Partire da una destinazione - 2. Ottavio Patanè

Partire da una destinazione - 2. Ottavio Patanè
Tre viaggiatori siciliani, tre storie diverse. Oggi tocca a Ottavio Patanè
15 agosto 2018

Se avete letto il primo articolo sui motoviaggiatori siciliani, avrete già capito che non conta quanto è singolare l'impresa che stai per compiere, ma il modo in cui la concepisci e la vivi. Per questo il secondo motoviaggiatore siciliano che incontro è Ottavio Patanè,  un ragazzo di 48 anni decisamente senza il physique du role dell'avventurierio, piuttosto quello dell'artista o dello scienziato; parla lentamente, inseguendo i concetti in gara con le parole in disaccordo con la fretta, che battono i pugni sul tavolo ad ogni punto a capo. Ottavio lo devi capire, entrare nella sua dimensione concettuale, e forse pure solitaria: possiede una sua sintassi dalla quale non lo scolli, non lo stani, perché lui sa già dove arrivare e quando. Durante un viaggio, si racconta, rimase due settimane a Taranto prima di traghettare per la Grecia, senza motivo apparente. A chi gli chiedeva cosa stesse aspettando per entrare nel vivo della sua avventura rispondeva “non è ora”. Partire dalla Sicilia ti impone anche uno sforzo riflessivo, ti motiva a scegliere solo il momento giusto.

L'ultima impresa di Ottavio è stata partire da Fiumefreddo (Catania) ed arrivare in Mongolia tornando dopo aver percorso 27 mila km e avere attraversato 24 Paesi (più uno, la Transnistria) in 75 giorni. Prima aveva fatto un giretto in Africa fino in Senegal, oltre ad un riposante Capo Nord e Mar Bianco, ma al confronto con il resto dei suoi viaggi, quest'ultimo è da ritenersi una passeggiata.

Dopo aver messo a riposo la moto dei suoi viaggi, una Honda Transalp, nel Piccolo Museo della Moto di Castroreale (vicino Messina, qui un itinerario per raggiungerlo), Ottavio gira con una vecchia BMW R 1200 C; nessuna automobile, molta immaginazione, alcuni progetti legati al turismo in Sicilia, una storia. 

Troppe, e talvolta troppo profonde, le cose che Ottavio ha da dire, e minuscolo lo spazio di una frase per contenerle tutte: così ti lascia l'impressione che avresti bisogno di settimane per capire veramente lui e il suo universo, sempre che tu possieda le chiavi per interpretarlo. Mentre siamo a casa sua, mi fa salire in mansarda per farmi vedere l'incredibile pista per macchinine di 58 metri lineari costruita insieme a suo figlio Demetrio.

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“Io ho cambiato il mio stile di vita quasi ogni dieci anni”.

“Per i primi dieci anni di vita ho solo giocato. Gioco tutt'ora ma fino ai dieci anni solo quello, migliorando tutte le capacità psicomotorie, quelle che oggigiorno i genitori non curano nei figli. Andavo a scuola solo dalle 9 fino a mezzogiorno, infatti in prima media mi bocciarono perché non avevo le basi”.

Ecco.

“Fino ai vent'anni ho solo fatto agonismo, judo”.

Si chiama culo.

“Dai venti ai trenta ho studiato. Mi sono anche laureato in disegno industriale”.

“Dai trenta ai quaranta, ho soltanto lavorato”.

“Dai quaranta ai cinquanta mi dedico soltanto ai viaggi. Tuttavia, molti pensano che io sia viaggiatore perché motociclista. Non è così, lo sarei stato comunque. Nel 2008 ho lasciato tutto, scegliendo di fare l'unica cosa che mi ha sempre migliorato ed affascinato, i viaggi. Da piccolo restavo ore ed ore con gli amici a progettarne di immaginari, o ad organizzare piccoli spostamenti nei paesi vicini, in bicicletta. Giocavo al viatico, un termine che oggi ha perso tutto il suo significato antropologico”.

Ottavio Patanè
Ottavio Patanè

Scusa Ottavio, ma giocare ai viaggi avventurosi è una cosa che fanno tutti i ragazzini...

«I miei genitori sono morti entrambi. Mio papà ha fatto la seconda guerra mondiale, è partito a 18 anni. È tornato senza un braccio, dopo otto anni, quattro dei quali trascorsi in un campo di concentramento; ha girato tantissimo, e tutt'ora sto cercando di capire come abbia fatto a finire in Pakistan, per me è un mistero. È tornato a casa ed era una persona diversa, mai un lamento, sempre pronto alla soluzione dei problemi. Grazie ai suoi viaggi, decisamente non turistici, si è migliorato e questa cosa mi ha segnato. A me piace la moto, piace il turismo ma la mia concezione di viaggio è esclusivamente essere pronto a quello che ti propone la strada: è la mia definizione di avventura».

Riesci a conciliare la tua concezione di vita con le necessità della tua famiglia?

«Io viaggio senza togliere nulla alla mia famiglia. Prima viaggio con loro, poi da solo. Immagina che mio figlio a otto anni ha già attraversato 17 Paesi via terra».

Cosa saresti senza i viaggi?

«Una persona incompleta».

E cosa sei, adesso?

«Adesso attraverso i viaggi in moto sono una persona che trasmette al proprio figlio valori oggi sempre meno condivisi, perché le persone stanno sempre più chiuse in loro stesse».

Non è semplice, sono necessari tempo e denaro.

«Sì, per fare i turisti. Ma per viaggiare e basta non ci vuole tanto. Nei miei viaggi io spendo meno che stare a casa».

Ma anche la spedizione della moto...

«Questo non lo condivido affatto! Lo ammetto e lo giustifico solo per coloro che non hanno il tempo, ma io non accetterei il fatto di separarmi dalla moto! Pensa che non cerco nemmeno sponsorizzazioni, al contrario di molti altri viaggiatori (verissimo: Sebastiano Coco mi ha confessato che tra i viaggiatori avere una sponsorizzazione, anche piccola, è una questione di prestigio e chi non la ottiene viene reputato dalla comunità degli overlander quasi come uno sfigato n.d.r.). Voglio restare padrone del mio tempo, voglio la mia assoluta libertà, che nel caso di una sponsorizzazione dovrei in parte cedere per accontentare lo sponsor. Una cosa è il mio disegno di vita, un altro il mio lavoro».

Ottavio nel deserto. Perso o ritrovato?
Ottavio nel deserto. Perso o ritrovato?

Voi viaggiatori date l'impressione di essere quasi una setta. Vi conoscete tutti, avete in mente gli stessi itinerari, viaggiate con le stesse moto, pensate che tutto sia avventura...

«Dipende sempre da come lo vivi. Io sono stato a Capo Nord, ma ci ho messo 48 giorni, mentre la maggior parte delle persone fa tutto in una settimana. Ho impiegato il mio tempo per vivere la cultura dei Sami e integrarmi con loro. C'è una grande differenza tra viaggiatori e turisti. Pensa che io ho attraversato la frontiera tra Kazakistan e Russia in meno di mezzora, quando molti nemmeno ci riescono».

Cosa vuol dire?

«Vuol dire che probabilmente in frontiera hanno visto il mio visto di tre mesi, non un visto turistico, e hanno capito che non ero un turista, ma un viaggiatore. Ti trattano con molto più rispetto. In questo viaggio, tra l'altro, ho accumulato un ritardo di circa venti giorni perché ho adottato un vecchio sistema: non ho portato con me nessuna mappa».

No scusa, come hai fatto?

«Avevo solo un'applicazione sul telefono per orientarmi nelle grandi città; in realtà cercavo di arrivare nei centri abitati prima possibile, fare amicizia con le persone del luogo, che poi spesso mi ospitavano e mi davano le loro indicazioni per l'itinerario del giorno successivo, immergendomi così nella cultura del luogo stesso. La mia ricchezza sono le persone che incontro: il momento più bello di tutti i miei viaggi è stato l'incontro con un viaggiatore in carrozzina».

In che senso “in carrozzina”?

«In sedia a rotelle. Da San Pietroburgo a Vladivostok, 9.600 chilometri solo con l'aiuto delle braccia! È stato importantissimo, perché mi ha cambiato l'approccio a qualsiasi difficoltà».

Qualche episodio di panico? Insomma, tra il deserto e la steppa ti sarà capitato qualcosa che ti ha fatto tremare le gambe...

«Mah... il panico non fa parte della mia natura. Forse l'unica volta è stato quando a causa delle forti vibrazioni e del caldo si è dissaldato un cavo elettrico della Transalp in piena steppa del Kazakistan. L'idea di mandare all'aria un anno di preparazione e di avere abbandonato mio figlio e mia moglie per niente mi ha mandato un po' fuori di testa. Purtroppo l'impianto elettrico è la parte più rognosa della moto, perché spesso non si capisce dove stia il problema. Però, prima di partire io ho creato dei punti di bypass sull'impianto in modo da riuscire a capire rapidamente dove poter intervenire».

La Honda Transalp, fedele compagna di viaggi di Ottavio
La Honda Transalp, fedele compagna di viaggi di Ottavio

So che ha percorso anche un lungo tratto praticamente senza liquido di raffreddamento nel motore...

«In Mongolia, vicino al lago Baikal, si sono formate delle crepe nei collettori e ho iniziato a perdere liquido».

E come hai fatto?

«Ho continuato. Non ho fatto nemmeno rabbocchi perché era novembre, la temperatura era molto bassa e inoltre non volevo creare pressioni all'interno dell'impianto: ho lasciato il giusto equilibrio. Ci sono arrivato fino a casa, novemila chilometri».

Mani conserte, calma, riflessività, equilibrio: come fai a non crederci? Io, se fossi stato il suo ipotetico compagno di viaggio, mi sarei impuntato per riempire l'impianto di raffreddamento, magari sbagliando. Mi faccio avanti.

Partiresti con un compagno di viaggio?

«No: raddoppi la possibilità di incidenti e problemi, e viaggiando insieme ad un compagno è difficile migliorarsi e stimolare qualcosa dentro di te».

Ottavio adesso pensa di partire per il Burkina Faso con una vecchia Guzzi. Vi teniamo aggiornati.

Chi viaggia in moto resta sempre un po' bambino dentro...
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