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Ebbene in quella sera da quella cena piano piano questa visione quasi mistica si è trasformata in un sogno concreto fino a diventare una realtà di fatto: assaporare un pezzettino di Africa con le nostre moto. Questo pezzettino si chiama Marocco, appunto, alla portata di noi piccoli viandanti sognatori a due ruote.
E così dopo mesi (solamente due in effetti) a discutere di date auspicabili, di traghetti, di itinerari, finalmente siamo partiti, perché come scrive qualcuno che di viaggi se ne intende e parecchio… “L’importante è partire”.
Gruppo composto da tre motociclisti: direi numero perfetto, amici di una vita, ma soprattutto compagni di viaggi super collaudati.
Quindi direzione Séte (Francia) per poi imbarcarci sul traghetto per scendere a Tangeri. Siamo saliti sulla nave sotto ad un vero e proprio diluvio universale e ci siamo preparati per la traversata di 40 ore: eterna, anche perché da veri biellesi ovviamente posto poltrona per risparmiare. Abbiamo stretto amicizia con un marocchino vicino di posto, simpatico, giusto per portarci avanti.
Tangeri – Ketama km 250
Finalmente dopo due giorni siamo sbarcati: espletate velocemente le pratiche doganali, fatta l’assicurazione per le moto, scambiato i soldi, abbiamo annusato l’aria marocchina.
Sotto ad un bel sole e con temperature miti ci siamo diretti a est verso Tetouan percorrendo la costa: turistica, pulitissima, costellata di resort uno di fianco all’altro. Passata questa cittadina abbiamo continuato a seguire la strada costiera con l’intenzione di fermarci per la notte a El Jebha… magari !
Pronti via ci siamo messi nella direzione sbagliata, scegliendo però una valida alternativa, addentrandoci nel Rif marocchino: strada panoramica con paesini dove la gente si arrabatta vendendo la propria merce ai bordi delle strade perlopiù infangate.
Come mi era accaduto in Turchia l’impatto iniziale con questo tipo di società ti lascia un po’ di stucco, ma poi, inevitabilmente, ti cali nelle realtà che attraversi rispettando la sua diversità. La polizia locale, ferma all’ ingresso ed uscita di ogni paese, è gentilissima verso noi motociclisti. Nelle zone più alte percorse le temperature hanno toccato i 3-4 gradi.
Ketama – Missour km 440
Oggi il Marocco ci ha riservato un privilegio raro, regalandoci scorci e ambienti differenti ma unici. Infatti nella prima parte della giornata abbiamo proseguito per il Rif , con strade tortuose spesso dissestate e ghiacciate, che lambivano vallate incantevoli. Nella parte centrale ci siamo trovati nel Monferrato. Davvero! Colline morbide la facevano da padrona, tappezzate da infinite piantagioni di ulivi, con strade che seguivano i declini e aggiravano questi poggi. Qui abbiamo incrociato numerose scuole ai lati delle strade e tantissimi bambini e bambine, che uscendo dagli edifici scolastici oppure camminando per far ritorno a casa, ci salutavano calorosamente: una bella dose di emozione mattutina. I chilometri percorsi sono stati magici, regalandoci sensazioni difficili da dimenticare.
Ma non era finita qui; pensavo di essere già in perfetta simbiosi con me stesso, ma mi sbagliavo: addentracndoci nella parte più desertica abbiamo percorso l’ultimo tratto al tramonto in un atmosfera incredibile, gustandoci il Marocco più selvaggio con i suoi colori spettacolari.
Durante il tragitto ci siamo fermati in una cittadina per cercare una tessera per il telefono marocchina, dato che uno dei tre non riusciva a chiamare. Siamo stati letteralmente circondati da una trentina di curiosi. Grazie ad un ragazzo siamo riusciti a trovare questa benedetta scheda, scoprendo che quest’ultimo vive e lavora a Gallarate… praticamente nostro vicino.
Prima del calar del sole percorrendo un pezzo di strada fra discese e salite ho avuto la strana percezione di essere già stato in quel preciso luogo: ma certo, a prima vista mi sembrava proprio il ponte con l’avvallamento in cui i 4 amici perdono l’accrocchio sistemato sotto il fuoristrada. Sto parlando di uno dei miei film preferiti, ovvero Marrakech Express!!! Sicuro o meno della mia teoria, ho fermato la moto e mi sono concesso qualche minuto: non mi sembrava vero essere lì, con i miei due amici all’orizzonte, la strada, la natura severa, ma intrigante da morire.
Missour – Merzouga km 340
Parlando di questo viaggio con un mio caro amico motociclista di cui nutro una stima infinita, sapendo dai suoi racconti che aveva già effettuato un raid in questa terra, gli ho chiesto cosa ne pensasse. La sua risposta è stata: “ …che forse il Marocco è il più bel paese da girare in moto…” Devo dire che il buon Timmy non si sbagliava, e oggi ne avuto la conferma.
Attraversando pianure con altipiani ai nostri lati che nascondevano montagne innevate, costeggiando villaggi di una povertà assoluta con case in terracotta dove la maggior parte degli abitanti ti saluta e sorride, siamo finiti nelle Gorges du Ziz . Dopo una gola stretta, selvaggia, la valle si è aperta dinnanzi a noi regalandoci un immenso canyon , dove nel fondo oltre al fiume regnava una distesa infinita di palme e ulivi, una vera e propria oasi con villaggi qua e là. La strada prima panoramica con scorci mozzafiato, si tuffa letteralmente sul fondo del canyon , costeggiando la vegetazione. Qui il caldo ha iniziato a farsi sentire.
Arrivati a Erfoud, abbiamo preso la pista per giungere alle famose dune, l’Erg Ghebbi.
Pista indicataci da un locale che aveva anche l’intenzione di portarci a fare una famosa via sterrata accompagnandoci con il suo fuoristrada, ovviamente a pagamento.
E qui ci siamo sparati una bella figuraccia: io dopo un’estenuante scambio di battute ero riuscito a convincerlo in modo benevolo che non ci era possibile accettare la sua offerta, in quanto non ci saremmo fermati a Merzouga per la notte (meta finale della sua pista, ma in realtà anche della nostra), ma avremmo proseguito più a sud; quindi non avevamo tempo a sufficienza per seguire il suo tour. Eravamo sul punto di salutarci quando il nostro socio Niko si è avvicinato dicendomi che aveva trovato un bel posto per dormire proprio a Merzouga… immaginate la mia espressione ma soprattutto quella del marocchino!
Siamo montati sulle moto alla svelta imboccando la nostra pista: sterrato facile condito da qualche pezzettino di sabbia, esperienza elettrizzante. Dopo una ventina di chilometri è apparso all’orizzonte l’Erg, in tutto il suo fascino e maestosità. Eravamo giunti a lambire un pezzo di deserto, quello vero, con le nostre fide due ruote. L’emozione provata in quel momento vi giuro è stata indescrivibile, come raramente mi è accaduto : noi tre, io Ale e Niko, con le nostre cavalcature in mezzo al nulla. Guidare in quel tratto è stato particolare, ero nello stato d’animo perfetto che solo ambiente-moto-momento ti sanno regalare.
Fermandoci dieci minuti per godere appieno di ciò che ci circondava , abbiamo percepito il silenzio assoluto, la prima volta in vita mia. La giornata spettacolare è stata conclusa trovando un hotel da favola ai piedi delle dune, caratteristico a dir poco, dove ci siamo gustati un ottimo tè al tramonto, mangiando divinamente attorno al camino protetti da un cielo stellato che solo il deserto ti sa regalare.
Merzouga – Zagora km 350
L’idea iniziale del tragitto era quella di lasciare l’Erg per dirigerci verso nord, in un altro luogo sicuramente favoloso, ovvero le Gorges du Dades. Ma, come scritto in precedenza, questi posti desertici, selvaggi, hanno esercitato in tutti e tre un’attrazione fortissima , tanto da indurci a modificare il nostro itinerario. Da oggi in poi sarà deciso alla sera con lo stomaco pieno (si spera!) degustando un bicchierino, anche due, di grappa portata direttamente da casa e custodita nelle mie valigie laterali.
Quindi: direzione sud!
Siamo giunti alla vallee du Draa, uno dei più grossi fiumi del Marocco, con le sue immense oasi, distese di palme a perdita d’occhio, attraversando anche oggi villaggi di argilla e terra ma più poveri di quelli incontrati in precedenza. Un aspetto che mi ha colpito è la presenza numerosissima di asinelli, mai visti così tanti. E’ l’animale più popolare, adoperato sia per lavoro che per spostarsi quotidianamente, per cui vengono tenuti in maniera dignitosa.
Arrivati nella città di Zagora, mi si è accostato un ragazzo con il suo motorino. Dalla tuta che aveva ho intuito che facesse il meccanico o roba del genere. Chiedendogli indicazioni per una località ai piedi delle dune fuori città , si è offerto di scortarci con il suo due ruote : ebbene, stargli dietro per le viuzze semi sterrate è stato pressochè impossibile, una scheggia.
Il giorno dopo ripassando dalla cittadina mi si è nuovamente affiancato ( non chiedetemi come abbia fatto a vederci e trovarci), lasciandomi il suo biglietto da visita dell’officina meccanica… fantastico!
Trovato il paesino siamo finiti in un fortino con vista dune gestito da un tedesco : quindi alla sera birra a volontà.
In questo hotel abbiamo fatto la conoscenza di Patrck, strano personaggio, astronomo, che vive per più di metà anno in questa terra per studiare le stelle. Dopo cena ci ha invitati a salire sul terrazzo per tenerci un corso pratico e , sorpresa sorpresa , ci siamo trovati dinnanzi ad un patrimonio di telescopi di ogni genere e dimensioni. Però complice la stanchezza e qualche birra di troppo non siamo riusciti a seguire tutte le spiegazioni del nostro nuovo amico, anche perché il suo belghese (belga e inglese, definizione sua) non era di facile interpretazione.
Zagora – Icht km 450
L’idea iniziale della giornata era quella di macinare pochi chilometri rilassandoci… detto fatto: quella odierna è stata una delle tappe più lunghe, ricca di avvenimenti, colpi di scena ed imprevisti.
Tutto è iniziato con il trovarci nuovamente sul terrazzino insieme a Patrick (a mio avviso non si è mosso da lì per tutta la notte), il quale ci ha fatto ammirare il sole attraverso lenti particolari. Per dei profani come noi una cosa incredibile.
Dopo esserci congedati dal mitico astronomo, abbiamo macinato un bel pezzo di strada alquanto noiosa. Eravamo tutti e tre assonnati e stufi quando, all’improvviso, il nastro d’asfalto si è interrotto , facendoci fare una bella deviazione seguendo delle mulattiere ai lati della strada : un bel diversivo ! Peccato che di queste deviazione alla fine ne abbiamo fatte un numero imprecisato, altro che annoiarci.
All’ennesima, entrando in una vallata si è aperto dinnanzi ai nostri occhi uno spettacolo naturale inverosimile: una pianura sconfinata costellata da piccoli pinnacoli risultati dell’erosione e del lavoro dell’acqua fatto in anni ed anni; un’opera d’arte naturale, siamo rimasti incantati.
Fatte le foto di rito ci siamo diretti nella cittadina di Tata dove, vista l’ora, abbiamo deciso di proseguire dopo che solo Niko con il suo Transalp ha fatto rifornimento. Siamo finiti, prima di uscire da questo paese, in un mercato incasinatissimo con dei colori che solo queste terre ti sanno regalare. Eravamo con i nostri mezzi decisamente in mezzo alle bancarelle, non vi dico il pasticcio per uscirne.
La meta finale della giornata odierna è Acca, in quanto nella nostra fida cartina (non amiamo viaggiare con navigatori o GPS o quant’altro, siamo legati alla vecchia moda), erano indicati sia un distributore che un hotel. Invece giunti a destinazione abbiamo constatato che non vi era proprio un’acca di niente!!! (passatemi la battuta). Decisi e sicuri che la mappa non sbaglia mai, ci siamo diretti nell’oasi vicino per scovare sto benedetto hotel, attraversando un villaggio con stradine strettissime ed effettuando anche un discreto guado visto che la via era tagliata da un bel corso d’acqua.
Dell’hotel nessuna traccia, ma siamo subito ripartiti galvanizzati da questo diversivo avventuroso, con direzione sempre sud alla ricerca di un posto dove trascorrere la notte. Ci siamo goduti il tramonto a bordo delle nostre fedeli due ruote, mentre prendeva piede in noi la preoccupazione di rimanere a secco , visto che di distributori nemmeno l’ombra. Al buio e ormai quasi senza benzina, siamo stati fermati dalla polizia all’entrata di un paesino di dieci case dieci. Gentilissimi, ne abbiamo approfittato per chiedere informazioni. Loro prontamente ci hanno indirizzato in un hotel nelle immediate vicinanze, assicurandoci che l’indomani a meno di 10 chilometri da quel punto si trovava un distributore.
Stanchi ma felici delle nuove notizie ci siamo recati all’albergo: devo dire che la fortuna ci ha premiati. In mezzo al deserto due fratelli italo-francesi hanno creato un bel resort , con stanze curatissime, dove abbiamo cenato in un’ambiente accogliente, gustando un ottimo cous cous e bevendo dell’ottimo vino marocchino, prodotto nei dintorni di Casablanca. Insomma come si dice in questi casi, “siamo caduti in piedi”!
Icht – Sidi Ifni km 350
Lasciato a malincuore l’accogliente albergo ci siamo diretti verso il punto più a sud del nostro raid. Prima, ovviamente, abbiamo riempito i nostri serbatoi della tanto desiderata benzina, in un distributore fatiscente con una pompa sola e mal funzionante.
Quindi direzione Assa, un paese circondato solo da sabbia e pietre per chilometri e chilometri. Attraversandolo mi sono chiesto nuovamente come faccia questa gente a sopravvivere in un posto del genere. Qui il caldo si è fatto veramente sentire, nonostante la stagione, toccando quasi i 28 gradi.
Pranzato in un barettino con omelette servite in padelle antiaderenti, ovvero avevano uno strato di unto per non far attaccare le uova, abbiamo letteralmente invertito la rotta, stavolta direzione nord ovest, viaggiano non più con il sole in faccia ma alle spalle.
Ci siamo gustati una bella stradina con curve e tornanti semi collinare e stavamo già sognando i profumi dell’oceano quando, senza preavviso, un ponte franato a causa delle forti precipitazioni del mese scorso ha spezzato i nostri sogni. Dopo un’attenta analisi dei miei due compagni (sembravano due ingegneri civili all’opera) abbiamo invertito la rotta per scovare un passaggio alternativo. Detto fatto, a poche centinaia di metri dal ponte siamo stati fermati da un locale, il quale sbraitando e gesticolando ha fatto intendere che imboccando una pista lì a fianco saremmo sbucati proprio in riva al mare.
Vuoi non fidarti di un personaggio del genere? Senza pensarci due volte abbiamo messo le nostre ruote sulla stradina, anche per non farci mancare lo sterratino giornaliero. Ebbene, ci siamo trovati dentro una valle selvaggia cosparsa di migliaia di fichi d’india, percorrendo inizialmente il suo fondo per poi arrampicarci fino a valicare. Lassù, in cima, ai nostri occhi si è aperto l’oceano con la sua immensità e il frastuono delle sue onde.
Siamo stati in contemplazione di tale forza della natura per diversi minuti, per poi montare sulle moto e ridiscendere il costone, in una discesa non proprio banale.
Per la notte siamo finiti in un camping aperto da due giorni, dove il proprietario , vista l’assenza di letti nei bungalow, ha chiamato due suoi cugini, i quali, arrivati a bordo di un pick-up, hanno portato tutto l’occorrente: in men che non si dica avevamo la nostra stanza. E così abbiamo ceduto al sonno con il frastuono delle onde a tenerci compagnia.
Sidi Ifni – Tamri km 200
Partendo all’alba ci siamo promessi di trovarci una sistemazione ad Essaouira, città turistica sulla costa, per gustarci una buona cena a base di pesce. Ovviamente nulla di quanto detto e stabilito. I tre hanno perso la mattinata e qualcosina di più incasinandosi e “trovando” le grane nel percorrere una pista che si srotola proprio di fianco all’oceano.
Ma, andiamo con ordine: salutato calorosamente il proprietario del camping, abbiamo individuato sulla nostra mappa (sempre lei!!!) un percorso che sembrava carino, in quanto correva proprio parallelo all’Atlantico. Il primo pezzo semplicemente fantastico : eravamo su un lembo di terra , se guardavi all’orizzonte avevi la netta sensazione che mare e cielo si fondessero in un tutt’uno e che la pista venisse risucchiata da questi due elementi. Le emozioni si alternavamo, passando da stati di assoluta gioia per l’ambiente in cui eravamo, a momenti di tensione dovuti all’attraversamento di lingue di sabbia più o meno profonde.
Personalmente mi trovavo al settimo cielo quando, all’improvviso, la pista è scomparsa, inghiottita da una voragine creata da un torrente ormai in secca. Qui Alex, con il suo GranPasso, ha creato una traccia dal nulla passando in mezzo a due piccole dune e aggirando l’ostacolo; una mossa decisiva! Noi, al volo, abbiamo seguito le sue orme non senza qualche preoccupazione iniziale: in vita mia non avevo mai fatto enduro così estremo con il mio GS. Però che scarica di adrenalina, e che goduria. Ripresa la pista ci siamo accorti, dopo poche centinaia di metri, che un’altra interruzione bloccava il nostro avanzare. Compiendo un passaggio un po’ rischioso ai bordi del torrente, ci siamo indirizzati su un nuovo percorso e dopo due ore di insabbiamenti, deviazioni, buche e ondulaioni, siamo risbucati sulla strada principale: tra il caldo e la tensione, eravamo sfatti.
In mezzo a tutto ciò abbiamo fatto due incontri diversi ma entrambi particolari : il primo è avvenuto quando a Niko è caduta la sua moto. Da una collinetta è sbucato un pastore magrissimo con appesa al collo una radio gigante; ebbene, questo individuo quasi da solo ha tirato in piedi il Transalp, andando via immediatamente con il volume della radio a palla. Poco dopo abbiamo gradito l’offerta di ospitalità di un ragazzo nella sua casa sorseggiando del tè. L’incontro è stato particolare, nonostante la richiesta di 200 dinar (circa 18 euro) per l’operazione al dente a cui doveva sottoporsi. Vista la mitica scusa campata non abbiamo esitato a dargli la suddetta somma.
Ripreso l’asfalto, data l’ora ci siamo diretti lungo la costa per trovare una sistemazione, pernottando in un albergo prima che iniziasse a piovere copiosamente. Perché nel nostro viaggio in Marocco mancava solo quella, la pioggia.
Tamri – El -Jadida km 360
Tappa di avvicinamento a Tangeri, quindi guidando sempre in direzione nord ma con il ricordo e il pensiero rivolti al sud del Marocco, con i suoi deserti e gli spazi sconfinati, che rimarranno per sempre nei nostri occhi, nei nostri cuori.
Oggi la giornata peraltro è caratterizzata da pioggia, a tratti, ma copiosa. La polvere e sabbia presente sempre ai lati delle strade con l’acqua si è trasformata in un bel fango argilloso, ricoprendo noi e le moto di uno strato marroncino spesso e uniforme, difficile da togliere: insomma, eravamo ridotti un po’ maluccio.
Trovato un hotel nella cittadina moderna di El-Jadida (solo il centro intendiamoci, il resto è fatiscente), ripuliti di tutto punto, affamati, ci siamo precipitati in un ristorante. Durante il pasto si discuteva del fatto di avere i compagni giusti per viaggiare. Fra me e me pensavo che non potevo trovare di meglio: Alex con la sua Moto Morini GranPasso (penso una delle poche ad aver attraversato il suolo marocchino), socio di tante scorribande per mezza Europa dove il nostro affiatamento si è consolidato nel tempo e abile meccanico; Niko, gran compagnone sempre pronto alla risata e alla battuta( peraltro questo è stato il primo viaggio vero da lui affrontato, la prima volta che ha messo le ruote sullo sterrato, comportandosi più che egregiamente, quindi tanto di cappello). Continuando nei miei pensieri ,sono arrivato a dire che per affrontare il Marocco in moto come abbiamo fatto noi tre (nulla di epico, ma pur sempre imprevedibile e avventuroso) se non avessimo avuto il giusto affiatamento, reciproco rispetto e sana collaborazione e adattamento non saremmo andati tanto distante, questo è certo.
Per sugellare il tutto abbiamo stappato due bottiglie di Rosè per accompagnare il pesce, e per finire tre giri di amari, offerti uno a testa: la giusta ricompensa dopo tutti sti chilometri.
El-Jadida-Larache km 370
A cavallo delle nostre motociclette ci stiamo letteralmente trascinando verso Nord. L’umore della truppa non è dei migliori: la stanchezza dettata da giorni interi consecutivi in moto inizia a farsi sentire mentre l’adrenalina piano piano cala; inoltre accusiamo i bagordi di ieri sera e le poche ore di sonno; a completare il quadro un pallido sole iniziale ha lasciato il posto a nuvoloni e vento alternati a pioggia intensa.
La costa da Casablanca in poi è piatta, a tratti monotona. All’unisono si è deciso, venendo meno ad uno dei punti da rispettare assolutamente, di imboccare l’autostrada.
Per la notte abbiamo pernottato in una delle due stamberghe nella cittadina in cui ci siamo fermati, Larache: sporca più del dovuto, brutta, con persone che sembravano uscite dal manicomio. Potevano anche proseguire, ma Niko era indisposto dal punto di vista dello stomaco (diciamo così) e quindi gioco forza ci siamo dovuti fermare in questo paese gabbia di matti: l’ideale per trascorrere la nostra ultima notte in Marocco. In questi due giorni siamo stati sempre fermati dalla polizia all’entrata di ogni centro abitato per controlli.
Larache-Tangeri km 130
Oggi riprendiamo il traghetto che ci riporterà in Italia. Nulla da raccontare fatta eccezione che abbiamo sbagliato il porto recandoci in quello cittadino ( ovvero dove si salpa per Tarifa, Spagna), perdendoci nel centro della città peraltro moderno e pulito, non ricordandoci che Tangeri Med dista 33 chilometri. Trovato il porto giusto abbiamo aspettato di imbarcarci sotto ad un diluvio con folate di pioggia incessanti, riparandoci accucciati vicino alle nostre moto. Infine ci siamo imbarcati fradici, esattamente come è accaduto all’andata.
Mi sto godendo il sole caldo sul ponte della nave e non posso fare a meno di pensare a questo nostro viaggio. La prima cosa che mi viene in mente è quella di sentirmi fortunato, fortunato per aver realizzato questo sogno ad occhi aperti : il Marocco. Questo paese con le sue zone montagnose a nord, dove la gente ti ferma ad ogni curva per venderti l’hashish; dove in questa stagione le strade soprattutto in mezzo ai paesini si riempiono di fango; dove abbiamo incontrato il freddo, quello vero; dove i panorami assomigliano ai nostri alpini, giusto per non farti sentire inizialmente così distante da casa.
Questo paese con la sua zona collinare, forse la più piccola per estensione, ma forse la più curata, dove gli ulivi sono piantati praticamente dappertutto ; dove sembra di percorrere delle stradine famigliari per poi trovarsi difronte una truppa di bambini che ti salutano animatamente e allora capisci che sei da tutt’altra parte e ti rituffi in questi sali e scendi che le colline ti offrono. A mio avviso è la zona più dolce , e non ti prepara per nulla a quella più selvaggia, improvvisa che si apre davanti alle tue ruote : la zona desertica, intrigante, affascinante ,irresistibile, tanto da indurci a modificare i 3/4 del nostro itinerario.
Non riesco a trovare un elemento in comune. Anzi a pensarci bene uno esiste: le persone incontrate, sempre pronte a stringerti la mano, a fare quattro chiacchere, a regalarti un sorriso, a darti una mano (in alcuni casi dietro ad una piccola ricompensa, certo, ma è nella loro indole e nella loro natura), facendoti sentire a tuo agio in un paese completamento diverso in tutto e per tutto dalla nostra nazione.
Prima di imbarcarmi provavo un po’ di paura, quella sana e giusta paura dettata nell’intraprendere un viaggio extraeuropeo. Tutti questi timori sono svaniti percorrendo i primi chilometri in terra marocchina, grazie alla loro ospitalità, un tassello della loro cultura.
Durante i preparativi ci siamo detti di iniziare a scoprire questa terra che poi, forse, saremmo ritornati. Da questo momento e in futuro ci sarà solo il quando, perché la voglia di percorrere nuovi raid in questo paese è fortissima.
I marocchini, per salutarci e augurarci buon viaggio, ci hanno sempre detto “Inshallah”. Mia zia, di anni 104, mi dice sempre prima di ogni partenza “A Dio piacendo”. Credo proprio che il significato di entrambi sia simile e che vogliano trasmettere lo stesso identico messaggio. Personalmente li prendo entrambi e li custodisco per i futuri viaggi, dovunque mi spingerò. Chissà, magari per arrivare a quella mitica città sull’oceano, meta finale di un rally estremo che ha fatto emozionare intere generazioni.
In fondo noi piccoli osservatori in movimento sulle nostre fedeli cavalcature, come i grandi viaggiatori motociclisti, siamo e resteremo inguaribili romantici sognatori, e sognare ad occhi aperti è un privilegio assoluto.
Marco Tarello