Più di 6 mila km in sella alla Suzuki GSX-S1000GT, dalla Sicilia all'Isola di Man [VIDEO]

Due isole accomunate dallo stesso simbolo nella bandiera, il Triscele, unite da un viaggio che ci ha portato ad attraversare mezza Europa con la sport touring di Suzuki gommata Metzeler Roadtec 01 SE
14 settembre 2022

Se siete lettori di Moto.it da un po' non dovrei avere bisogno di spiegare il progetto sottostante questo viaggio, se invece siete ci seguite sporadicamente siamo felicissimi di ricapitolare le circostanze che mi hanno portato nel mese di giugno a intraprendere un lungo viaggio in sella alla Suzuki GSX-S1000GT gommata Metzeler Roadtec 01SE dalla Sicilia fino all'Isola di Man per raggiungere la road race più famosa del mondo, il Tourist Trophy.

Due isole accomunate dallo stesso simbolo nella bandiera, il Triscele, che circostanze non chiarissime pare abbiano portato dalla Sicilia fino al Mare d'Irlanda ma che ha pure funzionato da pretesto per mettere alla frusta moto e pneumatici in un long test eseguito sugli oltre 6.200 km dell'itinerario, per essere presenti al TT e fare una “visita guidata” a Le Mans presso il Team più titolato dell'Endurance, il Team Yoshimura SERT.

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Questo è invece l'ultimo articolo/video che troverete su questa straordinaria esperienza: vi racconto il viaggio e non avrete quindi giudizi sulla moto e sulle gomme (per quelli c'è il long test) né contenuti direttamente riguardanti il TT (li trovate nelle cronache e nelle interviste che ho realizzato): qui parliamo soltanto dei chilometri percorsi, del tempo passato in sella, dei posti che ho frettolosamente abbandonato come un amante clandestino la mattina dopo averci dormito e della strada – tanta – passata sotto le ruote in questa maratona durata più di due settimane.

 

Catania, Sicilia. Primi di giugno.

Sono partito senza alcuna voglia di fare tapponi da 900 km al giorno. È una questione di sicurezza, ma anche del piacere di vivere un minimo i luoghi che saranno attraversati, potersi fermare per prendere fiato o per dare ascolto alla propria curiosità.

Dopo la prima tappa di Caserta aggiungo una divagazione sulla Futa, poi l'autostrada mi porta a Milano e punto successivamente verso Ginevra, sotto una pioggia dispettosa che rende poco allettante l'idea di valicare dai passi e quindi via verso il traforo del Monte Bianco, con l'asfalto viscido e la temperatura ben poco estiva.

 

Ma vabbè, se hai orientato la prua verso Nord non puoi pretendere un trattamento troppo diverso: anzi, prendere la pioggia deve anche piacerti. Dalla Svizzera in poi, faccio tappe da circa 500/600 km al giorno: tanto, alla velocità di 110/120 km/h e gestendo una sosta ogni paio d'ore – o quando mi pare, quando mi sento stanco, quando non ne posso più, nell'eventualità che faccia pure finta di perdermi per le statali - passo in strada sempre quelle 8/10 ore che reputo il dosaggio minimo della mia personale terapia per il buonumore.

Che senso avrebbe fare la pura cronaca di un viaggio, mi chiedo spesso: ogni viaggio è irripetibile, ma viaggiare in moto è riprendersi quelle emozioni che, provate una volta, diventano fonte di assuefazione. La voglia di perdersi, lasciarsi tutto alle spalle. Arrivare alla destinazione quotidiana per provare l'ebrezza della scoperta, quasi di illudersi di essere dei pionieri, il gusto di macinare chilometri su chilometri perché se la meta è lontana il viaggio è adesso, in ogni momento.

Parigi, quindi, al tramonto. Il non-luogo dell'Eurotunnel (dove vi consiglio di arrivare sempre con anticipo perché è facile trovare un modo per anticipare la partenza e attendere meno), le scogliere di Dover tappa obbligata verso Londra dove arrivo giusto in tempo per restare impantanato nel traffico impazzito nel giorno del Giubileo. Mi rifaccio il giorno dopo, quando vado a verificare di persona quanto sia incredibile il tracciato di Brands Hatch con le sue pazzesche variazioni altimetriche. Verificato e confermo: dal vivo fanno paura.

La maggior parte del tragitto è autostradale: l'idea di unire la Sicilia e l'Isola di Man sotto il segno del Triscele può essere declinata in migliaia di modi diversi e ognuno ha il proprio e il mio ha dovuto fare i conti con i traghetti: se non prenoti con mesi e mesi di anticipo è difficile trovare qualcosa di comodo in termini di orario e di giorni. All'imbarco di Liverpool l'attesa di ore viene ripagata da uno spettacolo straordinario, quello dell'arrivo al porto del mitico ferry e dallo sbarco di centinaia di motociclisti reduci da qualche giorno al Tourist Trophy sull'Isola di Man. Mi stupisce la presenza di tantissime moto da fuoristrada ma gli esperti mi dicono che l'Isola offre scenari e percorsi fuoristradistici eccezionali che attirano tantissimi appassionati.

Sul traghetto dormo, sono stanco e l'arrivo a Douglas è per mezzanotte. Piove: io e altre centinaia di moto ci riversiamo dal traghetto come un fiume, disperso poi in mille rivoli ognuno verso il proprio albergo o campeggio. Io non riesco, devo assolutamente fermarmi per gustare il momento, non si arriva a Douglas tutte le mattine e ho il retaggio di anni passati a immaginare come sarebbe stato arrivare sull'Isola di Man in moto: adesso sono qui, al centro della Promenade, migliaia di chilometri dopo la partenza. Attendo quanto basta a rendermi conto che questa maratona di 6 giorni non mi è pesata neanche un po', poi faccio un bagno nella realtà e mi rendo conto che domani sarà il mio primo giorno come giornalista al TT e sopratutto non ho ancora idea di dove dormirò. Il fatto è che come per i traghetti, anche per gli alloggi è necessario attivarsi con tantissimo anticipo per trovare qualcosa di comodo a prezzi relativamente abbordabili. Sono arrivato sull'Isola, lo ammetto, senza aver prenotato nulla ma solo con la rassicurazione di un amico a Douglas che “ un divano, una tenda, qualcosa troveremo”. Vi dico soltanto che ho fatto bene a fidarmi.

L'Isola di Man non è il Tourist Trophy. Certo, se non ci fosse la road race motociclistica più famosa del mondo forse non sarebbe così nota e frequentata, ma girarla in moto è fantastico. Aspra, ventosa, fredda se sali sulla Montagna, accogliente, per nulla ostica, con strade che si perdono fino al Castello di Peel o a Port Enrin dove guidare è bellissimo anche a ritmi molto meno infernali di chi si sfida sui 60 km del tracciato di gara dove, a partire dal rampino di Ramsey fino a Creg-Ny-Baa, è possibile stare “allegri” sotto però lo stretto controllo della polizia: al di fuori di questo tratto i controlli sono giustamente intransigenti sul rispetto dei limiti di velocità e della prudenza, telelaser e simili sono sempre in agguato.

Quasi ogni mattina, prima che le strade vengano chiuse per la gara, faccio un giro sul Mountain. È da brividi, non tanto e non solo al pensiero delle velocità che vengono raggiunte in gara, quanto per la storia che ogni tratto si porta dietro. Il TT si corre dal 1907, il tracciato è sempre lo stesso da allora, sterrato a parte e anni pioneristici esclusi. Achille Varzi, Omobono Tenni, Ubbiali, Provini, il campionissimo Giacomo Agostini, nomi che rappresentano la storia del motociclismo italiano e mondiale sono i primi che mi vengono in mente quando inizio il giro (parto sempre dalla finish line sul rettilineo di arrivo di fronte al Grand Stand e non molto dopo c'è già Ago's Leap), ma anche Hailwood, Dunlop, Surtees, i più contemporanei McGuiness e – ammetto che la sua impresa di essere il più veloce esordiente di sempre mi ha conquistato – il suo compagno di squadra Glenn Irwin.

E poi la gente che vedo assiepata sulle tribune o sui prati, sui muretti dei giardini di casa, in attesa per ore di vedere passare le moto, sentire il loro arrivo, guardarle allontanarsi urlando. Hanno una passione che non saprei definire: mi guardano transitare ad andature ridicole per le stesse curve dove i piloti arrivano con il coltello tra i denti e quando qualcuno capisce che la targa è italiana a volte, non sempre, scatta il pollice su.

Finisce troppo presto – 6 giorni – la mia permanenza a Douglas. L'Isola ammalia, pure me che non amo i climi freddi, e capisco chi ritorna qui ogni anno.

La strada del ritorno verso Torino (dove riconsegnerò la GSX-S1000GT a Suzuki Italia) passa prima da Milton Keynes per una visita a Suzuki UK che si prende cura della “GT” per un check-up prima degli ultimi 2.000 km. Olio e filtro e null'altro: la moto è una roccia, si è dimostrata affidabile, solida e insensibile agli strapazzi di un viaggio di oltre 6.200 km senza nemmeno una notte in garage.

Rouen è meravigliosa ma la mia mente è già a Le Mans. Mi sembrava assurdo essere in sella a una Suzuki e non fare una piccola deviazione per chiedere un'intervista al Team Yoshimura SERT, con le Suzuki GSX-R1000 in vetta al mondiale Endurance e protagonista di una lunghissima storia di successi: ha sede proprio all'interno del circuito Bugatti che visitiamo con la guida d'eccezione del Team Manager Damien Saulnier, egli stesso pilota e istruttore. Peccato essere in auto, ma vabbè.

Giù al Sud, verso Torino, senza fretta. Sono 15 giorni che sono fuori casa - per chi avesse la curiosità: un viaggio del genere è fattibile con una spesa di circa 4.000 euro, pasti esclusi; se si compattano le tappe, probabilmente con meno – e mi aspetta un finale maestoso come il Moncenisio. Finalmente il meteo mi aiuta e prima di arrivare da Suzuki Italia riesco a salire su fino al Lago di Moncenisio e a percorrere la strabiliante strada D1006. Piuttosto che rifare il Traforo del Monte Bianco, questa è la meritata conclusione di un viaggio cui queste righe, sono certo, non hanno reso giustizia. Perché, come dicevamo prima, ognuno vive il viaggio a modo proprio. I luoghi sono quasi degli accessori: pretesti. Valgono meno delle emozioni che in fondo potresti ricavare anche da destinazioni meno esotiche, itinerari più brevi, moto meno sofisticate e prestanti della mia GSX-1000GT cui mi sono affezionato e che riconsegno nelle mani di Enrico Bessolo di Suzuki Italia promettendole che sì mi faccio sentire io...

Viaggi come questo attirano i pensieri di tanti motociclisti sulla noia di stare in sella molte ore al giorno, magari per buona parte in autostrada. Capisco chi pensa che l'autostrada sia noiosa, lo credo anch'io e quando posso prendo la prima uscita a caso per avere anche un'idea del territorio che sto attraversando, fare due curve o per parlare con la gente in un bar, osservare fermo a bordo strada il traffico normale di una statale, magari di un piccolo paesino del centro della Francia. Cose così.

Eppure non posso dire di annoiarmi veramente quando sono in moto in autostrada: lì, a velocità bassa e costante, il motore che sussurra, è facile entrare in uno stato di rilassatezza che porta a perdersi nei pensieri che vanno allo stesso ritmo del panorama.

Non si tratta di rimanere distratti o di fantasticare ma anche di andare più in profondità, trovare riflessioni che non si erano fatte prima e che magari durano tutto il viaggio, come la musica che si crede di sentire mista al rumore del vento nel casco, basta avere un po' di immaginazione e saper fare compagnia se stessi. Tuttavia, non sono mai stato solo in questo itinerario lungo mezza Europa, dai 45°di Catania fino a 10° di Douglas. Durante le ore in sella parlavo con chi non ha avuto abbastanza tempo per fare il primo viaggio della vita, le ho mostrato tutto quello che ho visto e molto di quanto non ho avuto il tempo di scrivere in questo articolo o di fare vedere nel video. Abbiamo riso tanto, ci siamo stupiti e meravigliati, abbiamo preso una quantità di pioggia che mezza era già troppa, le ho spiegato tante cose per lei profondamente inutili ma era pur sempre vedere un pezzo del mondo. Ciao Alice, in fondo è per questo che si viaggia. Per poterlo raccontare.