dell’acqua e foto con tutto il villaggio.
A Beruni arriviamo a sera, non ci sono alberghi, un poliziotto ci scorta con la sua macchina attraverso il villaggio.
Poi si affianca una motorella smarmittata, ci osserva il conducente e ci fa segno di seguirlo.
Moahmud e Hamid, ci hanno ospitato a casa loro per la notte, non parlavano una parola di inglese o italiano eppure ci siamo intesi alla perfezione.
Siamo stati trattati come parenti, no forse di più, con una cena favolosa e un dopo cena di relax come non ne passavamo da anni eppure siamo in viaggio da una ventina di giorni, quindi che succede quando siamo in Italia?
La mattina, ci sveglia l’odore di una colazione servita nel servizio buono e gli ampi sorrisi dei bambini di Moahmud, incuriositi dalla presenza di questi due estranei.
Giochiamo un po’ con loro, foto e lunghi abbracci sinceri, poi via, verso Bukhara attraversando ampi tratti di deserto giallo ocra senza un filo di verde per poi entrare di colpo in oasi rigogliose con corsi d’acqua e alberi! Sì alberi! Sembra una vita che non ne vedevamo.
Bukhara è un gioiello, circondata da mura di fango con all’interno bellissime medrese colorate da mosaici variopinti e dalle cupole dei minareti blu cobalto.
I locali sono affascinanti, il loro quotidiano è così calmo, non c’è traccia della frugalità e della frenesia occidentale quaggiù e tutto appare come un fiume che scorre tranquillo, placido.
Incontriamo di nuovo Cristiano e Sabrina, un po’ di italianità che non ci dispiace.
Nuovamente in viaggio per Samarcanda e quando ci arriviamo la prima cosa che ci viene in mente è la canzone di Vecchioni.
Che c’è da dire di Samarcanda? Di questa città mitica che costella l’immaginario di molti, così misteriosa e colorata? C’è da dire che è da vedere e che vale ogni centimetro di strada fatto per arrivarci, perché per arrivare a lei hai conosciuto il filo che la lega al resto del mondo, quel filo che è la strada che hai scelto per arrivarci, per arrivare al tuo sogno.
Se Daniele avesse viaggiato solo si sarebbe fermato qui, ma fortuna ha voluto che Francesco abbia messo sulla bilancia un’altra sfida. Il Pamir.
Samarcanda è oramai alle nostre spalle quando percorriamo la difficile M34, la strada che porta a Dushambe la capitale del Tajikistan, un paesone con molto poco da offrire se non una strada che è un cantiere continuo, dissestata e con un orribile tunnel di sette chilometri in forte pendenza, non illuminato e invaso dall’acqua. Un angoscia attraversarlo che non si spiega.
E poi finalmente la M41, la Pamir Kighway ha inizio da Kalaikum.
Profonde gole tra monti imperiosi in una natura che lascia senza fiato e dove ti senti meno di niente a confronto.
I fiumi sono tumultuosi e hanno i colori della roccia che erodono, uno addirittura rosso come il sangue, impressionante. La M41 si inerpica su passi montani sterrati che arrivano fino oltre i 4.000mt.
Fino a Korog, prevalentemente costeggia il fiume Pamir che segna il confine con l’Afghanistan, in linea d’aria 20/30mt.
È quindi questo l’Afghanistan? Non si sente il fischio delle pallottole, non si vede gente ostile, nessuno ci rapisce, nessuno ci guarda con ostilità, mai!
Forse è perché basta un fiume e il sapere di essere in altro paese la cui popolazione condivide gli stessi usi, costumi e religione dell’altra sponda il motivo per cui siamo al sicuro? O forse, diversamente, non è tutto come ce la danno a credere i midia?
Da Korog in poi la musica cambia, le ripide vallate e le strade sterrate aggrappate a pareti verticali spaventose e senza protezione alcuna, lasciano il posto ai bellissimo altopiani del Pamir.
Enormi vallate che spingono intere montagne ai margini dell’altopiano quasi con forza, come se una mano invisibile facesse spazio al viaggiatore che vi si avventura, mettendo a portata dello sguardo solo tutto il meglio che c’è, tutto il bello che solo due occhi non bastano a cogliere e quindi ti affidi all’olfatto e tutti i sensi che hai per lasciarti assorbire da questi luoghi incredibili, che non trovano eguali.
Dall’altra parte c’è la catena montuosa dell’Hindukush e l’Hymalaya e il Pakistan e tutto il resto del mondo.
Il clima quassù è secco, non c’è che sterpaglie e qualche yak che quieto bruca.
Ad Alichur, quota 4.000 mt. le temperature di notte scendono fino a -45° d’inverno, mentre d’estate vanno “solo”a -10. Dormiamo nella yurta, la tenda dei pastori nomadi, sotto un cielo stellato unico, si vedono le costellazioni ed è vero quello che ci diceva un anziano locale, quassù le stelle le puoi toccare!
Il mattino dopo per riparare l’ennesima foratura i due si spingono fino a Murgab, ultima tappa del viaggio, a 60 km dalla frontiera con la Cina.
Un polacco con un Transalp ci regala una camera d’aria da 21, quella bucata non era riparabile e non ne avevamo più.
Un gesto così banale, qui in Italia, laggiù ci ha permesso di tornare a casa.
Qui finisce il viaggio, da qui in poi sarà ritorno, nuovamente lungo la M41, che fatta al contrario sembra un’altra strada, perché il paesaggio muta di nuovo.
Poi Samarcanda e di qui Tashkent dove un aereo ci aspetta per caricare le moto e riportarci a casa.
Come si conclude un racconto così? Con riflessioni, pareri consigli e diari lunghissimi etc?
No, per tutto quello c’è il sito di questi due toscani viaggiatori www.pernonessercomebruti.it, per concludere non resta che iniziare a pensare di andare in Asia Centrale, perché vale ogni goccia di sudore, ogni lacrima, ogni momento di sconforto ogni singola privazione e perché viaggiatore è colui che parte semplicemente per partire.
Daniele Celentano
Francesco Maria Frati