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Sono già venti giorni che l’Etna ci dà dentro: un’eruzione violenta come quella desiderata da coloro che scrivevano “forza Etna” o “alè Etna” sui muri, forse scambiandola per una squadra di calcio. Solo che io, e molti altri catanesi come me, delle eruzioni un po’ ce ne sbattiamo - almeno fino a quando non ci chiudono l’aeroporto causa sabbia vulcanica sputata in cielo, in terra e in ogni luogo – e preferiamo spostarci lontano dalla folla di gitanti felici e meravigliati che affollano le pendici del vulcano per vedere il fiume rosso che dalla bocca scende fino alla Valle del Bove magari augurandosi che, come in un reality, succeda qualcosa di tragico; tranquilli, l’ultima volta è stata nel 1669 e ci è bastato. Spostarci sì, ma dove? È Ferragosto, in Sicilia le spiagge più note sono off-limits e le località turistiche non sono da meno: intanto accendo la moto e carico la borsa per stare fuori un paio di giorni, il resto si vedrà.
Io e Laura - sempre sia lodata per il coraggio di seguirmi nei giretti che iniziano con una passeggiata e poi regolarmente finiscono oltre i 500 km – siamo partiti da Catania per questo breve itinerario alla scoperta di una Sicilia meno frequentata ma non per questo insipida come una caponata senza sale, volutamente tenendoci fuori dalla confusione del ferragosto.
Innanzitutto, mare: percorrendo la E45 e superando Siracusa arriviamo a Noto, frequentatissimo capolavoro del barocco che per le premesse del nostro giretto evitiamo di visitare, per imboccare la SP59 che porta a Capo Eloro dove, dopo qualche centinaio di metri di strada bianca, si lascia la moto e si scende in una spiaggia dal mare sempre pulitissimo e senza ressa. Si può rimanere qui a vita cullati dal caldo e dalla calma, oppure si può affondare sempre di più nel sud della Sicilia fino a sentire odore di Africa riprendendo la moto e arrivando fino a Pachino lungo la SP 19; ascoltatemi bene: arrivati a Pachino girate destra per Ispica-Ragusa, poi imboccate la prima a sinistra e giù dritti per qualche chilometro fino alla “Costa dell’Ambra” dove troverete una spiaggia incontaminata dal mare caldissimo e cristallino e se il vostro più prossimo vicino di ombrellone è a meno di venti metri vi devo una cena. Siamo vicini a Marzamemi e Portopalo, località turistiche piuttosto inflazionate, ma l’abbondante spazio per godersi il vero mare dell’Isola vi farà sentire dei novelli naufraghi. Topless is welcome. Laura esclusa.
E’ già il tardo pomeriggio del 14 ed è il momento di abbandonare la spiaggia della “Costa dell'Ambra”: tornare a Catania, no. Allora Ragusa, sono neanche 50 chilometri e conosco un posto dove dormire che ha il suo gran perché. Peccato per l’asfalto che non dà alcuna confidenza perché ci sarebbe da divertirsi lungo la strada che da Ispica passando per Modica (altro simbolo del Barocco Ibleo, ma letteralmente presa d’assalto dai turisti come un pastore tedesco dalle zecche e per questo da noi evitata come il peccato) ci porta fino ad una Ragusa immersa negli altipiani zeppi di aziende agricole e adagiata sui monti Iblei; per la mia percezione Ragusa è una città ambivalente, tanto ordinaria la parte nuova quanto affascinante la parte vecchia, Ragusa Ibla, perla del barocco incastonata in una collina ai piedi della città nuova e non ancora involgarita dal turismo di massa più becero. Credo che anche il fatto di essere mal collegata alla rete autostradale abbia pesato nel mantenere Ragusa e Ragusa Ibla ancora luoghi vivibili e autentici, non per nulla qui ci sono le più trite location cinematografiche usate per raccontare la Sicilia più caratteristica, Montalbano sopra tutte. Vedere Ragusa Ibla la sera è come immergersi in un presepe dai riflessi ambrati, percorrerne i vicoli semideserti a piedi è inseguire i propri sogni illudendosi di essere ancora nell’ottocento siciliano e pensare di essere spiati attraverso le finestre scure delle case basse, per poi sfociare nella piazza centrale dove si erge la collegiata di S. Giorgio, erroneamente chiamata Duomo, e la folla diventa inevitabile anche se ancora a livelli accettabili: diciamo che è una botta di vita per inguaribili orsi solitari come me.
Mentre in tutte le spiagge si fa il count-down per il bagno di mezzanotte, noi ci apprestiamo a dormire all’Antica Badia Relais Hotel che da solo vale una visita a Ragusa sia perché è un hotel ricavato con gran rispetto e coerenza stilistica all’interno di una vecchia badia dell’800, sia perché abbiamo trovato un’accoglienza superba anche per la nostra motocicletta, ben custodita all’interno del parcheggio privato. Al risveglio, ci siamo diretti alla ricerca di spiagge che il 15 agosto non recassero i segni dei gozzovigli della notte precedente: grazie alle indicazioni del gentilissimo Ignazio - receptionist dell'Antica Badia-, lungo la strada che da Donnalucata porta fino a Scicli (la SP 64) abbiamo trovato una specie di ruspante paradiso caraibico dal mare pulito, lontano dalle folle festose; è stato sufficiente cercare i pali della luce colorati adiacenti le strade che scendono fino al mare e che danno il nome alle vie (via del palo bianco, via del palo rosso, ecc…); andateci pure voi, poi mi dite.
Dopo una permanenza sotto il sole che a me sembra eterna (quelle due orette che io sono in grado di sopportare senza muovermi e senza smaniare) e col pensiero alla motocicletta immobile sotto il sole a 40 gradi, ho un’intuizione: secondo me Scicli, meta turistica per gli amanti dell’architettura tardo barocca, è deserta. Ottima occasione per visitarla, non è lontana.
Stacco Laura con una certa difficoltà dalla battigia sabbiosa e alle tre del pomeriggio siamo a Scicli. Nella centrale piazza Busacca siamo in tre. Io, Laura e la moto. Un bar è aperto, prendiamo una Coca Cola e aspettiamo seduti sulla panchina che qualcosa accada, non sappiamo cosa. Forse che passi una carrozza, magari che questo caldo passi e ci venga voglia di fare la lunga scalata a piedi fino alla chiesa di S. Matteo, forse ci venga pure voglia di camminare lungo le strade sulle quali si affacciano i palazzi barocchi. Convinco Laura di avere un’idea migliore, quella di perderci lungo i vicoli di Scicli con la motocicletta, privilegio di chi viaggia su due ruote. Guardati a vista dai pochi abitanti affacciati, stanchi e accaldati, alle finestre di piccole case percorriamo le stradine minuscole del centro storico nell’illusione furtiva di non disturbare nessuno. Magico, quasi mistico. Il silenzio è spezzato solo dal rauco rumore del tre cilindri che tengo quanto più basso possibile, per disturbare meno. Forse è un po' da matti, ma visitare i luoghi turistici in motocicletta, mentre il resto del mondo è da un'altra parte, in controfase rispetto alla massa, mi piace da morire.
Per la strada di ritorno scegliamo di passare da Marina di Ragusa, altro luogo di divertimento, lussuria e crapula; inutile dirvi che lo abbiamo attraversato col supponente naso all'insù di chi la sa lunga, ripromettendoci di tornare quando magari la densità di persone per metro quadrato di spiaggia scenderà sotto l'unità. Ma nella strada che unisce Marina di Ragusa a Ragusa città ho una di quelle sorprese che lasciano sbigottiti: il territorio è punteggiato e presidiato da bunker e trincee della seconda guerra mondiale che ne ricordano il ruolo di baluardo, di prima frontiera per chi accede all'Isola e all'Italia; la stessa frontiera che, Pozzallo è solo pochi chilometri più ad est, è il miraggio di molti disperati a bordo di barconi malmessi. Già: una volta qui si avvistavano i nemici e gli si dava il benvenuto a cannonate, ora si accolgono migranti senza nulla indosso tranne i propri vestiti sporchi di sale e di paura. Per trovare i bunker è sufficiente percorrere la Sp25 e cercare il percorso delle fortificazioni della seconda guerra mondiale; se è chiuso basta inoltrarsi nelle stradine che portano alle masserie e girare un po', noi abbiamo fatto così, e la motocicletta è indispensabile perchè camminare col caldo assassino tra i muretti di pietra e i ficodindia può essere letale.
Questa sarebbe l'ultima tappa della nostra passeggiata di Ferragosto, itinerario tra l'altro molto più godibile a settembre quando la calura è minore e tutto è più a misura di uomo, ed è il momento di tornare a casa anche se potremmo stare giorni a vagare con la moto e scoprire nuovi luoghi che il turismo di massa non ha ancora definitivamente corrotto e reso invivibili, globalizzati come un hamburger. Mentre torniamo a Catania sulla nuova autostrada Siracusa – Catania propongo di percorrere qualche chilometro in più e andare a fare qualche scenografica foto sull'Etna in eruzione; ma “la montagna” è permalosa, persino dispettosa se non la prendi per il suo verso e, dopo giorni di eruzione spettacolare, mi accorgo che ha deciso di tapparsi la bocca proprio il 15 mattina. Forse non avrà gradito che il nostro itinerario non la contemplasse fin dall'inizio, forse si era solo stancata e presa di caldo pure lei, forse le ferie le attendono pure le attrazioni turistiche e l'Etna ha passato la palla prima allo Stromboli ed ora -sembra- al Bardarbunga per quella strana e frequente circostanza che vede i vulcani sparsi per il globo eruttare in sequenza uno dopo l'altro: io volevo fare delle foto alla lava ma andare in Finlandia così su due piedi... solo per fare due foto ad un eruzione... no, grazie; e poi Laura non ha portato i vestiti pesanti e la motocicletta non ha ancora le moffole, mancano le gomme chiodate e sopratutto io sotto i trenta gradi sento sempre freddo e ho ancora voglia di godermi l'estate, la moto in maglietta, il caldo che più vai veloce e più lo senti, il suono irripetibile del mare calmo. Facciamo che scrivo pure io “forza Etna” e aspetto che erutti di nuovo, ok?