Sasaplanet: Balcan adventure, part I

Un viaggio dall'Italia alla Georgia attraverso i Balcani, la Grecia e la Turchia, con la vecchia Yamaha Super Ténéré 750 e la nuova Africa Twin 1000
28 febbraio 2018

Prima di raccontarvi di questa avventura mi piacerebbe fare una piccola presentazione del progetto, nato nel 2017 per festeggiare i 10 anni dal primo viaggio in moto che feci all’età di 23 anni in Asia. Chi mi conosce sa che, a differenza di molti altri viaggiatori che riescono a fare viaggi più lunghi, per questioni di lavoro mi sposto come tanti di voi fanno nelle classiche ferie aziendali. Quindi, non potendomi permettere più di tre o quattro settimane alla volta, ho pensato per anni a un modo per riuscire a fare comunque lunghe traversate.
La soluzione la trovai, e la utilizzai per la prima volta nella traversata del Sud America, dall’Argentina alla Colombia in quattro tappe, lasciando la moto ogni volta in uno Stato diverso. Per questo genere di viaggi utilizzo moto di poco valore, così che eventuali problemi non siano troppo onerosi, come successo poi in Sud America dove mi confiscarono il mio Dominator da 800 euro.
Ma torniamo a questo viaggio, nel quale ho pensato a qualcosa di veramente ambizioso. Chi di voi ha mai visto la serie televisiva Long Way Round? Vi ricordate la dissestata "strada delle ossa" che porta alla città della Siberia Magadan? Ebbene sì, la mia forse troppo ottimistica idea è quella di arrivare in Siberia e ovviamente non per strade convenzionali. Il progetto prevede l’arrivo alla mitica Magadan in quattro tappe, la prima delle quali, che è quella di cui vi andrò a parlare ora, è già stata fatta e la mia Yamaha Super Ténéré 750 del 1992, mentre state leggendo, mi sta aspettando nella bellissima Tbilisi, in Georgia.
Sapendo di questo primo viaggio che prevedeva Balcani, Grecia, Turchia e Georgia, il mio amico Alberto mi chiese di potermi seguire fino alla Grecia, dove lui tornerà indietro mentre io continuerò in solitaria.

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Inizia quella che per me è la fase più bella: le serate pizza e birra davanti al PC con le cartine in mano a pianificare itinerari, chilometri e cose da vedere, perché prima di essere motociclista mi ritengo un viaggiatore, e questo mio modo particolare di viaggiare me lo sono inventato proprio perché non amo fare chilometri senza vedere nulla.
I mesi sono passati, le moto sono pronte e cariche, e dopo tanta attesa è il momento di partire: la saracinesca del box si apre, e il motore del mio vecchio Ténéré parte alla volta di questa nuova grande avventura.
Incontro Alberto al primo Autogrill appena fuori Milano, e dopo un caffè ci mettiamo in marcia per proseguire in direzione Est verso la Slovenia. Chi mi conosce sa bene che sono una calamita per danni e imprevisti, ed è cosi che, appena pochi chilometri dopo la partenza, la camera d’aria nuova che era stata pizzicata al montaggio, mi molla di botto a 130 chilometri orari, per fortuna non cado e accosto.
Alberto si ferma di fianco a me non avendo capito cosa sia successo. Il mio giovane amico è preoccupato, siamo in autostrada, il viaggio è appena iniziato ma non nel migliore dei modi: io di forature ne ho avute tante nel corso dei miei viaggi e non mi scompongo più di tanto, scendo dalla moto e sotto gli occhi increduli di Alberto smonto la borsa laterale e alzando la moto di peso la uso come cavalletto, quindi smonto la gomma, cambio la camera e siamo di nuovo in strada, ancora in direzione Est.
I chilometri trascorrono, inizia a piovere a dirotto mentre noi passiamo il primo confine ed entriamo in Slovenia ormai con il buio e il freddo: decidiamo di fermarci nel primo alberghetto che troviamo, dove mangiamo una pizza e andiamo a letto.


Dopo la prima tappa di avvicinamento il viaggio entra nel vivo, ci dirigiamo verso la base aerea abbandonata di Zeljava, al confine Croato-Bosniaco, dove ci attendono 3,8 chilometri di gallerie sotterranee utilizzate all’epoca della guerra nell’ex Jugoslavia come ricovero per gli aerei. Arriviamo a destinazione e seguendo dei furgoni che credevamo esser quelli turistici entriamo nella ex pista di atterraggio, oggi chiusa a causa dei lavori per mettere in sicurezza la zona, in quanto l’intera aerea era stata minata per difendere la base.
Ovviamente usciamo e ci spostiamo nella parte sicura, ma non prima di esserci divertiti a sfrecciare sulla pista dell’ex aeroporto. Visitiamo poi una parte delle gallerie, che man mano che si entra diventano sempre più buie ed inquietanti, quindi dopo poco torniamo indietro, prendiamo le moto e ci dirigiamo verso la bellissima città di Zara, meta turistica famosa per la bellezza delle isole circostanti: qui ci prendiamo la nostra prima pausa e all’indomani visiteremo le isole.
Ci imbarchiamo con le nostre moto per l’isola di Dugi Otok, dove siamo fortunati e troviamo una splendida giornata di sole che ci godiamo a pieno. Visitiamo anche il famoso parco di Prirode Telescopica e le sue scogliere a piombo sul mare, prima di riprendere il traghetto per tornare indietro e ributtarci nelle animate viuzze del centro di Zara.
Il giorno seguente siamo pronti per ripartire, ma ci svegliamo sotto un forte acquazzone: ci vestiamo di coraggio e partiamo sotto un vero e proprio nubifragio dirigendoci verso il parco del Krka, nella speranza che il tempo migliori. Il tempo non è dalla nostra parte e decidiamo di tirare dritti fino alla piccola e graziosa Trogir, dove sostiamo per pranzo e riprendiamo la strada fino a Spalato, dove ci fermeremo per la notte.


Partiamo di buon mattino, oggi entreremo in Bosnia e i chilometri sono tanti. Abbandoniamo la costa e ci addentriamo verso l’interno del Paese, dove il paesaggio cambia e ci ritroviamo a salire e scendere lungo verdeggianti colline.
Man mano che la strada scorre inizia a cambiare anche la qualità dell’asfalto, e bisogna stare attenti alle buche. Entriamo finalmente in Bosnia, e la differenza con la Croazia è tangibile: qui il ricordo di una guerra non troppo lontana è ancora riconoscibile nei palazzi che presentano i segni di buchi lasciati dai mortai, e dalla differente condizione economica. La nostra tappa odierna è Lukomir, sperduto villaggio montano che abbiamo scoperto grazie all’amico Alessandro Forni, anche lui esperto viaggiatore.
Secondo i racconti di Alessandro a Lukomir si arriva dopo 40 chilometri di sterrato, e in questo piccolo villaggio rurale si respira l’atmosfera di anni ormai passati e di lontananza dal moderno stress.
Come detto in precedenza, i chilometri da percorrere sono tanti e si sta facendo buio, come sempre inizia a piovere: siamo in prossimità dell’inizio della parte sterrata, quindi decidiamo di continuare. Le moto sono cariche e piene di bagagli, quindi non possiamo avere un passo molto veloce, sopratutto perché il tempo peggiora, si fa sempre più buio e di Lukomir nessuna traccia. I 40 chilometri sono passati e siamo in mezzo al nulla, iniziamo a chiederci se non ci siamo persi e se non abbiamo commesso un errore addentrandoci sui monti senza sapere con esattezza dove andare, ma proprio quando iniziamo veramente a preoccuparci arriviamo alla nostra agognata meta. Sono solo le 20:30, ma tutto è spento, non c’è nessuno e il villaggio è veramente un piccolo borgo rurale senza strutture. Iniziamo a girare tra le poche case,e fortunatamente il rumore delle moto incuriosisce gli abitanti di una piccola abitazione che ci urlano qualcosa: noi non capiamo, ma attendiamo e poco dopo ci viene incontro un uomo dall’apparenza delirante, che probabilmente si stava lavando i denti visto che ha il viso pieno di dentifricio.
La scena è comica, e noi non riusciamo a capire nulla di ciò che ci sta urlando, da lì a poco scompare, noi siamo ottimisti e decidiamo di aspettare. L’uomo torna con un’anziana vecchietta che ci fa segno di seguirla, entriamo in questa specie di casolare allestito con un paio di letti: non abbiamo mangiato e non c’è niente, ma almeno siamo riparati. Andiamo a letto, ma durante la notte veniamo svegliati da tuoni e lampi, l’acqua viene giù forte tanto che Alberto, in ansia per le moto, si affaccia per controllare la situazione, facciamo fatica a riaddormentarci pensando al giorno seguente.


Al risveglio fortunatamente non piove e noi ci prepariamo per ripartire, non prima però di aver fatto un giro nel villaggio, dove la vita sembra essersi fermata anni addietro e dove gli abitanti vivono senza rete telefonica. Il tempo di mettersi in moto e ovviamente inizia a piovere, facciamo di buon passo i tanti chilometri di sterrato a ritroso e rientriamo su asfalto in direzione Mostar, diventata tristemente famosa a causa dell’abbattimento dello storico ponte della città, simbolo di una guerra cruenta. Oggi la ricostruzione del ponte ha dato nuove speranze all’orgogliosa Mostar, che vive senza nascondere il suo nefasto passato e che ha anche trovato il modo di sfruttarlo in modo turistico. La sera la passiamo perdendoci tra le affollate stradine, piacevolmente colpiti dalla bellezza della nostra meta odierna.
Prima di lasciare la Bosnia per rientrare in Croazia visitiamo il monastero di Blagaj, costruito vicino ad una bellissima grotta con annessa falda acquifera. Rientriamo in Croazia e ci dirigiamo verso Ragusa, decidiamo di fare una deviazione alla ricerca di qualche sterrato e finiamo in un ex ferrovia dismessa. Con Ragusa si chiude la nostra esperienza in Croazia, il nostro viaggio continua verso sud ed entriamo in Montenegro.

Lo scenario cambia ancora e veniamo proiettati nella Norvegia dei Balcani, con il suo imponente fiordo: in questo fantastico scenario arriviamo a Cattaro, che dalle sue imponenti mura sorveglia il fiordo.
Ci fermiamo e abbiamo la pessima idea di scalare la collina alle spalle bardati da moto e con stivali. Dall’alto delle mura festeggio in Montenegro quello che per me è un piccolo traguardo personale: il Paese numero 60.
Diverse persone ci hanno detto che la strada che sale alle spalle di Cattaro è di rara bellezza, e infatti percorrendola rimaniamo a bocca aperta ammirando il paesaggio sotto di noi. Le bellissime curve invitano a ruotare la manetta del gas, ma lo sguardo è come rapito dalla bellezze di questo luogo e senza accorgercene procediamo invece ad un'andatura bassissima fino alla vetta, da dove poi scendiamo sul versante opposto per raggiungere una moderna Budva, dove riposiamo con un sorriso stampato sul viso.
Il Montenegro meriterebbe qualche giorno in più, visto che solo una minuscola parte si affaccia sul mare, ma noi abbiamo voglia di affrontare quella che avevamo pregustato come la parte più bella del viaggio: l’Albania.
Alcuni amici ci hanno fornito le tracce del Rally d’Albania 2017, e noi vogliamo vedere se siamo in grado di affrontarle con le nostre pesanti moto: per questo ci dirigiamo verso il confine,non prima però di aver visitato il bellissimo lago Skadar.
Abbiamo un giorno di anticipo rispetto al programma, quindi decidiamo di aggiungere una deviazione in Kosovo e ci dirigiamo verso Prizren, dove arriviamo al pomeriggio, facciamo un giro e ci prepariamo per iniziare la vera avventura.

Per ora però vi saluto, e se fino a qui il racconto vi è piaciuto vi consiglio di aspettare le prossime puntate: da qui in poi ne vedrete delle belle, a presto con il resto dell’avventura!

Salvatore Di Benedetto

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