Viaggi in moto: la Patagonia

Viaggi in moto: la Patagonia
Questa è la storia di un viaggio che comincia, come molte volte accade, una sera qualunque davanti ad una birra: due amici che sentono l’esigenza di uscire dagli schemi, respirare aria pura e invertire temporaneamente l’ordine di priorità delle cose
21 giugno 2012


Questa è la storia di un viaggio che comincia, come molte volte accade, una sera di una giornata qualunque trascorsa davanti ad una birra: due amici che si conoscono da sempre sentono l’esigenza di uscire un po’ dagli schemi della vita ordinaria per respirare una boccata d’aria pura e invertire temporaneamente l’ordine di priorità delle cose. Ecco allora riemergere il desiderio di realizzare un sogno di quando erano piccoli. Un sogno di bambino, appunto, quello di mettersi in viaggio verso una meta lontana, leggendaria, rappresentativa, per riorganizzare le idee, per riflettere sul senso vero delle cose e cercare quelle risposte che, certamente, sarebbero poi arrivate chissà dove lungo la strada.
La strada di un’avventura che noi, i due amici che si conoscono da sempre, abbiamo deciso di percorrere a modo nostro. In moto, in due su una moto lontana forse anni luce dal concetto di viaggio: una Triumph Scrambler spedita dall’altro capo del mondo un mese prima del nostro arrivo per raggiungere il mito del Sud dei Sud dividendo la sella, con tutti i bagagli, senza tappe programmate, senza navigatori GPS, senza assistenza, senza prenotazioni ma con tenda e sacchi a pelo per poter fronteggiare ogni evenienza.

La strada di una terra lontana, appunto: la Patagonia. La strada verso una meta dal nome importante, Capo Horn.

La strada contraria agli avvertimenti di chi ha più volte provato a farci desistere, contraria a tutti quelli che ci dicevano che eravamo incoscienti, contraria a chi ci ricordava come al lavoro sarebbe stato impossibile ricavarci il tempo necessario per farlo o che la moto dovevamo prenderla in loco perché spedirla dall’Italia sarebbe costato troppo e poi tanto non sarebbe mai arrivata a destinazione, che non sarebbe uscita dal porto, che avremmo avuto problemi con i documenti, rotto qualcosa, perso qualcosa, sbagliato qualcosa. Contraria a tutti quelli che ci ricordavano in continuazione che ci eravamo messi in testa qualcosa che davvero andava oltre le nostre possibilità. Tutto vero, forse, ma quella e solo quella era la strada che volevamo percorrere in quel preciso frangente di vita, mettendo a frutto tutto quello che avevamo imparato nei 30 anni precedenti, con tutte le nostre energie.

La strada di 10.200 Km in 30 giorni, di tratte fino a 800 km al giorno e di 3.500 km di off-road, di pioggia battente, di vento gelido a 100 km/h, di caldo asfissiante nel deserto, di sterrati, rocce, curve, ghiacciai. La strada percorsa a cavallo tra le leggendarie Ruta40 e Carretera Austral con tutte le loro insidie, tra l’Argentina ed il Chile, attraverso le Ande, costeggiando l’Atlantico ma con un tuffo nel Pacifico.
La strada di un viaggio di pinguini, di polvere, di terra del fuoco e del fuoco accanto alla tenda, di chilometri che sembrano infiniti ma vorresti non finissero mai, di dogane, di documenti, di fiumi, di vette innevate, di papas fritas, di incontri quotidiani, di bottiglie di benzina, di imbuti di carta, di cedimenti, di saldature rimediate, di tramonti col vento in faccia, di traghetti col mare mosso, di arcobaleni dopo la tempesta, di viaggiatori, di arrivi di notte, di partenze mai troppo presto, di jungla, di camion che spostano l’aria, di camion che alzano secchiate di acqua, di sorrisi di gente autentica, di salmoni allamati ad una lenza arrotolata ad un barattolo ma poi scappati, di raggi spezzati, di cerchi rotti, di gente armata di maestria e generosità che ti fa ripartire, di gomme bucate, di lezioni di vita, di accoglienza, di sfide continue, di montagne, di paesini lontani, di 3 regole imparate lungo il cammino, di bruscolini passati al semaforo, di ripio, di motociclisti che ci si saluta sempre quando ci si incrocia, di tremendi leon, di maghi del precarico e maghi dei raggi, di orizzonti infiniti ma sai che tanto da qualche parte si arriverà sempre, di sassi, di tanti sassi, di monta e smonta il carico e tira le cinghie e molla le cinghie, di 150 km imprevisti alle 10 di sera dopo 10 ore di viaggio, di pezzi di ricambio da trovare, di cene alla bud spencer, di bife de chorizo e vino, di stazioni di servizio, di case accoglienti, di soste ogni 130 massimo 150 km che fa male il culo, di piccole barche con grandi equipaggi di 2 persone, di fari, di cambi gomma nel deserto, di ghiacciai, di pampas, di animali che attraversano la strada, di contrattazioni, di timbri e di firme, di file, di uffici, di marmitte perse per strada, di mate accanto al fuoco, di portapacchi rotti, di gente che ci ha raccolto lungo il cammino, di foto che per forza si deve fare, di merluzzi negri, di bagni in laghi e fiumi, di oceani, di calore della gente, di stupore continuo, di una tanica verde che senza di quella eravamo nella merda per davvero, di carezze alla moto che ti prego facci arrivare, di voglia di arrivare, di voglia di rimanere, di pacche sulle spalle al cartello di ingresso di un paese, di alzarsi la mattina senza sapere dove si sarà la sera, di tutto ciò che c'è lungo la strada di un viaggio così che poi è davvero difficile da raccontare.

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E allora, l’unica cosa che puoi raccontare è l’insegnamento indelebile costruito dai tanti segni raccolti lungo il cammino. Come quando ci siamo trovati a fare i conti con una tratta di 600 km della leggendaria Ruta 40, uno sterrato infinito nel deserto senza nulla intorno, dove tra El Chalten a Perito Moreno sapevamo che non avremmo incontrato benzinai se non forse, da qualche racconto di altri viaggiatori, una pompa sgangherata in un ostello a tre quarti del percorso che con un po’ di fortuna poteva avere qualche litro da vendere. Siamo partiti con il serbatoio pieno, la tanica di scorta piena e con due bottiglie di coca-cola piene. Dopo 12 ore di guida e poca benzina rimasta siamo arrivati distrutti all’ostello. Quel giorno siamo anche caduti. L’unico pensiero allora era mangiare. E dormire. Eravamo talmente cotti che da non accorgerci che tra la cena e il pernottamento avevamo speso tutti i soldi contanti che avevamo. Non ne avevamo a sufficienza neanche per pagare il conto per intero. Abbiamo smontato tutte le valigie, rovistato dovunque e alla fine, in una tasca dei pantaloni, abbiamo trovato una banconota da 50 pesos. Appena sufficienti per saldare il conto e permetterci altri 2 litri e mezzo di benzina. Siamo ripartiti quindi per gli ultimi 150 Km.

Arrivare a Perito Moreno con la moto che ha cominciato a spegnersi 50 mt prima del benzinaio è stata non solo una festa, ma l’ennesimo segno inequivocabile, limpido, che la strada era quella giusta, che eravamo sotto la buona stella e ce l’avremmo fatta. Lo senti, lo percepisci, è lampante: il viaggio stesso ti porta dove è giusto che tu vada, ed ogni tassello, ogni accadimento quotidiano che ti porta alla tappa successiva, si incastra magicamente nella storia e la rende perfetta. Ecco allora che, molti chilometri dopo, il cerchio posteriore ha collassato perché anche l’ultimo dei raggi che lo teneva in equilibrio ha ceduto. Il primo raggio del cerchio si era rotto poco dopo la partenza da Buenos Aires e poi, mano a mano che aumentavano i chilometri, le sollecitazioni, le buche, il peso, gli sbalzi termici, anche gli altri ad uno ad uno hanno cominciato a cedere. Uno per volta, poco alla volta. L’ultimo si è rotto quando stavamo andando da Vina del Mar al passo di San Liberadores sulle Ande, per tornare in Argentina. Si è rotto poco dopo San Felipe, a nord di Santiago del Chile, in una strada provinciale, davanti ad una casa. La casa di Domingo, di sua moglie Eva e di suo figlio Claudio. Una casa di contadini, dove siamo entrati per chiedere un aiuto a sollevare la moto e dalla quale siamo usciti tre giorni dopo, con il cerchio riparato e la vita cambiata. Si, perché quella è una casa dove ti cambia la vita, dove si rovescia la prospettiva del mondo. Dove ti ritrovi davanti a gente povera che ti accoglie come un re, che ti apre la bottiglia migliore che ha e ti prepara due pasti caldi al giorno offrendoti aiuto in tutto ciò che fai. Dove ti ritrovi a parlare di notte con Claudio, tetraplegico da 5 anni per essersi tuffato nel solito punto di fiume durante un momento di secca, che ti spiega come lui, che ogni mattina prova a scendere dal letto con le sue gambe, ha capito che non vale la pena abbattersi perché non ci riesce, che ha scoperto che la sua giornata che è comunque piena di cose che gli riempiono la vita. Come il nostro incontro. Ecco, qui capisci perché l’ultimo raggio si è rotto in quel tratto di strada.


La strada che forse non avremmo mai percorso senza aver messo il numero 58 sul cupolino che con orgoglio e rispetto abbiamo portato con noi fino alla fine del mondo, per ricordarci di continuare sempre a credere nei sogni, perché se ci credi poi alla fine ce la fai, proprio come chi intorno a quel numero ha costruito il sogno della sua vita.
Perché l’insegnamento per noi è questo, nitido, chiaro, inequivocabile: se una cosa la vuoi davvero e vai per la tua strada a modo tuo, se insegui i tuoi sogni con tenacia e ci credi fino in fondo, poi le cose arrivano, da sé, contornate da un’aurea di tangibile magia. Tutto lungo la strada di questa storia ce lo ha fatto capire. E’ solo questione di un pizzico di coraggio e un po’ di follia.

Maurizio Franco

 

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Triumph Scrambler (2006 - 17)
Triumph

Triumph
Via R. Morandi, 27/B
20090 Segrate (MI) - Italia
02 84130994
[email protected]
https://www.triumphmotorcycles.it

  • Prezzo 10.190 €
  • Cilindrata 865 cc
  • Potenza 59 cv
  • Peso 205 kg
  • Sella 825 mm
  • Serbatoio 16 lt
Triumph

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Scheda tecnica Triumph Scrambler (2006 - 17)

Cilindrata
865 cc
Cilindri
2 in linea
Categoria
Naked
Potenza
59 cv 43 kw 6.800 rpm
Peso
205 kg
Sella
825 mm
Pneumatico anteriore
100/90-19
Pneumatico posteriore
130/80-17
Inizio Fine produzione
2006 2017
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