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Ci eravamo lasciati nel centro della Turchia a Malatya ma la mia destinazione del giorno è il lago Van, nell’estremo Est del Paese, che dista più di 550 chilometri quindi è il caso di mettersi in sella e iniziare a macinare.
Più mi avvicino verso Est e più è palese che questa zona della Turchia è ormai sull’orlo di una guerra, sono numerosi i posti di blocco lungo la strada, militari controllano ogni mezzo in entrata e in uscita dalle città, si incrociano continuamente carri armati, trincee e basi militari con controaeree ben visibili dall’esterno.
Durante il cammino vengo fermato spesso e sono costretto a esibire i documenti e spiegare cosa faccio in questa parte del Paese.
Storicamente questa zona che confina a Sud con la Siria e a Est con Iran e Armenia è sempre stata instabile a causa della presenza della popolazione curda che rivendica il diritto al territorio.
In questo clima poco rassicurante arrivo nella città di Tatvan, sulle sponde del Lago Van, qui cerco qualcuno che mi possa vendere dell’olio per fare un piccolo rabbocco ma è veramente difficile trovarlo specifico da moto, quindi mi accontento di metterne uno da auto facendo almeno attenzione che abbia le stesse specifiche di temperatura.
Sul tragitto mi fermo a visitare l’antica chiesa armena della Santa Croce sull’isola Akdamar, in mezzo al Lago Van, teatro di un violento scontro tra Armenia e Turchia in quanto eretta in memoria del genocidio della popolazione armena in terra turca.
Per anni è rimasta chiusa e deturpata, oggi dopo tante lotte è stata riaperta come museo in quanto è stato vietato il culto.
Nonostante la sua triste storia, la chiesa sorge in uno dei paesaggi più incantevoli della Turchia e le acque turchesi del lago riflettono il bianco delle vette che vi si affacciano.
Poco dopo vivo una piccola disavventura sull’isola, mi sono appartato nascosto su una collina per fare qualche bella ripresa con il drone, ma proprio quando il mio drone sta atterrando, mi ritrovo una guardia che mi fa segno di seguirlo e un po’ arrabbiato mi fa capire che non posso volare in questa zona.
Come sempre non perdo il sorriso e i modi gentili quindi cerco di smorzare il clima e una volta arrivato nell’ufficio del capo della sicurezza inizio a scusarmi per l’accaduto fino a che il tutto non si risolve in una scherzosa tirata di orecchie e la cancellazione di tutte le immagini fatte, un vero peccato, ma è giusto così.
Bisogna sempre ricordarsi che si è ospiti in un paese straniero, si devono rispettare le leggi del posto e soprattutto i nostri interlocutori, se ho imparato una cosa: l’arroganza non ti salva un sorriso forse sì!
Torno verso la terra ferma e dopo pochi chilometri sono nella vivace Van che mi accoglie con un aria da città europea, bar alla moda e eleganti ristoranti, in questo clima passo una piacevole serata.
In mattinata parto di buon ora, come sempre ho tanti chilometri da fare e nel mio programma c’è la visita al palazzo di Dogubayazit che si affaccia sulle pendici del monte Ararat. La strada che corre sulle sponde del lago è incantevole e prende una diramazione che va verso Nord e inizia a salire di altitudine.
Sono a pochi chilometri dal confine iraniano, in questa zona pochi mesi fa lo stato del Curdistan si è autoproclamato autonomo, ovviamente senza il consenso dell’Iran e della Turchia e dalla strada è facile vedere basi militari sulla cima di ogni singola montagna.
Fino ad oggi di viaggi ne ho fatti tanti ma mai avevo visto un tale spiegamento di forze militari.
Tutto passa in secondo piano quando davanti a me si erge il monte Ararat dove si dice sia stata ritrovata l’Arca di Noè, le bianche pendici sovrastano il nero intenso delle colate laviche dei vulcani della zona, è un paesaggio bellissimo e io ne sono catturato.
Forse anche per questo motivo non faccio molto caso alle pietre posizionate per sbarrare la strada, proseguo ma vengo subito richiamato da un fischio, alzo lo sguardo e da una torretta due militari mi urlano qualcosa che non capisco, giro la moto e mi avvicino a loro che non parlano Inglese. Fortunatamente ci raggiunge un terzo militare al quale chiedo spiegazioni e lui mi fa capire che non posso proseguire su questa strada anche se ormai il palazzo dista poco meno di 40 chilometri.
Alla mia domanda sul perché non posso proseguire lui mi risponde con un semplice TERRORISM, che a me sembra un ottimo motivo per girare la moto e accettare la “piccola” deviazione di 800 chilometri che dovrò fare.
Sono un po’ sconfortato ma non posso fare altrimenti, inizio a tornare indietro e mi dirigo verso il lago e la cittadina di Karahan da dove prendo l’altra deviazione in direzione Patnos. Da qui, una strada all’interno di uno spettacolare Canyon, mi porta verso Tutak, 800 chilometri da percorrere sono tanti ma almeno la strada è bella e arrivo in tarda serata nella città di Kars senza però aver potuto visitare il palazzo.
La mattinata seguente faccio una deviazione alla città abbandonata di Ani, antica capitale del regno Armeno.
Il piccolo villaggio medievale abbandonato oggi si trova in territorio turco ed è affacciato sulle gole del fiume Arsa che delimita il confine tra le due nazioni.
Durante la visita conosco un altro moto-viaggiatore di origine greca, facciamo due chiacchiere e decidiamo di fare la strada insieme verso il confine georgiano.
Il mio nuovo compagno di viaggio è però diretto verso l’Armenia quindi dopo poco più di 100 chilometri percorsi insieme ci separiamo e io mi avvicino al confine, la strada intanto inizia a salire fino al Passo di IIgar Dagi Gecidi, ad oltre 2000 metri.
Arrivo al confine e dopo rapidi controlli passo la dogana turca ma all’ingresso in Georgia iniziano a smontare la moto, mi chiedono addirittura di togliere la sella e controllare il vano sottostante, sono anche costretto a togliere le valigie laterali e a tirar fuori tutto ciò che c’è dentro, dopo almeno 45 minuti di controlli mi lasciano andare e posso finalmente riprendere il cammino verso l’interno del paese.
In tarda serata arrivo a Surami dove prendo un modesto alberghetto con poche pretese, decido poi di andare a mangiare e scelgo un locale dove da fuori si sente un po’ di musica, come al solito ho il computer con me ed inizio a lavorare alle foto della giornata.
Poco dopo vengo interrotto da un gruppo di georgiani che cercano di capire la mia nazionalità e non appena dico la parola magica Italia ai miei nuovi amici brillano gli occhi e visibilmente alterati dall’alcool iniziano a cantare tutto il loro repertorio che comprende Toto Cotugno e a memoria recitano la formazione dell’Italia Campione del Mondo dell'82.
Continuano a riempire il mio bicchiere di Chacha, un bevanda altamente alcolica simile alla grappa, qui in Georgia bere alcolici fa parte della tradizione socio culturale e sembra essere un’offesa grave non accettare ed è così che nonostante i miei rifiuti in poco meno di mezz’ora sono completamente ubriaco, forse non proprio eticamente il modello del perfetto viaggiatore, ma che ci posso fare io ho provato a rifiutare ma i miei corpulenti amici non hanno voluto accettare.
Al risveglio mi sento un po’ stordito e faccio una doccia nella speranza di riprendermi, subito dopo mi metto alla guida con un piccolo sorriso ripensando all’assurda serata passata.
La Georgia è un paese di chiara matrice filo sovietica e le periferie delle città che attraverso, fanno cattiva mostra di enormi palazzoni costruiti in età del comunismo, l’economia da allora non sembra ancora essersi ripresa, le strade sono in pessime condizioni e il senso di povertà è tangibile.
Mi dirigo verso la catena montuosa del Caucaso che delinea il confine con la Russia, su consiglio dell’esperto viaggiatore Mauro Dagna, meglio conosciuto come Vagabondo per il mondo, sto andando a visitare lo sperduto villaggio di Svaneti.
Per raggiungerlo bisogna fare un bellissimo tratto in fuoristrada da 100 chilometri dato che si trova in una zona veramente inaccessibile, motivo per il quale sembra esser l’unico villaggio mai conquistato dalle forze sovietiche.
La strada si inerpica vertiginosamente su un sentiero roccioso e a picco su un fiume sottostante, la guida è veramente divertente anche se temo per i miei pneumatici arrivati a ormai 8500 chilometri, per fortuna i miei Anlas Capra X offrono ancora un buon grip e anche se ha iniziato a piovere riesco a proseguire il cammino.
L’altitudine inizia a farsi sentire, non a caso questa è una delle zone abitate più alte d’Europa, attorno a me le vette innevate del Caucaso fanno da guardia al mio cammino e mi sento protetto da questi giganti che toccano i 5000 metri di altitudine.
Sono veramente stanco e di Ushguli nemmeno l’ombra, il mio Gps segna i 3000 metri ma proprio quando non ce la faccio più, le torri del piccolo villaggio appaiono in lontananza.
Ushguli è un piccolo villaggio caratterizzato dalla presenza di torri che servivano a proteggere gli abitanti, in tutta la zona se ne contano più di 200 e danno un'aria medioevale.
Trascorro un piacevole pomeriggio tra i vicoli ciottolati, ancora una volta non riesco a sfuggire alla cordialità dei georgiani e mi ritrovo con un bicchiere di Chacha in mano, questa volta però riesco a fuggire prima di ubriacarmi ancora.
Al calar del sole non c’è molto da fare, non c’è elettricità se non quella dei generatori quindi vado a letto presto.
Mi sveglio molto presto a causa del freddo e una volta aperta la finestra capisco il perché, sta nevicando e le montagne sono tutte bianche e io tra due giorni ho il volo da Tbilisi per Milano quindi non posso proprio restare, decido di vestirmi quanto più pesante possibile e di partire sperando che riuscirò ad oltrepassare il passo che avevo affrontato il giorno precedente.
Sono un po’ preoccupato, come detto prima i miei pneumatici hanno quasi 9000 chilometri e oggi li metterò ancora più alla prova.
Parto e sono solo sul cammino, inizio a salire e la strada è completamente bianca ma riesco a superare il valico e mi avvio verso valle dove arrivo in mattinata e mi fermo per un veloce pranzo.
Si va verso la capitale che mi accoglie con il suo caotico traffico e con moderni palazzi che inglobano la splendida città vecchia.
A Tbilisi ho appuntamento con un ragazzo conosciuto tramite Facebook, anche lui motociclista, mi deve aiutare a trovare un posto dove lasciare la mia moto, perché lascerò la moto qui e mentre state leggendo queste righe io sto già organizzando la prossima avventura che potrete seguire sulle mie pagine Instagram e Facebook: Sasaplanet Adventure Traveller e ovviamente qui su Moto.it.
La prossima partenza sarà il 13 giugno 2018 e prevede Georgia, Armenia, Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan anche se, a onor di cronaca mi sto scontrando contro una complessa burocrazia per richiedere visti e permessi ma io non demordo e spero di potervi raccontare a breve di questa prossima grande avventura.
Torniamo per un attimo a Tbilisi per raccontarvi di questi ultimi giorni, il mio nuovo amico è un personaggio al quanto bizzarro che fatico ad inquadrare e proprio mentre sto perdendo la speranza e inizio a credere che sto perdendo solo tempo, mi porta in un concessionario Yamaha.
La mia moto negli ultimi giorni aveva iniziato ad avere problemi, si era rotto un cuscinetto e ho avuto come la sensazione che fosse da rifare la catena di distribuzione, quindi concordo con il meccanico che gli invierò il materiale per fare i lavori in modo che al mio ritorno la moto sarà pronta per partire.
Così dopo un’ultima serata passata a festeggiare questa avventura tra le vie della città vecchie è arrivato il momento di tornare in Italia e di fare un piccolo ringraziamento alle aziende che mi hanno aiutato fornendomi materiale tecnico: Clover Italia, Anlas Italia, Mytech Accessories e la Kry-o ma sopratutto grazie a Moto.it per avermi dato l’opportunità di condividere con voi questa mia esperienza nella speranza che avrete voglia di seguirmi ancora e grazie a tutti voi che mi avete letto!
Salvatore Di Benedetto