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Tutto grazie ad una attenta programmazione urbanistica e infrastrutturale (per parafrasare Elio e le Storie Tese: “concepita da un idiota”) e ad una lungimirante gestione del patrimonio autostradale siciliano che ha portato al prevedibile crollo di un viadotto dell’unica autostrada che volenterosamente unisce l’est e l’ovest dell’isola, la Catania - Palermo. Così accade che oggi per collegare i due lati della Trinacria o si affronta la Catania - Palermo e si supera il tratto chiuso per cedimento dei piloni del ponte Himera con una deviazione per un rally di oltre un’ora su stradine disastrate e affollate di mezzi pesanti, oppure si percorre la Catania - Messina e poi si imbocca la Messina - Palermo, allungando di centocinquanta chilometri abbondanti e di un paio d’ore; ma non prendete per oro colato tempi e distanze: in Sicilia i chilometri da fare e il tempo da impiegare sono ormai diventati un’entità indefinita e astratta.
C’è, però, una terza opzione, quella dell’itinerario magico: signore e signori, bimbi di tutte le età, contro tutte le regole dell’illusionismo sveliamo oggi il trucco di come un disastro (il crollo del viadotto sulla Palermo - Catania) possa invece essere una splendida opportunità per scoprire itinerari inusuali e divertirci un mucchio, basta una moto e voglia di fare strada, ma di quella storta.
Il trucco consiste nel partire da Catania e andare nella provincia di Trapani passando a sud verso Caltanissetta, Agrigento, Sciacca, Castelvetrano, Mazara del Vallo, Marsala e, quindi, Trapani: la ciliegina sulla torta è la visita di Erice. Lungo questo percorso troverete strade meravigliose, foreste di ulivi, eserciti di vite da vino schierati a lato delle strade a presidiare la vostra tranquillità, vestigia di civiltà remote, molti lavori in corso e panorami che vi ritorneranno in mente nei momenti più felici.
Da Catania a Trapani, passando per Agrigento
In moto, adesso. Per prima cosa autostrada fino a Caltanissetta, poi niente fretta e giù verso Agrigento solcando la SS 640 piena zeppa di lavori in corso. E’ pleonastico sottolineare che una visita alla Valle dei Templi di Agrigento è un’esperienza emozionante ma se non volete fermarvi troverete comunque molto suggestivo lo scenario nel quale si viaggia per un bel tratto, con i templi greci a guardarci dall’alto della collina mentre la ss 115 scorre sotto le ruote e ci porta verso Porto Empedocle e Realmonte. Se arrivate a Realmonte in piena estate il consiglio è certamente di evitare la meravigliosa Scalinata dei Turchi (una bianca parete rocciosa a picco sul mare, percorribile a piedi), perché piuttosto che sentire il suo fascino provereste una certa insofferenza per tanta, inutile, calca. Se possibile scegliete un periodo meno affollato. Meglio, per chi ama la letteratura, farsi ammaliare dalla casa museo di Pirandello in contrada Kaos. Sempre più a ovest, tocchiamo Sciacca alla quale preferiamo la vicina Caltabellotta, un centro poco conosciuto ma parecchio intrigante anche per essere stato il luogo dove nel 1302 fu siglata la “pace di Caltabellotta” tra Angioini e Aragonesi per la spartizione dell’Isola. Tante belle intenzioni, fu pure celebrato un matrimonio di interesse, ma niente: come forse sapete già, più che una pace fu un armistizio e il sacco dell’Isola proseguì. E prosegue ancora. In compenso da Caltabellotta si gode di una vista pazzesca sul tratto di costa da Agrigento a Mazara del Vallo, la strada per arrivarci e visitare la sua rocca (la sp 37) vi terrà calde le spalle delle gomme e vi spalmerà un sorriso sul volto.
Se non siete già stanchi, a Castelvetrano vi aspettano sia il fascino delle rovine di Selinunte, una città greca distrutta dagli iracondi Cartaginesi nel 409 a.C., che un eterno dilemma: perché qui in Sicilia roba costruita duemilacinquecento anni fa è ancora in piedi mentre le opere pubbliche contemporanee se passano la notte dell’inaugurazione è già andata di lusso? Mah… comunque, visita al sito archeologico di Selinunte consigliatissima. Ci vogliono un paio d’ore, attenzione al caldo.
Da Castelvetrano si può scegliere se andare spediti verso Trapani attraverso l’autostrada Palermo - Mazara del Vallo o, come ogni motociclista sano di mente farebbe, fregarsene dei rettilinei e delle autostrade e continuare attraverso la ss 115 fino a Mazara del Vallo dove è carino fare una passeggiata per la sua Casbah, ricordando che Mazara dista dall’Africa quanto Milano da Modena, concedersi una pausa all’ombra delle sue chiese barocche e poi aprire il gas verso lo sbarco dei Mille e un buon bicchiere di vino dolce: si arriva dopo pochi chilometri a Marsala. Bello e vivo il centro storico, ma preferiamo trottare con la moto a passo d’uomo per la strada che costeggia il mare di fronte alle isole dello Stagnone e all’isola di Mozia (visitabili), a pochi passi dalle imperdibili saline. Ricordate che motocicletta e alcool vanno d’accordo solo nello speedway e quindi il consueto bicchierino di Marsala (vergine, semi secco o tradizionale, a dolcezza crescente) degustato in una delle enoteche del centro riservatelo per quando avrete voglia di una lunga pausa.
Da Marsala a Trapani sono venti minuti di strada piacevole e immersa nei vigneti e se vedete i mulini a vento non preoccupatevi, nessuna allucinazione per il caldo, sono quelli delle saline. Salire verso Erice è sempre uno spettacolo che da solo vale la pena del viaggio; da qualsiasi lato si aggredisca il Monte Erice, la vista e il panorama su Trapani e le sue saline, su S. Vito lo Capo e sulle isole delle Egadi a pochi passi, sono uno spettacolo mozzafiato e quasi irreali nella loro eleganza, specie al tramonto. Le sp 31 che porta fino al paese è entusiasmate anche per le sue curve ben asfaltate sulle quali si svolge annualmente una cronoscalata: c’è da divertirsi, ma con giudizio.
Erice e il suo impianto urbanistico medievale hanno un fascino particolare, a patto di non incontrare la nebbia e di sopportare il vento che spesso sferza il Castello e le torri del Balio: fin dalle guerre puniche è un centro di attività e confronti, oggi brulica di turisti ma tante cose qui sembrano avere una dimensione più raccolta e intima, più semplice, un po’ come la vostra vecchia motocicletta a carburatori e zero elettronica.
Segesta, Gibellina Nuova e il Cretto di Burri
Arrivati fino a qui potremmo ritenerci già fortunati, un’intera giornata di motocicletta a zonzo per la Sicilia e la sua parte forse poco valorizzata dai grandi flussi turistici. Non resta che tornare verso l’Etna compiendo delle divagazioni per le rovine di Segesta, la città di Gibellina Nuova e i ruderi della Vecchia distrutta dal terremoto della Valle del Belice nel 1968.
Per arrivare a Segesta da Trapani ci serviamo dell’autostrada; anche qui, consigliatissima la visita suppure il caldo potrebbe risultare veramente notevole ma vale la pena soffrire un po’ per ammirare il teatro greco e le rovine del tempio, uno dei pochissimi templi dorici ancora in piedi dopo 2500 anni dalla costruzione; molto suggestiva l’atmosfera del sito archeologico incastonato tra le colline e quasi sospeso nell’aria.
Di seguito, calpestando la ss 113 e poi la 188, preparatevi a qualcosa che per noi è stata un’esperienza surreale: la visita di Gibellina Nuova con escursione ai ruderi di Gibellina Vecchia. Due-parole-due per spiegare meglio di cosa si tratta: nel 1968 un violento sisma rase al suolo buona parte della Valle del Belice, demolendo anche il paese di Gibellina. Superato lo shock e seppellite le quasi quattrocento vittime, viene decisa la ricostruzione di Gibellina in un nuovo sito circa 15 chilometri più ad ovest e per impulso dell’allora sindaco, Ludovico Corrao, si sceglie di farne un territorio aperto all’arte contemporanea e all’architettura urbanistica moderna per evitare di ricostruire una Gibellina non umanizzata e fredda, forse anche per riscattare la acclarata carenza dello Stato nella gestione dell’emergenza terremoto. Il risultato è una città molto dispersiva, dove gli abitanti sono stati cooptati e trapiantati in un contesto che forse non avevano chiesto. Molte le opere d’arte di artisti contemporanei come Sinagra e Pomodoro che punteggiano le strade, molte le architetture che non sfigurerebbero in qualche capitale europea ma forse qui, in piena valle del Belice, sono cattedrali nel deserto velleitarie e decontestualizzate, senza vita.
Per strada a Gibellina Nuova c’è pochissima gente, il “sistema delle piazze” è deserto, il museo civico chiuso, le opere d’arte si ergono solitarie, quando non abbandonate, in mezzo a snodi e slarghi solcati da pochissime auto, il silenzio è tombale e per chiedere informazioni la gente bisogna cercarla. Onestamente, per quanto possa essere stato un generoso tentativo di umanizzazione del territorio e di valorizzazione dell’arte contemporanea, sembra un esperimento fallito. Nessun turista in giro per Gibellina, tranne una famigliola che incontriamo nell’odeon della Cattedrale dalla gigantesca palla bianca di cemento, spiazzata quanto noi. Tutto è surreale, distante, poco sereno, ragione per cui decidiamo di andare a vedere i ruderi di Gibellina Vecchia e il Cretto di Burri. Per arrivarci, non è immediato, bisogna percorrere la ss 188 fino a S. Ninfa, poi prendere la sp 5 e non scoraggiarsi ma lasciarsi cullare dalle curve e dalla strada solitaria fino a quando non appare, adagiato su una collina, il Cretto di Burri: una colata di cemento che ricopre le macerie di Gibellina Vecchia distrutta dal sisma e ne ripropone le forme delle strade, congelando per sempre la sua forma e il suo spazio. Proprio in questi giorni i lavori per il suo ampliamento/completamento (dal 1986!) sono al termine, il sito è silenziosissimo e non c’è anima viva. L’opera di Burri è devastante nella sua potenza espressiva, ma ancora più devastante è il caldo nonostante il calendario dica che siamo a Maggio e sono avvilenti la sensazione di oppressione, la solitudine del luogo, l’amara consapevolezza che anche questa è un’opera ignorata dai turisti e per nulla valorizzata.
Scappiamo, eravamo partiti per divertirci e invece qui si rischia di intristirsi. Raggiungiamo un’altra volta Castelvetrano e da lì rifacciamo a ritroso l’itinerario dell’andata e questa volta, lo ammetto, cerco di fare presto. Torniamo a Catania dopo due giorni e oltre 1100 chilometri percorsi, quando per andare e tornare da Trapani se ne potrebbero fare tranquillamente poco più della metà, ma soprattutto la velocità media non è stata superiore ai 55 km/h. Magia, illusione, e in fondo una profonda gratitudine ai piloni del viadotto Himera che hanno deciso di crollare segando in due la Sicilia ma cementando la convinzione che con una moto puoi fare di ogni difficoltà un pretesto per scoprire itinerari emozionanti; intanto, io rifaccio il pieno alla moto: chissà dove mi porterà il prossimo crollo annunciato.