Sasaplanet: Balcan adventure, part II

Ci eravamo lasciati nella graziosa cittadina di Prizren, in Kosovo, dove avevamo passato una gradevole serata passeggiando tra le vie e i locali del piccolo villaggio. Il giorno seguente ci svegliamo di buon'ora, per rientrare in Albania ed iniziare la vera e propria avventura sulle tracce dell'omonimo rally
12 marzo 2018

Ci prepariamo per partire, ma la nostra giornata inizia male, avevo bucato il giorno precedente ma non mi ero accorto del chiodo conficcato nella ruota posteriore, è domenica mattina ed è presto, e io non ho molta voglia di smontare il tutto. Quindi ci mettiamo in sella all’Africa di Alberto e cerchiamo un gommista. Ne troviamo uno, ma qui non sono molto abituati alle moto, quindi, nonostante non ne abbia voglia, cambio io la camera d’aria, almeno questa volta aiutato da un "alzamoto" di fortuna e dalle attrezzature del gommista: finisco alla svelta, e poco dopo siamo pronti a partire.
Siamo finalmente in marcia e ci dirigiamo verso il confine, dove esplichiamo velocemente le pratiche di ingresso in Albania.
Qui il paesaggio cambia totalmente, anche se, in realtà, più che di paesaggio si deve parlare di civiltà.
L’Albania ci appare sin dal subito il Paese più arretrato tra quelli visitati sino ad ora: le strade sono in pessime condizioni e piene di buche, frequentemente si trovano in strada carretti trainati da asini o buoi, questo ci porta indietro in una vita rurale che a noi ormai sembra lontana anni luce.
Le autostrade all’interno del Paese non esistono, ma poco male, il paesaggio è stupendo e iniziamo a salire e scendere da verdeggianti colline. Ad ogni nostro passaggio tra i villaggi sperduti veniamo accolti da bambini festanti e da adulti che ci incitano a sgasare e far rimbombare i motori delle nostre moto. Come esimerci dall’accontentarli? La cosa diverte anche noi,e quindi giù di gas!
L’andatura è bassissima, le strade peggiorano di chilometro in chilometo, ed è sempre più frequente la presenza di animali che attraversano all’improvviso. Per mesi prima, di partire avevamo studiato e sognato l’Albania, ci aspettavamo che fosse wild e così è, forse anche più di quanto pensavamo, tanto che anche trovare un distributore aperto e fornito di benzina inizia ad essere un problema. Ormai mancano una cinquantina di chilometi a Selishte, punto da cui parte la nostra traccia Gps: già da adesso il TomTom ci dice che la strada non è più asfaltata e il fatto di essere senza benzina ci preoccupa, siamo in mezzo al nulla, quindi non possiamo far altro che proseguire.

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Ormai l’asfalto è veramente un lontano ricordo, e noi iniziamo a non capire se stiamo proseguendo per la strada giusta; ci fermiamo più volte a controllare la cartina e il TomTom, che ci confermano che siamo sul giusto tracciato e che dobbiamo proseguire. Ci fermiamo anche a chiedere informazioni sulla riva di un fiume, ma non riusciamo a comunicare con i nostri interlocutori, quindi imbocchiamo il pericolante ponte davanti a noi e continuiamo il nostro cammino.
La strada che affaccia sul sottostante fiume è di rara bellezza e noi, che adoriamo il fuoristrada, ci divertiamo alla guida. Arriviamo all’ora di pranzo al piccolo villaggio: altro non è che un minuscolo agglomerato di case in una vallata rurale, le nostre speranze di trovare distributori e ristoranti vengono smorzate dalla realtà. Veniamo subito circondati da un gruppo di bambini festanti ai quali riusciamo a far capire di cosa abbiamo bisogno, e loro ci fanno segno di seguirli, ci portano in quello che sembra un piccolo negozietto di alimentari dove, poco dopo aver parlato con la proprietaria, tornano con qualche bottiglia di coca cola piena del prezioso greggio. Il prezzo non è proprio a buon mercato, ma noi non possiamo far altro che accettare, ci attendono tanti chilometri in fuoristrada, dove molto probabilmente non incontreremo nulla, quindi facciamo segno ai nostri piccoli amici di portare altre bottiglie e facciamo il pieno alle nostre due moto.
Noi speravamo in un lauto pranzo per metterci in forza prima di riprendere il viaggio, ma purtroppo ci dobbiamo accontentare di merendine e patatine, delle quali facciamo anche scorta in vista della strada che ancora ci attende.

Si è fatto tardi, ci mettiamo in moto e cerchiamo il punto dal quale parte la nostra traccia, che si trova sulla collina alle spalle del villaggio. Carichiamo la traccia Gps e partiamo subito con una bella strada bianca in salita, molto veloce e senza particolari difficoltà. Tutti ci avevano avvertiti sulla difficoltà delle tracce del Rally, e da lì a poco si inizia con qualche bella mulattiera, resa difficile dal maltempo che nei giorni scorsi ha investito la zona, e troviamo alberi caduti che rallentano il nostro cammino. Nonostante la mia moto sia più carica e vecchia di quella del mio giovane amico, ho un passo un po’ più veloce del suo ed è così che ad un bivio perdo Alberto, che ovviamente prende quello sbagliato: mi fermo e aspetto che arrivi, fortunatamente si accorge di aver sbagliato e torna indietro. L’errore è mio: ai bivi, se non si è da soli, bisogna sempre aspettare e da ora in avanti avrò un passo adeguato al suo. Per chilometri e chilometri non incontriamo più nessuno, è incredibile siamo dispersi nel bel mezzo del nulla ma nonostante l’ora non riesco a non fermarmi in continuazione per foto e video: adoro la natura, e qui ne siamo completamente circondati.
Saliamo in quota e percorriamo una splendida strada a strapiombo su una vallata, qui la strada lo permette e io e Alby ci "ingarelliamo" e ci divertiamo dando un po’ di gas sempre restando nei limiti della sicurezza: stiamo pur sempre guidando grosse bicilindriche piene di bagagli, ma nonostante questo ci divertiamo come due bambini. Purtroppo si sta facendo tardi e inizia anche a piovere, noi non sappiamo ancora dove siamo, e a un certo punto incrociamo grossi camion addetti al trasporto di alberi appena tagliati, che ci fanno capire di non essere molto lontani dalla civiltà.
Si inizia a scendere, e purtroppo le piogge dei giorni scorsi e i camion appena incrociati hanno formato grosse carregge rese scivolose dal fango: così iniziamo con la fiera delle cadute, piccole sdraiate che però rallentano ancora il nostro passo. Arriviamo finalmente in un piccolo villaggio, dove non c’è molto se non un capanno dove ci ripariamo dalla pioggia e, cartina in mano, cerchiamo di capire dove andare. Il confine Macedone non è lontano, quindi decidiamo di abbandonare la traccia per fare una deviazione verso il lago Ohrid, dove l’omonima cittadina è nota località turistica.
Finalmente, dopo altri chilometri percorsi su strade sterrate troviamo l’asfalto, prendiamo la strada verso il confine ma piove troppo: quindi ci fermiamo alla prima aerea di servizio che troviamo, c’è anche un piccolo albergo dove ceniamo, ed esausti ma felici ce ne andiamo a letto.


Ci rialziamo presto, e dopo una rapida colazione ci avviamo verso il confine dove speriamo di concludere le pratiche velocemente, come è stato fino ad ora: ma nonostante la pioggia e il freddo, i doganieri ci fanno segno di seguirli in un grosso capannone dove iniziano a smontarci moto e bagagli. Sono innervosito dal loro modo di fare, sono abituato a viaggiare in moto e so già cosa stanno cercando di fare, uno di loro vedendo che ho tre paia di guanti ne prova uno e mi fa segno di regalarglieli. La mia esperienza mi ha insegnato che non bisogna mai farsi vedere vulnerabili e gli faccio capire che deve posare ciò che ha preso: purtroppo i doganieri di questi Paesi ci provano, e sperano sempre che persone impaurite gli lascino qualcosa; dopo una mezz’ora abbondante ci lasciano andare, purtroppo per loro a mani vuote.
Entriamo dunque in Macedonia e ci dirigiamo verso la bellissima Ohrid, famosa per le sue chiese bizantine. La più famosa è quella di St.John, che occupa uno spuntone diroccato con il lago e le montagne innevate alle sue spalle, una vista davvero incantevole, che ha permesso alla piccola chiesa di diventare patrimonio mondiale dell’Unesco. Il patrimonio della piccola Ohrid è formato, oltre che da chiese, da vecchi insediamenti greci e romani e dal castello che sovrasta la città, che la rendono un posto di villeggiatura tra i più famosi della Macedonia: e noi non stentiamo a crederci, vista la presenza di numerosi locali e ristoranti affacciati sul lago, dove ci fermiamo per un pranzo a base di pesce.
Il tempo non è dei migliori per visitare la cittadina, quindi ci rimettiamo in moto e facciamo il giro del lago,che è diviso tra i due confini: non possiamo far altro che immaginare quanto sarebbe stato bello in una giornata di sole. Attraversiamo il confine e Alberto, che è ancora stanco dal giorno precedente, non ha voglia di riprendere la traccia del Rally e quindi cerchiamo sul Tomtom la strada per Berat, "la città dalle mille finestre".
La nostra meta non dista molto, eppure il Gps ci indica ben 8 ore per percorrere poco più di 250 chilometri per strade non asfaltate, o in alternativa un giro largo che porta sulla costa ma che ci farebbe allungare fino a più di 600 chilometri: decidiamo quindi di prendere la strada più corta, nella speranza che non sia poi così difficile.
Effettivamente la prima parte è molto piacevole, siamo su una semplice strada bianca che costeggia un fiume, siamo convinti di aver fatto la scelta giusta, vista la bellezza di ciò che ci circonda: ma purtroppo l’Albania, da tanti considerato il paradiso dell’offroad, non è un Paese facile e le strade iniziano subito a diventare più impegnative. Le strade sterrate ci lasciano e iniziamo a salire su mulattiere pietrose che con i nostri pesanti bicilindrici non sono facili da percorrere; eppure siamo felici: questo Paese è veramente fantastico.
I chilometri e le ore passano, la stanchezza del giorno precedente assale Alberto, che rallenta il passo, entriamo in un tratto in salita argilloso, dove io salgo agevolmente aiutato dell’ottimo grip delle calzature della mia moto, mentre il mio socio incontra qualche difficoltà a causa del traction control della sua Africa e della stanchezza: stiamo veramente procedendo molto lentamente, e intanto si fa buio e noi siamo ancora tra le montagne.
La strada invece di migliorare peggiora, Alberto è stremato e io sono preoccupato, perché il gps mi segna ancora 1 ora prima dell’arrivo a Berat.

Arriviamo a un bivio, le due scelte sono strade dissestate e piene di grosse pietre: non abbiamo molta alternativa, dobbiamo andare avanti, a meno che non vogliamo campeggiare qui in mezzo al nulla. Proseguendo arriviamo in un campo di ulivi che secondo in nostro gps dovrebbe essere la fine del tratto offroad: la strada però inizia a scendere vertiginosamente e in contropendenza, se dovessimo risalire avrei i miei seri dubbi che ci riusciremmo e ovviamente, quando arriviamo sulla strada che ci separa dall’asfalto, ci troviamo un vecchio Mercedes parcheggiato davanti e ai lati alte pareti di terra che ci impediscono di passare. La strada che poco fa vi dicevo difficile da percorrere a ritroso è alle spalle, e noi che non sappiamo come arrivare sull’asfalto, che dista ormai poche centinaia di metri.  Ormai scocciato, torno un po’ indietro ed entro nel campo di ulivi, ne percorro un pezzo e noto una S che in 3 metri di salto scende su asfalto: non c’è spazio per le nostre moto, eppure sotto lo sguardo incredulo del mio amico scendo a marcia indietro e arrivo finalmente sulla strada asfaltata dove parcheggio la moto e lo aiuto a scendere.
Arriviamo tardissimo a Berat, dove mangiamo una pizza al volo e facciamo un giretto nel bellissimo centro prima di andare a riposarci.
Berat, anch’essa patrimonio dell’ Unesco in quanto raro esempio di città ottomana ben conservata, ci rapisce con la sua bellezza e ci regala bellissimi scatti fotografici. Soprannominata "la città dalle mille finestre", Berat è suddivisa in tre zone: Kalaja (Castello), Mangalem (sottostante il Castello) e Gorica, quest'ultima sulla sponda sinistra dell'Osum, il fiume che le separa: in tutti e tre i quartieri sono presenti monumenti storici che testimoniano l'illustre passato di Berat, e noi dedichiamo una piacevole mattinata alla visita prima di rimetterci in marcia.
Ci dirigiamo ora verso sud, ormai abbiamo imparato che le distanze in Albania hanno valori totalmente diversi dai nostri e siamo preparati: eravamo venuti qui per guidare in fuori strada, e mai avremmo pensato di farne così tanto da sognare una giornata di tranquillo asfalto, ma purtroppo anche oggi resterà un miraggio. Fortunatamente per noi, anche se resta sterrata la strada che stiamo percorrendo è in realtà in costruzione e quindi è ben tenuta: finalmente riusciamo a tenere velocità più alte e incrociamo anche altri gruppi di viaggiatori in moto che stanno facendo il nostro percorso all’inverso, dirigendosi verso nord. Questa giornata è veramente piacevole, i chilometri scorrono veloci e finalmente, dopo giorni, arriviamo con la luce del sole a Gjirokastra, famosa per il suo castello e per quello che venne spacciato come un jet spia americano abbattuto nel 1957, che viene esibito con orgoglio nel museo delle armi della città (in realtà era un Lockeed T33 della NATO in volo di addestramento, costretto da un guasto ad atterrare in Albania, e mai più recuperato, NdR). Facciamo anche una piccola visita al rifugio antiatomico,prima di andare a cena e poi in albergo per riposarci.


Nel piano iniziale del giorno successivo c’era la discesa verso la costa, ma decidiamo di dirigerci direttamente al confine con la Grecia, dove arriviamo velocemente, esplichiamo le pratiche e via dritti verso le Meteore, dove ci attendono i famosi monasteri più o meno diroccati (ma non tutti) costruiti su queste enormi e spettacolari rocce. Arriviamo nel pomeriggio, ovviamente ancora sotto un acquazzone:  aspettiamo un po’ nella speranza che smetta, ma niente, quindi ci facciamo un primo giro sotto l’acqua. Ci fermeremo qui due notti nella speranza di poter visitare i 6 monasteri Ortodossi. Al mattino seguente il tempo non è nostro amico ma almeno non piove,quindi passiamo la nostra giornata visitando i bellissimi monasteri che ci lasciano esterrefatti per le loro  rare bellezze: nonostante i tanti viaggi compiuti nella mia vita, non avevo mai visto nulla del genere: peccato solo per non esser riusciti a vedere il famoso tramonto per cui questo posto è famoso.
Siamo così arrivati alla fine della seconda parte del mio racconto: al risveglio, preparati i bagagli, Alberto si dirige verso Igoumenitsa, dove prenderà il traghetto per rientrare in Italia, mentre io continuerò il mio viaggio verso la Georgia in solitaria. 
Quindi, se vorrete sapere come andrà a finire, non vi resta che restare sintonizzati qui su Moto.it sino alla prossima puntata.

Salvatore Di Benedetto

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