Viaggi in moto. Con mio figlio per le strade d'Europa

Viaggi in moto. Con mio figlio per le strade d'Europa
La moto è pronta. Nei giorni precedenti abbiamo provveduto a caricarla di tutto il necessario. Le previsioni meteorologiche sono ottime per entrambe le settimane...
29 novembre 2012


11 Agosto. Casamassima – Milano

. La partenza è prevista per le 8. Ci aspettano i 900 km che ci separano da Milano, prima tappa del nostro viaggio. La moto è pronta, nei giorni precedenti abbiamo provveduto a caricarla di tutto il necessario. Le previsioni meteorologiche sono ottime per entrambe le settimane ma non rinunciamo agli antipioggia che, ahinoi, occupano molto spazio. Il benzinaio, nel fare il pieno, strabuzza gli occhi quando conosce la nostra destinazione e ci augura buon viaggio.
Guida Claudio. Solo da pochi mesi può guidare moto di grossa cilindrata e non ha fatto alcuna esperienza salvo qualche piccolo giro intorno a casa. Sono molto preoccupato, fare pratica con la moto a pieno carico non è esattamente quello che si dice apprendimento graduale. Mi faccio coraggio. Bisogna affrontare più di 7.000 km, dunque mi devo fidare. Faccio quello che posso: lo inondo continuamente di consigli. Mi rendo conto di essere stressante ma non riesco a stare zitto.
Fa caldo, il popolo dei vacanzieri è in lento movimento. Sulla carreggiata opposta ci sono 35 km di coda di auto che devono uscire a Bari. La Puglia attrae turisticamente e gli automobilisti soffrono pazientemente pur di arrivarci. D’altra parte è uno di quei giorni col bollino, rosso o nero non importa, che indica, biblicamente, esodo. Noi fortunatamente viaggiamo controcorrente, verso nord, in un flusso di traffico poco intenso, con un pizzico di egoistico compiacimento.
L’autostrada, si sa, è noiosa e rende il viaggio paradossalmente faticoso. Alternandoci alla guida ogni 250 km cerchiamo di stancarci meno. In Emilia Romagna si toccano i 35°C e soffriamo. A quella temperatura il calore del bicilindrico si fa sentire e chi guida si ustiona l’interno del polpaccio. E’ quello che ci succede.
Arriviamo a Milano alle 17,30. La città è semideserta e girarci è piacevole. Attenzione alle rotaie del tram per non lasciarci le penne.
Ceniamo e andiamo presto a letto. Il giorno dopo dovrebbe essere impegnativo, meglio arrivarci con molta energia.

12 Agosto. Milano – Monaco.

Anche oggi si parte alle 8. Il tempo è un po’ incerto ma migliora in un paio d’ore. Via via che da Milano ci dirigiamo prima verso le Prealpi e poi verso le Alpi, la temperatura si abbassa di quel tanto da rendere il viaggio molto piacevole. Costeggiamo il Lago di Como e facciamo il nostro saluto a Mandello del Lario. E’ la seconda volta che la nostra Norge ritorna nel luogo dove ha visto la luce.
Puntiamo verso Sondrio. Di questa città conosco solo una cosa, ricordo della geografia imparata alle elementari: si tratta della provincia più fredda d’Italia. Attraversiamo da ovest ad est la Valtellina. Ci avviciniamo allo Stelvio. Prima di partire Claudio aveva posto una condizione: “andiamo dove vuoi tu, l’importante è che attraversiamo il Passo dello Stelvio, la strada più bella d’Europa”.
Eccoci, cominciamo a salire. Lascio guidare Claudio, deve farsi le ossa sui tornanti. E poi preferisco che guidi in salita. Reputo che sia più semplice della discesa, che riservo per me. La strada è più affollata delle tangenziali di Milano nell’ora di punta. Moto – molte con targa straniera – e bici percorrono in entrambi i sensi questa particolarissima statale. Le moto viaggiano spesso in gruppo. Le bici rigorosamente sole. Claudio è (fortunatamente) molto prudente. Non si sente a suo agio e quindi affronta i tornanti a passo d’uomo. Solo, ogni volta che viene superato ha un irrefrenabile moto di stizza. Provvedo a calmarlo spiegandogli che è normale: è la prima volta che guida sui tornanti, la moto è a pieno carico e la gran parte di chi ci supera guida da solo. Comunque, riusciamo a non farci superare neanche da una bici.
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In cima al Passo clima da sagra paesana: bancarelle con ogni tipo di cianfrusaglie e venditori di panini. Il profumo dei wurstel è proporzionale al loro effetto sul colesterolo.
Ci lanciamo nella discesa e – non avendo una cartina dettagliata – ci affidiamo al navigatore per cercare la strada più breve verso il Brennero. Mai affidarsi totalmente al Tom Tom! Si è preso gioco di noi accompagnandoci per 3 volte verso viottoli che si inoltravano nel bosco. Persa la pazienza abbiamo fatto a senso. Ma anche questa tecnica ha dei limiti. Ci siamo fermati a chiedere presso un casolare. Cercavamo di raggiungere Vipiteno passando per Merano. La signora capiva poco l’italiano ma ci ha dato precise indicazioni “la strata è pelissima e dopo Giofo c’è Fipiteno”. In realtà taceva che il Passo Giovo è altrettanto impegnativo quanto lo Stelvio. Sui tornanti seguiamo un pazzo alla guida di un furgone con targa tedesca. Il furgone traina un carrello e su questo vi è una Golf modificata per le corse. Si intuisce che il pilota si sta allenando guidando il furgone: la velocità con cui affronta le curve fa davvero impressione. Che bella l’Italia, ci si può fare tutto quello che si vuole. Non credo che il valente pilota avrebbe guidato così a casa sua.
Due passi in un giorno ci hanno stremato. Finalmente imbocchiamo l’autostrada e siamo in Austria. Urlo a Claudio che bisogna comprare la “vignetta” (il tagliando che consente il transito in Austria). Claudio capisce che bisogna acquistare una “Viennetta” e si chiede il perché di questo obbligatorio omaggio dell’Algida alla capitale austriaca.
Attraversiamo velocemente l’Austria e siamo in Germania. Monaco ci accoglie alle 20. Solo 610 km oggi, ma siamo davvero a pezzi. Al ristorante dell’albergo, Claudio divora il suo piatto di carne, io un piatto unico a base di pesce.
Alla fine del viaggio questo albergo, sito nella zona fiera, ad 8 km dal centro, si rivelerà il migliore.
Dettaglio ansiogeno: Claudio si accorge e mi fa notare che la mia carta d’identità è scaduta da venti giorni. Doccia fredda. Che si fa? Ormai siamo qua: si va avanti fino a che si può. In fondo non abbiamo ucciso nessuno, non ci metteranno in carcere. Sì, a parole; in realtà siamo stati preoccupatissimi per tutti i giorni seguenti.

13 Agosto. Monaco –Berlino.

Breve visita nel centro di Monaco. Facciamo colazione al Bar Centrale. La nostra intenzione di fare una colazione con prodotti tipici tedeschi naufraga in due grosse tazze di cappuccino a cui si accompagnano altrettanti cornetti alla crema: siamo entrati, quasi senza rendercene conto, in un locale italiano con una fortissima caratterizzazione anni ’50: onestamente non siamo riusciti a capire se si tratta del frutto di una scelta di arredo o, davvero, si tratta di un locale che non viene rinnovato da 60 anni. Ad ogni modo, cappuccino e cornetto fantastici. Un po’ cari: conto da 10,50 Euro, non addolcito per niente dal fatto che i ragazzi al banco parlassero italiano con accenti calabrese e siciliano.
Partiamo alla volta di Berlino. L’autostrada nei primi km è intasata per il traffico e i frequenti lavori di manutenzione e si viaggia a passo d’uomo. Ci sembra, comunque, che gli automobilisti tollerino i nostri slalom nella lentissima coda.
Sfrecciamo sotto l’Allianz Arena, lo stadio di Monaco che si offre al nostro sguardo in tutto il suo candore. Poi, per 600 km nessuna città visibile dall’autostrada, nessuna collina ed un irregolare alternarsi di boschi e coltivazioni da pieno campo. Odore di fieno sfalciato.
In autostrada, se possono, tutti mantengono velocità elevate, a differenza dall’Italia in cui – se tutor ed autovelox lo permettono – trovi agli eccessi opposti il “pilota” che guida a rotta di collo ed il “prudente” (per altri “imbranato”) che si trascina a 80 all’ora.
Berlino è pronta ad accoglierci nelle vie alberate dei bei quartieri residenziali. Lasciamo fare al navigatore per farcele scoprire. L’ostello che abbiamo prenotato è al centro. Hanno finito le camere con bagno in comune e ci chiedono se accettiamo, senza aggravio di spesa, una stanza con bagno in camera. No, non ci dispiace.

Facciamo un giro: i resti del Muro ci spingono alla commozione e alla riflessione sulla stupidità dell’uomo. A breve distanza, Alexanderplatz. Brutta! Una piazza informe, edifici privi di un senso o di una forma comune. Le costruzioni che delimitano la piazza sembrano essere lì per caso, senza un ordine, quasi che vi siano state lasciate provvisoriamente, in attesa che una grande mano poi le mettesse in ordine e desse loro un significato. La torre della televisione sovrasta tutto aumentando, qualora ce ne fosse stato bisogno, il senso di squilibrio. Ci portiamo alla porta di Brandeburgo, 10 minuti più in là. La zona è parzialmente interdetta alla circolazione. Facciamo i finti tonti. Ci avviciniamo il più possibile per strappare una foto alla moto con la Porta sullo sfondo. Inevitabile l’arrivo immediato di un poliziotto che dopo aver sbirciato la targa ci intima in inglese “Don’t drive here again”. Va bene. Grazie. Scusi.
Cena in una tipica steak-house argentina (!). Claudio fa fuori una bistecca. Io insalata e patate.


14 Agosto. Berlino – Copenaghen.

Partiamo ancora una volta alle 8. Ci fermiamo subito all’AGIP per una colazione e per aggiungere olio. Franco, nostro ineffabile meccanico, mi ha prescritto di integrarlo ogni 2.000 km, prevedendone anche il consumo.
Ripartiamo. Il tragitto di oggi è previsto in circa 750 km, dunque è uno dei più impegnativi. Attraversiamo ampie zone boschive. Odore di legno segato. Cartelli indicano il pericolo di attraversamento da parte di animali selvatici. Non sarebbe stato più opportuno mettere delle reti di protezione ai lati dell’autostrada, come in Italia? Tra le mie paure comincia a farsi strada l’immagine di una cerbiatto che salta, taglia la strada e colpisce involontariamente uno dei nostri caschi con uno zoccolo.
Raggiungiamo Amburgo alle 12.00. Ci fermiamo presso una stazione di servizio nella periferia della città. Ed è lì che vediamo il portachiavi più originale che uomo conosca. Chiediamo la chiave del bagno. L’addetta, sorridente, ce la fornisce immediatamente: è legata ad un pezzo di manico di scopa lungo 50 cm! Così nessuno dimentica di restituirla.
Puntiamo verso nord, attraversando il lembo della Germania che porta alla penisola dello Jutland, in Danimarca. Chiederanno i documenti alla frontiera? Claudio guida tu. Semmai gli dai il tuo. In realtà non c’è alcuna frontiera anche qua: siamo pur sempre nell’area di Schengen.
La temperatura è molto alta (circa 20°C) considerando le latitudini verso cui stiamo viaggiando. Psicologicamente, però, sento che ci stiamo dirigendo verso mete fuori dal consueto. Lasciare l’Europa continentale mi fa sentire privo di una sorta di protezione.
Il vento qui non soffia a raffiche, come nella nostra amatissima Puglia. Qui il vento è teso, continuo, forte e costante. Quando spira di traverso rispetto alla strada ti costringe a guidare per lunghi tratti – anche centinaia di metri – con la moto totalmente inclinata. La sensazione è quella di volare nel vento, non più di guidare un mezzo a due ruote.
Prendiamo verso Est. Mancano alcune centinaia di chilometri per Copenaghen. La campagna mostra la mietitrebbiatura in corso. Da noi le granaglie sono già al sicuro, qui la raccolta è in pieno corso.
Un paio di ponti cuciono insieme alcuni lembi di territorio della Danimarca. Il secondo, lungo una ventina di chilometri, mi mette a durissima prova. Tra le mie debolezze oltre alla claustrofobia ci sono le vertigini. Per difendermi da queste, sul ponte guido sempre sulla corsia di sorpasso, infischiandomi delle auto che vorrebbero superarmi, sudando, preda della sensazione che da un momento all’altro senza alcun motivo la moto potrebbe svoltare a destra, schiantandosi sul guard-rail e noi giù per un lungo volo in mare.
Non è successo. Ovviamente. Arriviamo a Copenaghen. La città si mostra in tutto il suo nitore. Non c’è una nuvola, il sole, basso ma ancora intenso, ci fa apprezzare una luce speciale del cielo, ialino.

I palazzi colorati di Copenaghen riflettono con forza la luce mentre le bellissime costruzioni a vetri richiamano tutto il nostro interesse e gli sguardi di contemplazione sono accompagnati dall’espressione delle bocche, che rimangono semiaperte.
Ceniamo sul porto – una interminabile quantità di gamberetti freddi io, salmone Claudio - e andiamo a salutare la Sirenetta.
E’ notte: ci chiudiamo nel nostro modernissimo albergo. La stanza (una delle 709 complessive) ha le dimensioni 3x2m. I letti sono a castello. Bagno microscopico ma funzionale. Ciononostante è l’albergo più costoso del nostro viaggio.

15 Agosto. Copenaghen – Stoccolma.

Dopo un breve giro in Copenaghen, alle 12 partiamo per la Svezia. Ci attende subito un tratto di strada bellissimo e memorabile. Collega da circa 10 anni Danimarca e Svezia. Al centro del braccio di mare tra i due stati vi è un’isoletta. Il primo tratto di mare viene superato mediante un tunnel sotterraneo. La strada emerge al centro dell’isoletta e da lì parte un lunghissimo ponte che plana dolcemente verso Malmoe, in Svezia.
Il tratto di oggi sarà di circa 690 km, percorsi tutti sulle autostrade svedesi. La prima cosa che viene da pensare della Svezia è molto semplice: è enorme. Questa sensazione diviene sempre più forte quando vi si viaggia per ore attraversando boschi infiniti. Ogni volta che si guarda la cartina e si considera la strada percorsa ci si rende conto che è nulla rispetto alle dimensioni complessive di questo Stato.
Il guard-rail in Svezia è fonte di grave preoccupazione. Chi si lamenta dei nostri pericolosi guard-rail in lamiera, venga a dare un’occhiata qui. Il guard-rail non è altro che una sequenza continua di affilati picchetti metallici verticali a cui sono fissate 3 corde di acciaio orizzontali. Immaginare di cadere sul guard-rail significa preconizzare indiscutibilmente la propria morte.
In Svezia la densità di popolazione per unità di superficie è bassissima. Analogamente, la presenza di auto della polizia è praticamente nulla: nessuna vettura incontrata in tutta la strada percorsa.
Qualche preoccupazione comincia a venirmi dalla gomma posteriore. Sebbene abbia percorso solo 6000 chilometri, presenta un consumo molto irregolare: il lungo percorso autostradale effettuato a pieno carico ha fatto sì che al centro del battistrada si sia creata una fascia maggiormente consumata. Il profilo della gomma appare appiattito giusto al centro. Comincio a chiedermi: c’è il rischio che possa esplodere o sgonfiarsi immediatamente? Mah, tengo il dubbio per me.
Stoccolma non si riesce a comprendere in un giro di orizzonte, troppe sono le isolette su cui è costruita ed è facile perdere l’orientamento. La sensazione è quella di una città con tante identità, ciascuna per ogni isoletta-quartiere. Ad accoglierci, lungo il viale che conduce all’albergo tante minuscole ranocchiette, ciascuna delle dimensioni di una moneta da 2 Euro. La cena, complice un clima sempre molto favorevole, avviene all’aperto, sotto un enorme ciliegio. Le sue foglie sono verdissime. Da noi i ciliegi hanno ormai da tempo virato al giallo-ruggine.

16 Agosto. Stoccolma – in nave.

Stoccolma è avvolta dalla nebbia. Speriamo non piova. E non pioverà. Nella notte abbiamo fatto il bucato. Lo abbiamo steso sul radiatore-portaasciugamani, che è acceso. La radio in camera è sintonizzata su una stazione che trasmette una serie di improbabili canzoni italiane.
Andiamo al porto. Dobbiamo comprare i biglietti per la nave per Tallinn. La partenza è prevista per le 17 circa. Arrivati alla biglietteria ci attende una sorpresa: non ci sono biglietti disponibili e non sanno dirci se ce ne saranno il giorno dopo.
Torniamo in albergo per farci consigliare un’alternativa ma nessuno sa aiutarci. Cerchiamo su internet una soluzione. Troviamo una rotta alternativa, collega Kapellskar (90 km a nord di Stoccolma) a Paldisky (ex base di sottomarini sovietici a 50 km da Tallinn). Chiamiamo per sapere se c’è disponibilità ma ci dicono che va verificata sul posto! Impensabile una cosa del genere in Svezia.
Decidiamo di tentare. Alle 14 siamo a Kapellskar. Anche qui, sgarbatissimi, non sanno dirci se sulla nave che parte alle 22,30 vi è posto e ci dicono di tornare alle 18. Insistiamo: rimarremo solo se avremo la certezza dei posti. Controllano. I posti ci sono ma i biglietti si possono acquistare alle 18. Evviva! Decidiamo di fare un giro in zona mentre attendiamo l’apertura della biglietteria.
Mentre le ore trascorrono io e Claudio abbiamo un solo pensiero. Entrambi. Ma non abbiamo la forza di confessarlo: come potremo comprare i biglietti se il mio documento è scaduto? Ma se non possiamo prendere la nave non possiamo continuare il nostro giro: dovremo tornare indietro; 1500 km per ritornare in Germania. No, non deve succedere!
Ore 18: la biglietteria apre. Diamo la precedenza agli altri in attesa. Temiamo che il nostro viaggio non possa andare avanti.
E’ il nostro turno. Faccio fare a Claudio. L’impiegato ci chiede i nostri documenti e la targa della moto. Diligentemente inserisce al terminale i nostri dati anagrafici, quindi passa a registrare i documenti: numero, data di rilascio e … data di scadenza!
Al momento della registrazione della scadenza della mia carta d’identità Claudio, con una mossa degno del migliore illusionista, chiede all’impiegato quanto tempo ci voglia per il rilascio dei biglietti. L’impiegato, piccato, risponde che è necessario prima registrare tutti i dati; riprende a immettere la data di scadenza e non si accorge che il documento è scaduto.
Meraviglia delle meraviglie: due minuti dopo abbiamo i nostri biglietti, usciamo e andiamo ad abbracciarci nel parcheggio. Il nostro giro continua!
La nave parte alle 22,30. Siamo gli unici turisti in una folla di centinaia di forzuti (e panciuti) camionisti. Immediatamente viene servita la cena. Mai avremmo immaginato di mangiare così bene in una nave di linea. Salmone, gamberi, alici ed altro pesce freschissimo a volontà. Verdure, formaggi e yoghurt soddisfano appieno le nostre papille gustative. Ma, a pensarci bene, non si consiglia di fermarsi a mangiare nei ristoranti dove ci sono i camionisti? Tradizione confermata.
Passiamo circa un’ora sul ponte. Complice la temperatura favorevolissima ci fermiamo a guardare le altre navi che ci precedono e che ci seguono in lontananza. Il cielo alle 24 è ancora luminoso verso nord. Chissà se un giorno, in un altro viaggio, potremo godere dello spettacolo del sole di mezzanotte.

17 Agosto. In nave – Tallinn.

Ci svegliamo presto. Il sole è già alto. All’orizzonte, verso nord, una lunga serie di imbarcazioni segue un’altra rotta. Lasciamo la cabina e godiamo delle delizie della colazione in cui, incredibile a dirsi, è possibile ancora mangiare pesce.
Alle 10,00 in punto attracchiamo nel porto di Paldisky. La sensazione è che qui il tempo non sia passato. Ci sentiamo catapultati nell’Unione Sovietica in piena guerra fredda! Dopo mezz’ora siamo a Tallinn. Visitiamo il centro storico.
Tallinn è una città di 400.000 abitanti. La parte antica della città è stata dichiarata dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. A giusta ragione. Si tratta di una cittadella medievale perfettamente conservata, con le sue mura e le sue torri con le caratteristiche coperture coniche. Claudio, incurante del caldo (25°C), gira nel centro storico con i pantaloni della tuta tecnica ed una maglietta. Il sudore reagisce con la tuta fino a conferirle un odore fortissimo che ancora oggi gli abitanti di Tallinn stanno commentando. Al ritorno sono stati necessari tre lavaggi per rendere la tuta appena decente.

Abbiamo letto su internet di un produttore estone di motocicli, Renard Motorcycles, che ha realizzato un prototipo utilizzando un motore Guzzi. Decidiamo di andarlo a trovare. Andres è un designer poco più che quarantenne. Ci racconta il suo entusiasmo ed i suoi sogni, che condivide con alcuni soci. E’ consapevole che la loro forza di volontà muove dal fatto che l’Estonia è un paese libero da soli venti anni e la sua generazione sta vivendo e sta conducendo una progressiva ed emozionante rivoluzione economica e sociale. Ci mostra orgoglioso il prototipo della moto, ne avvia il motore (inconfondibile voce del bicilindrico di Mandello), ci racconta quante difficoltà stanno attraversando per poterne avere l’omologazione internazionale e, soprattutto, le problematiche per poterne avviare la produzione in serie e la commercializzazione, specie in un momento così difficile per l’economia di tutto il mondo.
Ci diamo appuntamento per la mattina dopo per fare un giro insieme. Tuttavia, Andres tiene a dirci che questa sera deve prendere parte ad una festa di compleanno. Non c’è problema, diciamo noi. Non abbiamo capito: Andres precisa che durante le feste di compleanno si beve molto, dunque non è certo che il giorno dopo sarà in grado nella mattinata di unirsi a noi per il giro in moto. Vedremo.
Ceniamo in un ristorante indiano nel centro storico, tra una vetrina e l’altra di souvenir.
18 Agosto. Tallinn – Riga. Colazione in albergo. E’ la peggiore colazione del nostro viaggio. Tra l’altro, siamo colpiti dalla sciatteria delle cameriere che fa il paio con lo stato di abbandono dell’albergo che ci ospita.
Facciamo un altro giro in città e, come d’accordo, alle 12 chiamiamo Andres. Non risponde, evidentemente la festa di compleanno è andata molto bene ed ha bisogno di altro tempo per smaltire. Non possiamo fermarci ancora, abbiamo da percorrere 300 km fino a Riga, capitale della Lettonia. Salutiamo con un sms il nostro amico.
La strada non è delle migliori. Finanziata dalla Comunità Europea, rappresenta la principale arteria del Paese ma è una semplice via a due corsie. Spesso la sede stradale presenta dei solchi longitudinali molto profondi, generati dal passaggio dei camion, segno che il manto di asfalto è stato steso senza aver realizzato solide fondamenta. A volte il solco diventa profondo quanto un marciapiede e viaggiare in moto diventa pericolosissimo. Dobbiamo abituarci: la cattiva qualità delle strade ci accompagnerà fino a tutta la Polonia, dunque per circa 1.300 chilometri.
Finalmente siamo in Lettonia. Andres ci aveva raccomandato di non correre e ci aveva detto di fare attenzione alla Polizia lettone: spesso ti fermano senza motivo e, con implicite intimidazioni, pretendono denaro.
Dopo oltre 200 km di strada, quando ne mancano circa 90 per la capitale, ci fermiamo per guardare la spiaggia. Diverse persone sono lì a prendere il sole e qualcuno sta facendo il bagno. La spiaggia ha qualcosa di familiare. Ci ricorda quella di Castellaneta Marina.
Decidiamo di ripartire; Claudio mi ferma e mi dice “ascolta, non senti anche tu un sibilo?” No, io non sento niente. Accosto il mio orecchio alla ruota, sì ora lo sento anch’io. Abbiamo forato. Oddio!
La mia mente corre alla soluzione più semplice da adottare. Abbiamo stipulato una polizza che ci garantisce trasporto e riparazione del mezzo anche all’estero. Dunque, basta una telefonata. Proviamo col cellulare di Claudio. Niente. Col mio. Niente. Non abbiamo la possibilità di chiamare.
Dobbiamo trovare una soluzione. Che appare non semplice. La capitale è lontana. Siamo lontani da altre città e di officine non c’è neanche l’ombra. Per di più è sabato pomeriggio. Nel momento in cui lo sconforto sta per prendere il sopravvento tentiamo la nostra carta: riparare la moto da soli. Abbiamo con noi un kit di riparazione comprato su internet per 10 Euro. Lo abbiamo portato solo come forma di sicurezza psicologia, mai pensando di doverlo utilizzare. Ma è il momento di provarci.
Premesso che io non riparo una camera d’aria di bici da quando ero ragazzo, mi attivo e sorprendentemente in cinque minuti la riparazione è fatta. Non sappiamo però se il risultato è buono. Claudio fa partire la pompa elettrica e – miracolosamente – la gomma si gonfia e tiene!
E’ difficile dire che cosa ho provato. Un senso di soddisfazione e successo misto ad infinita gratitudine nei confronti di chi mi ha suggerito di comprare il kit (il mitico meccanico Franco Rizzi) e di chi mi ha spiegato in poche parole come si usa (l’altrettanto mitico presidente del Motoclub Falchi Lanari: Francesco Olivieri).
Sia pure molto prudentemente, ci avviamo verso Riga e raggiungiamo il nostro albergo. Mettiamo, comunque, in conto di doverci fermare fino a lunedì mattina, per far sostituire la gomma danneggiata.
Difficile descrivere il quartiere in cui è sito l’albergo. Strade deserte, alcuni ubriachi ai margini delle stesse, case pericolanti e disabitate. Unico segnale di civiltà – ma legata al tristissimo periodo sovietico – il passaggio di vecchi tram al centro della strada di pavè pericolosamente sconnesso. Ne prendiamo uno per raggiungere il centro della capitale. Ci mettiamo meno di 10 minuti. Ceniamo. La cameriera, antipatica, non merita la nostra mancia. C’è tanta gente, oggi e domani è festa nazionale, dunque la capitale è particolarmente affollata.

19 Agosto. Riga.

Dedichiamo tutta la giornata a visitare Riga. La Lettonia ha circa 2,1 milioni di abitanti, 700 mila dei quali abitano a Riga. Oggi sono tutti in festa.
Ci portiamo al centro in tram (gratuito a causa della festa) e visitiamo il grande centro storico. Molte le costruzioni, civili e religiose, che meritano attenzione. Ad ogni angolo della città, chiamata la Parigi dell’est a causa delle tante costruzioni in stile liberty, ci sono esibizioni di artisti locali ed internazionali. Tanti i palchi – grandi e piccoli – dove si esibiscono cantanti, danzatori, giocolieri, attori, acrobati in bici, pattini e skateboard. Lungo il fiume sono assiepate migliaia di persone. Sono lì per assistere ai numeri di una pattuglia aerea acrobatica.
Dopo aver girato in lungo ed in largo, ceniamo in una piazzetta centralissima. Per un giorno ci siamo sentiti lettoni. Nella stessa piazza, però, si sente odore di casa nostra: vi ha sede un pubblicizzatissimo ristorante di proprietà di Al Bano Carrisi.

20 Agosto. Riga – Vilnius.

La prima cosa da fare è riparare la gomma. Alle 8 e 15 siamo davanti al gommista. In mezz’ora è tutto a posto. Torniamo al centro di Riga. Decidiamo di andare all’ambasciata italiana per chiedere il rilascio di un documento valido che possa – in caso di necessità – sostituire la mia carta d’identità scaduta.
Ci sentiamo importanti quando parcheggiamo la nostra moto sotto il tricolore ed attraversiamo il portone che ci porta in territorio italiano. Ci accoglie la Sig.ra Anna, funzionario gentilissimo che ci procura in breve tempo un documento di riconoscimento di emergenza che sostituisce la carta d’identità solo per cinque giorni. Giusto quello che ci serve per rientrare a casa. Dimenticavo! La Sig.ra Anna, impegnata anche nel risolvere una pratica di adozione internazionale, ci ha prodotto il documento a sue spese! Omaggio a dei pugliesi da una pugliese!

Partiamo per Vilnius. Dopo Tallinn, la piccola città bomboniera, solare e felice, e Riga, la grande città con la periferia triste, ci dirigiamo verso Vilnius. Qualcosa ci dice che si tratterà di una piccola città arretrata, priva del beneficio dell’affaccio sul Baltico. Ci muoviamo, quindi, senza farci grandi illusioni. E, invece, nel sole del pomeriggio, troviamo una città bella, con una periferia ricca di palazzi nuovi, ben disegnati e piacevolmente raccordati tra loro. Il centro storico è semplice, carino, pulito, perfettamente a misura d’uomo, molto accogliente.
Così come a Tallinn e Riga, anche qui tanti negozietti vendono oggetti di ambra, simbolo delle repubbliche baltiche. Il cielo è attraversato da una processione di mongolfiere, una collana tenuta insieme da un filo invisibile. Ci piace cenare seduti al tavolino di un ristorante nella piazza principale. Nella stessa piazza si affaccia un risto-pub che si chiama Salento (il proprietario è leccese). Ancora una volta la Puglia è vicina.

21 Agosto. Vilnius – Varsavia.

Il sole ci illude al risveglio. Ci aspetta, in realtà una mattinata piuttosto fresca. Partiamo alla volta della Polonia. La strada è sempre uguale, attraversa boschi infiniti di conifere. Profumo di funghi. Già, devono essercene grandi quantità: di tanto in tanto al margine della strada se ne vendono esemplari enormi, su bancarelle improvvisate sul cofano delle auto.
Ecco, succede quello che non doveva: veniamo fermati da una pattuglia della polizia. Ci contestano il superamento dei limiti di velocità in zona abitata; viaggiavamo a 100 km/h in una zona col limite di 50 km/h. Ci chiedono i documenti e sembrano male intenzionati ma contestiamo il fatto di essere stati fermati solo noi, visto che andavamo alla stessa velocità delle auto che ci precedevano e di quelle che ci seguivano. Abbiamo fatto centro! Ci fanno un breve predicozzo ma ci fanno ripartire.
Boschi, boschi e ancora boschi. Il navigatore satellitare ci indica la strada per la Polonia. E’ strano, ci aspettavamo traffico in aumento ma più ci avviciniamo al confine, meno veicoli si incontrano. La strada diventa quasi deserta. Ancora boschi.
Finalmente il confine! Strano, c’è una barriera e dei militari che la presidiano. Uno si avvicina e ci chiede la nostra destinazione. Rispondiamo Italia, dobbiamo necessariamente attraversare la Polonia! Ci chiede “avete usato il navigatore”? e noi “certo!”. “Ah, ecco perché! Questa è la strada più breve per la Polonia ma non potete andarci: oltre quella barriera c’è la Bielorussia. Dovete tornare indietro per venti chilometri e prendere un’altra strada”. Maledetto navigatore, ci ha fatto l’ennesimo scherzo! Torniamo indietro e cerchiamo la strada giusta. Altri boschi, boschi e boschi. E, finalmente, siamo vicinissimi alla Polonia.
Ci fermiamo a fare rifornimento. Una pausa al bar e, al momento di ripartire ….. orrore: Claudio si accorge che il motore perde olio! La testata destra e tutto il fianco della moto sono sporchi di olio, i nostri stivali destri sono intrisi di olio! I nostri pantaloni sono sporchi di olio!
Per un attimo penso che il nostro viaggio stia per terminare, che non ci resta che chiamare l’assistenza. Poi, piano piano, cominciamo a ragionare, in fondo la moto funziona, il livello dell’olio è normale, dunque la perdita è trascurabile e magari possiamo andare avanti. Con molta, molta cautela e altrettanta preoccupazione attraversiamo il confine ed eccoci in Polonia. Le strade sono davvero strette, ancora boschi e sempre boschi. Ci colpiscono alcuni segnali stradali di pericolo: vi è rappresentato un orso. Speriamo che la moto non si fermi qui. Ci separano 300 km da Varsavia. Speriamo di arrivarci.
La Polonia appare come una grandissima e povera nazione agricola. Forti e sgradevoli gli odori provenienti dagli allevamenti bovini. Le strade si fanno sempre più larghe, finalmente siamo sulla strada principale che porta alla capitale. Moltissimi i cantieri stradali. Saltiamo una fila di otto chilometri dovuta proprio ad un cantiere, comodo andare in moto! Affrontiamo il primo temporale del nostro viaggio: ci ripariamo all’interno di una stazione di servizio. Ci rimettiamo in viaggio e, dopo ripetuti errori nell’individuazione del percorso grazie al navigatore, decidiamo di fare di testa nostra e così raggiungiamo Varsavia.
Siamo al centro della città, traffico bloccato per dei lavori, 31°C, l’olio cola dal motore sulla marmitta e veniamo avvolti da un intenso e allarmante fumo bianco. Speriamo che la moto non vada a fuoco. Telefono in Italia al mitico Franco che mi dice di non preoccuparmi e di cercare un qualsiasi meccanico a cui chiedere di sostituire la guarnizione del coperchio delle punterie o, al limite, di richiuderlo senza alcuna guarnizione. Prendiamo coraggio.
Dormiamo in un ostello della gioventù: bagno in comune ma doccia in camera. Con radio e telefono integrati! Che strani questi polacchi. Visitiamo Varsavia nella serata, colpisce la grandiosità di questa città, specie se confrontata con la povertà delle campagne. A cena una tipica zuppa di funghi servita in capienti e deliziose pagnotte.

22 Agosto. Varsavia – Vienna.

Il primo pensiero è riparare la moto. Raggiungiamo facilmente l’importatore Guzzi per la Polonia. Lì sapranno aiutarci sicuramente. Ci accoglie Mihau (si scriverà così?), gentilissimo venditore della concessionaria, innamorato dell’Italia, della lingua italiana e della Moto Guzzi. La sua maglietta a maniche corte lascia scorgere i tatuaggi del marchio dell’aquila impressi sugli avambracci. Ci offre un caffè. Il meccanico ci sistema la moto in pochi minuti. Il tutto ci costa poco più del corrispondente di dieci euro. Facciamo qualche foto, ora abbiamo degli amici anche in Polonia.
Si parte verso l’Austria. Quella che qui chiamano autostrada è una serie di quattrocento chilometri di cantieri, inframmezzati da piccoli tratti di autostrada vera e propria. Frequentemente la corsia di sorpasso si trasforma in una corsia di invito per l’inversione a U (!), di tanto in tanto si incontrano attraversamenti pedonali (!), spesso agricoltori in bicicletta percorrono l’autostrada contromano (!), al margine della carreggiata. E’ normale incontrare contadini che vendono i loro poveri prodotti disponendoli ordinatamente per terra a pochi centimetri dal passaggio di auto e camion. L’autostrada termina improvvisamente al confine con la Slovacchia. Siamo costretti a percorrere una quarantina di chilometri per strade secondarie e meravigliosamente piene di curve.
Finalmente siamo nella Repubblica Slovacca. Tutto cambia: l’autostrada sembra finalmente essere degna di questo nome. Passiamo non distanti da Brno, tra una settimana qui si corre il MotoGP. Ci sentiamo a nostro agio. Ci avviciniamo a Vienna.

Il tempo non promette niente di buono. Fino ad oggi siamo stati più che fortunati ma temiamo di dover fare i conti con minacciosissime nubi temporalesche. Ci facciamo coraggio, in fondo siamo ben attrezzati. Il temporale arriva violento e ci coglie mentre siamo in viaggio; il cielo diventa improvvisamente tutto bianco ed una valanga di acqua ci cade addosso. Riesco appena a vedere la sagoma di un TIR che mi precede e lo seguo, è l’unico mio riferimento, inutile cercare le linee sulla carreggiata né il bordo della stessa. Dopo venti terribili minuti il temporale cessa rapidamente così come era arrivato. E’ andata benissimo!
Ancora un po’ di strada e siamo in Austria. L’autostrada ha lasciato il posto ad una strada a doppio senso di circolazione, sul confine amene casette coi balconi fioriti e nei pascoli tante mucche. Ma qui non è come in Polonia, le mucche non puzzano. Dipenderà da un tenore di vita più agiato?
La sera è ormai calata e noi siamo ancora in viaggio, dobbiamo riabituarci a queste latitudini. Qui fa sera prima. Siamo a Vienna. Albergo stranissimo (e vabbè che abbiamo scelto di risparmiare!). Chiediamo dove poter parcheggiare la moto, ci danno 3 alternative: per strada dietro l’angolo, in un parcheggio pubblico a pagamento oppure nel corridoio che porta alla cucina dell’albergo. Manco a dirlo scegliamo la terza soluzione: quando ci ricapita di parcheggiare in cucina?
Mi sa che Claudio ha la febbre, io ho un mal di testa fortissimo. Prendo una compressa. Speriamo bene.

23 Agosto. Vienna – Udine.

Eccoci finalmente in giro per una delle città più famose ed eleganti del continente. Io provo un po’ di imbarazzo a girare tra le strade che sono state attraversate dalle carrozze di blasonati regnanti ma il sentimento si fa diffidenza quando, man mano che passano le ore, tutto comincia a sembrarmi una grande messinscena a scopo puramente turistico. E’ vero, ci sono decine di musei di tutti i tipi, da quelli dedicati a scienza e biologia a quello degli anticoncezionali. Certamente non c’è il rischio di annoiarsi, ma si sente uno strano sapore di artificiale, quasi che la città (e con essa, forse, l’intera nazione) non viva di vita propria ma solo per mostrarsi, per apparire, per creare interesse ad uso esclusivo dei turisti e dei visitatori, una meravigliosa, europea, nobile ed elegante Disneyland.
Girando per le strade ci sorprende la quantità di negozi di souvenir in cui si vendono orribili ricordini di plastica made in PRC. La seconda cosa che ci sorprende è il costo di una colazione. Nelle repubbliche baltiche con gli stessi soldi avremmo fatto una cena. Le palle di Mozart e l’icona della Principessa Sissy sono ovunque. Possibile che una nazione così ricca di tradizioni affidi la comunicazione principalmente a questo? E, per contro, possibile che funzioni così bene? Mah!
Nel pomeriggio partiamo per l’Italia. Via via che l’autostrada scorre sotto le nostre ruote la temperatura si fa sempre più rigida. Ci avviciniamo alle Alpi ed il sole gioca a nascondersi dietro le cime più alte. Ad un certo punto il carro dorato decide di fare sul serio e si tuffa dietro una cortina di monti. Stiamo salendo verso il Valico di Coccau. Eccoci, abbiamo terminato l’ascesa, siamo a Tarvisio. Inutile dire che l’Italia ci appare bellissima. Planando verso le valli friulane ci colpisce la varietà degli scenari, così contrastanti con la piattezza dei territori dell’Europa continentale.
E’ buio. Siamo ad Udine. Ottima cena nel centro storico. Buonanotte, domani ci aspetta l’ultima tappa, lunga 900 km, esattamente quanto la prima del nostro viaggio.

24 Agosto. Udine – Casamassima.

Un piccolo giro nella città di Udine ci dà l’opportunità di scegliere con calma il bar dove fare colazione. E la scelta è eccellente, memorabile la fragranza dei cornetti.
Ci fa riflettere la presenza della doppia scritta sui cartelli stradali: oltre ai nomi delle località in Italiano c’è l’indicazione in dialetto. La domanda è: visto che le indicazioni servono a chi viene da fuori e, verosimilmente, non conosce la zona, a che cosa serve scriverlo in dialetto, dacché chi parla quel dialetto è sicuramente del posto?

In breve tempo siamo in autostrada in direzione di Venezia. Ahimè, non si viaggia in scioltezza, di tanto in tanto si creano code e rallentamenti. Finalmente siamo vicini alla città lagunare.
Penso siamo dalle parti di Mestre quando scorgiamo uno dei più originali ed inutili messaggi stradali: il cartellone elettronico dice “autostrada a tre corsie”. Per fortuna ci hanno avvisato, altrimenti l’avremmo scambiata per una pista da sci. Vuoi vedere che vogliono farci sapere che l’hanno finalmente terminata, visto che per anni Onda Verde annunciava “code sulla Venezia-Mestre per la costruzione della terza corsia”?
A Venezia decidiamo di lasciare l’autostrada e proseguire lungo il mare per la Romea. Sarà pericolosa e più lenta ma la brezza della costa ci eviterà di vaporizzarci con i 35 °C previsti a Bologna. Scelta saggia, la temperatura rimane nei limiti della sopportabilità.
Molte le auto dei vacanzieri in movimento in entrambe le direzioni. Sorprende il gran numero di mezzi targati RO (mania). Ma possibile, tutti questi turisti rumeni? Guardiamo meglio: no, sono pullmini che riaccompagnano in Italia immigrati che erano tornati a casa per le ferie estive.
La moto corre sull’autostrada ma non sembra avere fretta di raggiungere casa, in fondo siamo stati bene insieme in tutti questi giorni.
Lasciamo il Molise e siamo in Puglia. Ci sentiamo ormai alla fine del viaggio ma mancano ancora due ore. Il sole sta tramontando, la sagoma nostra e della nostra moto ci segue imperterrita, schiacciata sull’asfalto.
Eccoci a casa, in 14 giorni abbiamo percorso 7.210 chilometri in moto e 400 in nave, attraversato 10 stati diversi, visitato 8 capitali, siamo dimagriti di 5 chili in due e le nostre barbe ora sono lunghe.
La mia fiducia in mio figlio è cresciuta. La sua nei miei confronti spero non sia cambiata.
 
Enzo (48 anni) e Claudio (20 anni) Cianciotta

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