La mia migliore storia sul Vietnam

Girare il Vietnam in moto è un'esperienza alla portata di quasi tutti: come ogni viaggio una volta tornati si hanno decine di cose da raccontare. Io sono appena rientrato e vi racconto la mia migliore storia sul Vietnam
27 dicembre 2023

30 o 40 km/h non fa differenza, ormai. All'incrocio con la Road 20 mi hanno detto che la mia meta - l'avamposto di Khe Sanh - è distante 70 chilometri tuttavia i conti non tornano. Semplicemente non può essere ma continuo a guidare come una sorta di autonoma, svuotato della voglia di fermarmi per fare il punto e consultare lo smartphone nella speranza di essere uscito dalla zona non coperta dal segnale: capita, in Vietnam.

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Ho Chi Minh Trail

Totalmente assorbito e concentrato nella guida sull' Ho Chi Minh Trail West che dovrebbe portarmi dopo circa 200 km a Khe Sanh, dove mi aspetta un “luxury hotel” da trenta euro a notte, temo di aver fatto l'ennesimo azzardo nell'aver preferito questa mitica strada teatro di guerra negli anni '60 e '70 alla molto più comoda e scorrevole statale che in 160 km avrebbe, invece, risolto il problema. Non so però a quale prezzo, visto che nelle “comode e scorrevoli” statali vietnamite ho già rischiato decine di volte di essere travolto dai camion in sorpasso o buttato fuori dalla sede stradale dagli autobus.

Ormai è tardi per rammaricarsi, anche perché viaggiare sulle strade di molti Paesi asiatici impone di ripensare totalmente le medie di percorrenza. Quando va di lusso e il dio dei motociclisti è con te puoi pensare di coprire anche 275 km al giorno, ma devi essere prudente. Mai col buio, mai pensare che le regole che hai sempre seguito a casa tua possano avere lo stesso valore anche qui, a partire dal fatto che ad ogni metro puoi trovare una mucca o un cane, un camion in contromano, motorini ad attraversare la strada, gente a piedi in piena carreggiata pieni di fiducia nel prossimo e, quindi, anche in un lungo rettilineo la velocità deve stare entro gli 80, perché l'imprevisto è dietro l'angolo e io, come sempre, non ho voglia di complicarmi - ulteriormente - la vita.

Piove da quando sono partito dalla Farmstay di Phong Nah, e fa pure freddo, perché nel meraviglioso saliscendi su queste curve sporche tira un vento affilato. La strada è deserta, i rari e sedicenti lavori di manutenzione sembrano cantieri fantasma perché - mi avevano avvertito - con il cattivo tempo qui non si lavora. In compenso il fondo è peggio di quello che immaginavo e l'ipotetica media di 40 km/h, che mi ero prefissato di tenere per arrivare a destinazione in tempo per visitare il Combat Base Museum, si rivela un'illusione e l'ennesimo arrotondamento favorevole di circostanze già considerate ottimisticamente. Non devo essere stato l'unico, negli ultimi 70 anni.

Una strada di guerra

L'Ho Chi Minh Trail West che sto percorrendo faceva parte delle vie di comunicazione usate per gli approvvigionamenti bellici dai vietnamiti in guerra con l'esercito degli Stati Uniti e qui si sono consumate innumerevoli tragedie e inenarrabili massacri, alcuni dei quali sono cristallizzati nella storia da mausolei e templi. Altri sono anche diventati meta turistica e capisci che per quanto tu possa cercare di stare alla larga dalla guerra, in Vietnam è lei che ti viene a cercare anche in tempo di pace. Ti stana, ti rovina la giornata con foto, rovine, riflessioni e ti metti moto sempre con un magone che annebbia più di queste nuvole basse, più di questa fitta pioggia che a Catania mi avrebbe convinto a lasciare la moto in garage o quantomeno a sapere esattamente dove stessi andando.

Ma è così, fa parte del gioco e se sono venuto qui, se arranco nelle salite con pendenza del 15%, se continuo a guidare senza fermarmi è perché so che dietro di me ad inseguirmi c'è la notte, la paura di restare senza benzina, di forare e di dover cambiare la camera d'aria sotto l'acqua. No, il timore di fare brutti incontri l'ho lasciato a casa e fino ad adesso non gli ho dovuto chiedere di raggiungermi.

Avanzo a 30 km/h su questo tappeto di cemento, largo a occhio circa 5 metri, che taglia la giungla ma che talvolta scompare inghiottito dalla vegetazione o dalle frane, altre volte - come oggi - è invaso dalla pioggia e dal fango rossiccio che non va via dai vestiti e dai guanti ed è disperatamente solitario, sarà la bassa stagione. Pochi i villaggi che si attraversano e oggi sono rarissimi i veicoli che la percorrono, segno che questo maltempo è reputato ragione sufficiente per trovare strade alternative e più razionali.

Direzione Khe Sanh

Insomma, sono solo in sella a una Royal Enfield Himalayan 411, con uno zaino sul portapacchi e ho di fronte un itinerario che i segnali stradali non sanno quantificare esattamente: l'ultima notizia su questo punto mi viene fornita da un signore vietnamita incontrato alla fine della Road 20, che mi diceva di 70 km per arrivare alla mia destinazione, se fosse stato così sarebbe stato fantastico ma i conti non mi tornano. Da qui, dovrebbero invece mancarne almeno 150 ma il telefono non ha campo e non posso verificare.

L'unica cosa certa è la direzione. Almeno credo, la sto seguendo da un paio d'ore pur senza sentirmi di grado di giurarci sopra ma alla fine chi se ne frega; non sono certamente sperduto, la civiltà e il segnale 5G sono sicuramente a pochi passi, ho un paio di milioni di Dong in tasca e la mia moto è inarrestabile in questi lunghissimi tratti che percorro in prima e seconda marcia un po' perché le pendenze sono notevoli, un po' perché non mi fido a lasciare calare troppo di giri il motore: ho un immotivato timore - chiamiamola pure paranoia - che sotto i 1.500 giri possa spegnersi e, per qualche insondabile motivo, non riavviarsi più lasciandomi solo in mezzo alla giungla, sotto la pioggia che pensavo più tenera con me, meno matrigna. Mi ha già inzuppato sotto l'antipioggia, infradiciato le calze e ridicolizzato abbastanza di fronte alla mia autostima.

Ho freddo, lo confesso, e il miraggio di una doccia calda mi sta totalmente facendo perdere il piacere di questo giretto in uno scenario irripetibile, con animali che ogni tanto sbucano dalla vegetazione a chiedermi che cazzo ci faccio lì proprio in questo giorno da lupi.

Ma io continuo, del resto non c'è proprio scelta: tornare indietro e scegliere la statale potrebbe essere un'opzione piena di incognite e poi se i miei calcoli sono corretti tra non più di tre ore dovrei essere in una zona popolata. È in questi momenti che le paure sull'autonomia assaltano la tua razionalità: la Hima garantisce almeno 350 km, io ne ho già fatti almeno 80 e quindi dovrei stare tranquillo ma guidare coi rapporti corti ha già portato l'indicatore del carburante a metà, se continuasse così - mi chiedo - potrei restare a secco? Pensieri stupidi alimentati dalla solitudine, dalle mani bagnate, dalla scarpa rotta nell'uscire da una pietraia un quarto d'ora fa ma forse no: potrebbe essere il segno che la concretezza sta finalmente facendosi largo in questo viaggio nel quale non ho programmato praticamente nulla se non uno straccio di itinerario modificato al volo il giorno prima della partenza dall'Italia e due giorni prima di avere preso in affitto la Royal Enfield ad Hanoi.

La verità è che io me ne frego: del resto mi è appena parso di vedere una luce rossa muoversi in mezzo al verde smeraldo della vegetazione, più avanti, sull'altra collina. Potrei raggiungerla? Faccio uno sforzo e passo ai 45 km/h, in un paio di minuti la vedo nitidamente: è una moto stracolma di bagagli più della mia, avvicinandomi ancora mi rendo conto che si tratta di una vecchia Honda Magna 250 con targa vietnamita il cui pilota deve avere avuto anche lui voglia di fare una straordinaria cazzata dopo aver chiuso tutti i bagagli all'interno di buste impermeabili e sigillato i piedi nelle bustine trasparenti. Agganciata con gli elastici c'è anche una semplice bottiglia di plastica piena di benzina, circostanza che mi spiego con la ridotta capacità del serbatoio della piccola cruiser giapponese che consiglia di portarsi dietro un supplemento di carburante.

Deve essersi accorto che lo seguo perché rallenta, si gira per un secondo, poi riapre il gas. Va più piano di me, specie nei tratti sconnessi o sul fango; non ho voglia di superarlo proprio adesso che ho un compagno di viaggio che allevia la mia tensione e popola questa strada altrimenti desolata, magari straordinaria con il bel tempo ma che oggi mi sembra quasi ostile.

Anzi, lo supero. Mi metto davanti, lascio che a separarci restino una decina di metri, giusto quelli necessari a non sparargli pietre e fango in faccia ma almeno se mai dovessi fermarmi per un problema lui potrebbe accorgersene e darmi una mano, sempre che il tipo non proceda oltre nonostante tutto.

Un motociclista

Non ho idea di chi possa essere o di quanti anni abbia, ha la faccia coperta dalla mascherina che qui portano in moltissimi come retaggio prima della SARS, poi del Covid e in ogni caso per proteggersi dalla polvere e - quando c'è - dal sole. Non indossa guanti ma deve essere un motociclista perché una moto come quella è rara tra i vietnamiti che in genere si spostano sui classici motorini underbone a frizione automatica. Mezzi da un centinaio di cc o poco più, li vedi ovunque, sono milioni: in Vietnam ci viaggiano in due, in tre, in quattro, a dispetto non solo della logica ma credo anche delle norme stradali, caricati come furgoni, talvolta ridotti a rottami, rigorosamente senza specchi retrovisori tanto qui non servono perché devi imparare a inserirti nel flusso del traffico, non a guardare indietro, e se c'è una cosa indispensabile è invece il clacson con il quale dai prova della tua esistenza in vita. I freni sì, ci sono, ma - sopratutto quello anteriore - non vanno presi sul serio, come i semafori o i sensi unici.

Con la Honda Magna alle spalle questa strada non mi appare più così feroce e stai a vedere che il tempo potrebbe anche migliorare, il cellulare del resto ha già ripreso campo e mi conferma che sì, da qui mancano oltre 150 km, che fatti a 40 km/h sono ancora tantissimi. Chissà se anche il mio amico sta facendo lo stesso mio ragionamento e programmato di fermarsi a rabboccare il serbatoio con la bottiglia di benzina che si è portato dietro, se la sua destinazione è uno dei villaggi intermedi o se invece prenderà il primo bivio disponibile per andare verso il confine con il Laos o verso la costa.

Benzina a sette Euro/litro

Proseguiamo così per almeno un'ora, senza incontrare nessuno: non so quanto possa essere lunga un'ora a 40 km/h, quello che so è che a un certo punto vedo una casa con il cancello aperto, mi viene in mente che potrebbero avere benzina da vendermi e mi fermo con la vana speranza che pure la Honda Magna faccia altrettanto. Invece no, va per la sua strada: lo capisco. Forse avrei fatto anche io lo stesso.

La casa dove mi sono fermato è a due piani in muratura, assolutamente avulsa nel contesto della giungla: entro nel portico, dentro trovo alcuni rottami di motorini e un signore di spalle a gambe larghe. Attendo, poi chiedo “Petrol?”. Scende giù un ragazzo che mi chiede 200.000 Dong per un litro di benzina, circa 9 volte il prezzo normale. Sono circa 7 euro al litro. Contratto, ma lui tiene duro e per la stessa cifra ottengo soltanto due litri e a quel punto dico di sì, nella speranza che il carburante che sto mettendo nel serbatoio non sia mischiato a porcherie che possano arrestare il motore, non sarebbe il momento. Mi fido: in questi viaggi la fiducia è essenziale, altrimenti non vai avanti. Due litri possono darmi almeno 50 chilometri, per me significano la matematica certezza di arrivare in una zona popolata dove se dovessi ancora avere problemi di autonomia non dovrei faticare a trovare un distributore. Saluto, metto la prima e ripiombo nella tempesta. Non sono riuscito a indossare i guanti, troppo bagnati loro e troppo bagnate le mani, quindi vado senza, sparandomi lunghi tratti a 60 km/h: in realtà ho la segreta speranza di recuperare terreno sulla Honda Magna e ritrovare il mio compagno di viaggio sull'Ho Chi Minh Trail West.

Dieci minuti dopo lo aggancio, riconosco il suo bagaglio dal quale però non affiora più la bottiglia di benzina, mi sento meglio perché allora so di avere fatto la cosa giusta e di essere di nuovo in compagnia. Lo affianco timidamente e poi lo passo con molto rispetto, mi rimetto avanti e guido in questa melassa bianco-verde buttando un occhio allo specchietto retrovisore a ogni curva. Insieme andiamo più forte, questo è sicuro, forse sono io la lepre a imporre i 60 km/h e proseguiamo così per un tempo indefinito, unico riferimento le pietre miliari che mi indicano la distanza da Khe Sanh. Non ho più voglia di vedere l'orologio o di fermarmi a controllare il navigatore nella tasca trasparente della borsa da serbatoio che mi sono portato da casa. So che la direzione è giusta, ho un compagno di viaggio, ho benzina a sufficienza: di tutto il resto - scusatemi anche voi che ho lasciato a casa, al lavoro, ad aspettare una mia risposta o un mio saluto - almeno per le prossime due ore non me ne importa nulla, sapete sempre dove trovarmi.

Nessun miraggio

Molti litri di acqua dopo, in fondo a una discesa, c'è un cartello che indica un bivio ed è qui che vengo colto di sorpresa: il motociclista vietnamita mi supera senza sforzo, si piazza di fronte a me, arresta la moto in mezzo all'incrocio tanto chi vuoi che passi di qui oggi. Mi fermo pure io, c'è una pozzanghera ma ne ne fotto, smonto e mi avvicino: ci abbracciamo mentre lui pronuncia qualcosa in vietnamita, io riesco soltanto a dire “thank you” e capisco che lui non andrà nella mia stessa direzione. Gli chiedo quanto manca a Khe Sanh, lui prende il suo Iphone e scrive “Khe Sanh 70 km”, ma qualcosa mi dice che da qui in poi sarà tutto diverso. Ci facciamo una foto insieme, con entrambi i telefoni, per ricordarci di oggi e che no, non eravamo miraggi.

Arriverò a Khe Sanh nel primo pomeriggio dopo oltre 7 ore di marcia e riuscirò a visitare il Combat Base Museum nonostante la pioggia, a prendere la mia camera nel "luxury hotel" dove sarò l'unico ospite e infine a comprare un nuovo paio di scarpe. Purtroppo nell'albergo non troverò l'acqua calda.

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