Vendemmia in Sicilia nelle tenute Tasca d'Almerita. Un sogno da Gattopardo... ma in moto!
Meta del nostro viaggio in sella a due Triumph (una Bonneville T100 e una Scrambler) sono alcune delle aziende vitivinicole Tasca d’Almerita sparse per la Sicilia
14 novembre 2013
Vendemmia in Sicilia in sella alle Triumph
Il nostro viaggio di due giorni nelle terre dell’uva inizia con la terra che ci piove addosso. Non è una metafora e nemmeno l’effetto di una precoce ubriacatura di quei vini che andremo a sorseggiare con giudizio, ma è la pura verità sacrosanta. L’Etna ha deciso di festeggiare la nostra partenza con una scenografica eruzione: quattro distinti pennacchi di fumo e lapilli svettano sul vulcano e rilasciano una sabbiolina finissima che trasportata dal vento ammanta di nero le strade, le automobili, la terra che da questa sabbia vulcanica trae vita e fertilità, le nostre facce che temono di danneggiare le moto con una scivolata sull’asfalto reso infido da questa pioggia più scura del cobalto e più fine del fesh-fesh saharaiano.
Tenuta Tescante
Meta del nostro viaggio in sella a due Triumph (una Bonneville T100 e una Scrambler) sono alcune delle aziende vitivinicole Tasca d’Almerita sparse per la Sicilia. La prima in lista è la Tenuta Tascante nei pressi di Randazzo, la raggiungiamo inerpicandoci sull’Etna sulla statale 120 attraverso il comune di Solicchiata e fendendo le arie dense di mosto il cui forte odore che permea le narici è capace di ubriacarti con il solo sospirare: siamo già alticci, sì, ma di sole e aria tiepida mista a quell’eccitazione leggera che il viaggio in motocicletta imprime; nemmeno la velocità con la quale le moto danzano tra le curve riesce a spegnere l’emozionante sensazione di navigare attraverso un denso mare violetto di succo d’uva, mentre il profumo di vendemmia ricorda ad ognuno di noi eventi incredibilmente lontani nel tempo e slegati da un nesso diretto col vino e con l’autunno: a me, per esempio, ha ricordato mia nonna Anna al mare tanti anni fa, quando il suo sorriso silenzioso era il mio rifugio dalle cose che non capivo. Le chiamano memorie olfattive: senti un odore e ti si accendono emozioni, ricordi, esperienze passate sopite dalla quotidianità; è una magia, in fondo.
La Tenuta Tascante con suoi i muretti a secco e i terrazzamenti è un diamante incastonato tra boschi e colate laviche antiche di secoli. La gente che anima la tenuta è sincera, allegra senza avere bevuto un goccio, schietta come i saluti in puro dialetto che ci rivolge quando per un attimo alza la testa china nel raccogliere le uve di nerello mascalese che diventeranno poi il vino “Tascante” o il “Ghiaia Nera”, tanto per restare in tema eruzione. Attraversiamo con calma i vitigni sugli sterrati che li dividono, digeriti a meraviglia non solo dalla Scrambler ma pure dalla T100, giungendo sulla sommità di una piramide naturale dove si erge una torre in pietra lavica, si dice costruita con le pietre avanzate dalla costruzione dei muretti; a noi piace pensare che queste terre impregnate di sudore abbiano ispirato l’edificazione della torretta nel tentativo di innalzarsi quel tanto per arrivare a porgere un calice di “Ghiaia Nera” a Dio o a chi per lui, certi che gradirebbe. In ogni caso un parere autorevole fa sempre piacere.
Fretta vera non ne abbiamo e per raggiungere la Tenuta Regaleali, uno dei fiori all’occhiello di casa Tasca d’Almerita, preferiamo circumnavigare l’Etna. Scegliamo la strada statale 284 che ci porta a Bronte per poi arrivare fino a Catenanuova, dove imbocchiamo l’autostrada Catania-Palermo non prima di avere preso in pieno la nube di sabbia vulcanica emessa durante l’eruzione: guidarci in mezzo è come essere immersi nella carta abrasiva, oppure come schiacciare con le ruote un tritato di scogli. La sabbia vulcanica ha una sua personalità infida e bastarda, si infila nei vestiti, ti prude addosso, si compatta all’istante diventando un agglomerato pesantissimo, frigge tra i denti come una sorta di bolo ruvido, intorbidisce l’aria che diventa ora rossa ora marrone, ora ingannevolmente limpida ma solo perché si è depositata sull’asfalto la parte più pesante del pulviscolo. Raddoppiando la prudenza la tensione rimane entro livelli accettabili, consentendo di lasciarci la tempesta di sabbia alle spalle e di ammirare a mente libera il magnifico panorama del centro della Sicilia in un autunno di vendemmia ancora imparentato stretto con l’estate; mentre San Giuda al nord fa sfracelli noi siamo in maniche corte a dare gas sulle curve dell’entroterra siciliano. Usciamo dall’autostrada sbarcando a Vallelunga Pratameno in un pomeriggio di caldo secco che promette una sera umida e profumata.
Approdare alla Tenuta Regaleali a bordo di due moto, solcando la terra come fosse un mare di vitigni è entusiasmante e, mentre percorriamo all’imbrunire il lungo viale a fondo naturale che fende la campagna fino all’evocativo baglio ottocentesco, ci rendiamo conto che quest’entusiasmo è contagioso: Corrado Maurigi, a capo dell’ospitalità di Regaleali, ci viene incontro mentre siamo ancora in sella e spalanca il sorriso più aperto che conosca, non so se diretto più a noi o più alle moto. Credo alle moto.
Il contesto nel quale ci troviamo è da Gattopardo, oppure sembra tratto dalle pagine del Vicerè o più semplicemente è una scena sempre viva di un luogo dove la coltivazione delle uve e la loro lavorazione affascinano e rapiscono. 500 ettari vecchi quasi due secoli, ma sembrano di più; si ha quasi l’impressione che sia una Tenuta a latere del tempo che vi scorre accanto senza nemmeno lambirla, colorata dai campi misurati dai passi delle persone impegnate a lavorarci senza quasi farsi notare, con gli stessi ritmi e i medesimi sorrisi che immagino in una lontana Sicilia pre-garibaldina. Le moto ticchettano parcheggiate nel garage come in una stalla, mentre ci godiamo una sera a Regaleali con Corrado Maurigi a guidarci nella degustazione di alcuni dei vini dell’azienda Tasca d’Almerita avvolti dalla sensazione di essere tornati indietro di duecento anni. Il tempo, semplicemente, non esiste.
Corrado Maurigi
Corrado ha trentacinque anni e non è solo un eccellente padrone di casa nella Tenuta Regaleali, ma anche un appassionato vigneron. Dopo la laurea in giurisprudenza invece di darsi alla professione forense si rimbocca le maniche e inizia a lavorare per l’azienda Tasca d’Almerita direttamente sulle vigne, guida trattori con le scarpe impolverate, assaggia le uve, la terra, certamente prende un po’ di pioggia “assuppa viddanu”. Vederlo agitarsi nel descrivere orgogliosamente i metodi di coltivazione sostenibile della terra e le qualità dei “suoi” vini me ne ha mostrato l’intenso amore per la viticoltura nella quale convoglia le proprie energie.
In lui, forse, qualcuno ha rivisto la propria storia, quella di un Conte Tasca d’Almerita - fedelissimo alle uve native siciliane che per lui volevano dire comunicare al mondo intero il proprio orgoglio isolano- mentre assaggia una bottiglia di Cabernet Sauvignon portata dal figlio Lucio: assaporatone un calice, soddisfatto, il Conte chiede dove ha comprato quell’ottimo Cabernet; Lucio risponde qualcosa come “lo facciamo noi a Regaleali, papà”. E’ da questo piccolo scontro generazionale che ha inizio un percorso di trasformazione per l’Azienda che produrrà vini anche con uve non autoctone conquistando il mercato senza rinunciare alla sicilianità della produzione e alla valorizzazione del territorio, aspetti ai quali la famiglia Tasca d’Almerita tiene con nobile fierezza. Ma senza quell’azzardo di impiantare furtivamente un vitigno di Cabernet nella Tenuta Regaleali, noi, Corrado e le moto che riposano come cavalli nella corte interna del baglio non saremmo qui oggi; semplicemente senza la passione e il desiderio di seguirla, senza quel guizzo che visto dall’esterno potrebbe essere giudicato eccentrico o persino infantile, non avremmo potuto assaporare l’armonioso l’Almerita Brut Chardonnay millesimato 2010 – “24 mesi sui lieviti”, aggiunge Corrado alzando il calice per il primo dei tanti brindisi che scandiranno la cena-.
Corrado è garbato e sorridente ed ha come alleati degli ottimi vini – provo ancora nostalgia del ricchissimo “Rosso del Conte”-, con la sua affabilità e i suoi racconti sa di avere catturato la nostra curiosità come un prestigiatore e ad un certo punto decide di dare colpo di grazia: apre una porta alle nostre spalle e calici alla mano ci porta a respirare l’odore del vino che si affina nel sancta sanctorum dei barrique e delle botti in rovere di Slavonia.
Non siamo brilli, siamo soltanto rilassati, curiosi, appagati dal mescolarsi dei sensi: nessuna vendemmia è completa se non passi di qui, dove il vino acquista i “sentori terziari”. Le nostre conversazioni si fanno via via più veloci, i calici si svuotano di pari passo con il riempirsi dei nostri occhi. Non so quanto sia durata la nostra permanenza in cantina, ma credo che si sia rimasti accanto le botti a parlare di vino, di passioni, di memorie olfattive e di motociclette folli fino al momento in cui Corrado non ha sentito il vino nei barrique lamentarsi di tutto quel brusìo.
Perché lui il vino lo capisce. Nel 2003 si inserisce a Capofaro, la Tenuta Tasca d’Almerita nell’isola di Salina, e nel 2009 fa la sua prima vinificazione, creando una Malvasia che raccoglie immediatamente il prestigioso riconoscimento di “miglior vino dolce d’Italia” nella guida Veronelli: noi l’abbiamo sorseggiata accompagnata dal magnifico cannolo di ricotta fatto in casa, tra gli sguardi compiaciuti e l’atmosfera da vecchi amici che si è creata tra noi, ed è un nettare divino anche per un profano come me; la stessa atmosfera bucolica mi spinge a manifestare al padrone di casa la nostra meraviglia per l’incanto della Tenuta e la volontà di esplorarla con le moto all’alba dell’indomani: “fate pure, ma devo dirvi un’ultima cosa”, ci avverte Corrado sorridendo con gli occhi: “domani mattina evitate di accendere le moto nel baglio, sotto la camera padronale: il Conte Lucio ha il sonno leggero e spara a vista”. Il feudo Regaleali è suo, del resto.
Decisi a portare a casa la pelle, abbiamo fatto i bravi ed evitato di fare rumori molesti sia all’alba sia durante l’esplorazione della Tenuta che di giorno assume i colori del grano, dell’avena, dell’accecante terra bianca dei sentieri; l’occasione è perfetta per scoprire gli angoli più remoti di Regaleali e arrivare col bicilindrico che frulla piano alle “Case vecchie”, dove la famiglia Tasca d’Almerita tiene una scuola di cucina siciliana, oppure fare di tutto per smarrirsi, spegnere il motore e imprimersi nella memoria gli splendidi paesaggi silenziosi dei campi a perdita d’occhio e dei sentieri puntellati da alberi d’ulivo.
Sallier de la Tour
Perdersi con le moto nella campagna siciliana durante la vendemmia è fantastico, ma è dannatamente tardi e la prossima destinazione ci attende: raggiungiamo la tenuta Sallier de la Tour attraverso un percorso che ci porta prima a sfiorare Palermo, poi a dirigerci verso Camporeale con la scenografia e gli odori dolci del tramonto.
L’azienda Sallier de la Tour si adagia in un varco tra le colline e trova ristoro in un laghetto verso il quale degrada il vitigno di Sirah DOC Monreale; il cordialissimo signor Nanà ci accoglie con tutta l’umana pazienza e la comprensione di un paio di baffi sinceri che da soli spezzano il nostro imbarazzo nell’avere infranto il silenzio della Tenuta per visitare i luoghi dove prende corpo il loro vino, immersi in colori e profumi che portano a chiudere gli occhi e compiere l’ennesimo affascinante salto nella metà dell’800, credo l’ultimo di questo breve viaggio. Ci prepariamo al tramonto, alle ombre lunghe delle moto sul baglio e sulle colline che tengono lontano Palermo e il caos; qui è campagna, come non se ne vede da secoli: qualche foto mai abbastanza vivida da rendere la magia di queste terre, qualche battuta tra di noi per dissimulare l’amarezza della conclusione di un tour attraverso una nobile Sicilia nascosta, una passeggiata fino ai tralci di vite ed è già buio, e nostalgia. Maledetta ora solare.
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