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Solchiamo una splendida pista sabbiosa che corre lungo il mare per svariati chilometri e ci gustiamo un frugale panino condiviso, godendo della vista di questa meraviglia. Ma i chilometri da percorrere sono ancora molti e alle 18, con i miei tre compagni, scopriamo che ci attendono ancora un centinaio di chilometri di off e quindi ancora diverse ore di guida nel buio più completo.
Arriviamo verso le 21 a Fort Bou-Jerif , dove troviamo un'interessante struttura costruita su una vecchia fortificazione della legione straniera francese. Tra le varie possibilità di sistemazione scelgo di dormire nelle tende nomadi, la soluzione più spartana. Dormo su un materasso posto in terra, e la notte corre veloce e serena.
I chilometri scorrono veloci e di buon passo, arrivo alla Plage Blanche, dove ci attendono una 40ina di km di galoppata lungomare.
Le moto sono le prime ad arrivare alla spiaggia; la consistenza della sabbia è perfetta.
Sono momenti incredibilmente intensi. Galoppiamo a 110 km/h a pochi metri dal mare, il profumo, la vista, il grido in volo dei gabbiani che si alzano al nostro passaggio, ci riempiono di gioia.
Attraversiamo una serie di piste dure, che tagliano alcuni chott, i laghi secchi. Sembra di correre su un terreno lastricato naturalmente da rombi irregolari. Lo sguardo si perde in un piatto innaturale e omogeneo, dove non si hanno punti di riferimento se non la traccia del tuo GPS, che indica la retta via.
Giungo al wp del ritrovo intorno alle 17 e decido, erroneamente, di alloggiare in un infido alberghetto. Mi risparmio così il montaggio della tenda ma certo non mi godo una doccia delle più tonificanti... l'Afric c'est l'Afric!
Viste le condizioni delle mie gomme (non sono partito con la coppia nuova) e tenuto conto delle ore di luce che ho davanti, decido di intraprendere l'operazione di sostituzione con una coppia nuova di pacca. Scelta temporale azzeccata, perchè nei giorni a venire non avrei mai più avuto il tempo di farlo, come vedremo.
La serata è speciale, visto che è l'ultimo dell'anno, e viene scandita dal festeggiamento dei due capodanni.. già, sia quello con orario italiano e spagnolo che quello portoghese, con il quale vengono a coincidere anche i rituali fuochi d'artificio. Dopo gli auguri, baci ed abbracci e qualche bicchiere di vino, la carovana si addormenta velocemente.
La giornata si apre con un cielo freddo e terso. Oggi ci aspetta un lunga cavalcata e dopo aver dedicato alcuni minuti alla foto di copertina di questa edizione della Dakar Desert Challange, partiamo su piste semplici e veloci. Mi sento pago del gusto del gas e comincio a provare il desiderio di dedicarmi ad immortalare immagini fotografiche. La cosa mi affascina e mi gratifica, tendo a ridurre la velocità e la sensazione di pace e solitudine mi pervade. Mi sento in pace con me stesso ed assaporo con un gusto nuovo la guida.
Arriviamo verso le 18 nella città di Dakla, una città sui generis per essere in Marocco. Si affaccia su un golfo naturale ad uncino e per la sua particolare collocazione geografica è diventata nel tempo un famoso centro che raduna moltissimi appassionati di kyte surf, anche locali, e dunque infrange molte regole e tabù solitamente presenti in un territorio caratterizzato dall'islamismo.
L'albergo è caro ma molto accogliente e ci permette, dopo la solita pizza di rito, di confortarci.
Superata la dogana marocchina e le sue pratiche di rito ci addentriamo in questa terra con una certa circospezione. Il tratto è molto accidentato e gli fanno da cornice, in una distesa piatta, pile di gomme e carcasse di macchine bruciate ed abbandonate, rendendolo, in maniera realisticamente sconfortante, un immaginario paesaggio post-atomico, alla Blade Runner per capirci.
Ad attenderci, dopo il percorso, ci sono le guardie mauritanesi, con la loro bandiera verde, che ci riservano un controllo veramente inatteso. Prendono le impronte digitali di entrambe le mani e le foto del viso, mi chiedo ancor oggi a quale scopo!
Le ore scorrono ed il cielo tende al tramonto quando riusciamo a lasciare il posto di frontiera, scortati da due camionette di militari, che passeranno la notte circondando il nostro campo, a mio avviso più per impiegare il loro tempo che per effettiva esigenza.
Giunti al wp che individua il campo è oramai sopraggiunto il buio, montiamo le tende aiutati dai fari dei mezzi e ci prepariamo al bivacco.
Raggiungo la spiaggia, dove mi attende un terreno compatto, sfreccio a pochi metri dal mare, quasi lambisco le onde. Dune sinuose segnano il confine della giusta via. Gruppi di gabbiani si alzano al mio passaggio in volo.
Chiudiamo la giornata con un tratto d'asfalto ed entriamo a Nouakchott, la capitale della Mauritania. Ho modo di toccare dal vivo un incredibile e disordinato traffico autoveicolare: mezzi a 2 e 4 ruote, dalle carrozzerie arruginite, con innumerevoli parti mancanti, si immettono nel traffico da tutte le direzioni, senza degnare di uno sguardo chi soppragiunge. Arrivare interi davanti al nostro Auberge è un vero miracolo.
Oggi ci attende il Park National Diawling, dichiarato patrimonio naturale dell'umanità dall'UNESCO, che ospita numerose specie animali, dai fococeri ai molti volatili. Ci perdiamo ad ammirare i giochi degli stormi degli uccelli, voli orchestrati, in perfetta sintonia, da un direttore fantasma.
L’attesa alla dogana senegalese è veramente lunga e snervante, complice una inaspettata temperatura di 33 gradi: dobbiamo spesso sostare all’ombra per trovare un po’ di refrigerio.
Variopinti venditori ambulanti esibiscono le loro merci in maniera pittoresca e simpatica.
Entriamo a St Luis, scortati dalle sirene della polizia che blocca il traffico, più per motivi di festa che di reale bisogno. E’ un concerto di musica e colore.
L’albergo con piscina cattura i nostri occhi e ci rilassa.
In Senegal ci attende un cambiamento radicale: le case sono meno fatiscenti ed i locali indossano indumenti dai colori forti e vivaci che mettono allegria nei nostri cuori.
Attraversiamo decine di mercati colorati in cui ambulanti esibiscono in ogni dove le loro merci e ne veniamo affascinati.
Affrontiamo un magnifico percorso, più di 150 chilometri di sabbia soffice, dove incontreremo, per la prima volta, i baobab, giganteschi alberi secolari dal fusto maestoso, tipici della savana africana.
L’adrenalina mi invade la testa, questo sarà il più bel pezzo di offroad di tutto il viaggio.
Durante questo tratto cade un motociclista e si sloga la spalla: il suo viaggio finirà qui.
Arriverò solo in tarda serata in albergo, alle 22. Durante un controllo del mezzo scopro di avere due viti spanate tagliate all’interno del telaio, che solo con l’aiuto di due incredibili meccanici dell’organizzazione e grazie a mezzi di fortuna riusciamo a montare giusto in tempo per poter riposare due ore prima della tappa successiva. Come in una vera Dakar!
Nella mattinata avremo il primo intoppo di una certa importanza. Un amico motociclista ha un improvviso cedimento fisico e viene prontamente soccorso sulla pista dall’organizzazione, che gli pratica gli interventi del caso. Scopriremo solo dopo che è stato un attacco di malaria. Problema completamente risolto dopo il suo forzato rimpatrio.
Siamo alla dogana con la Gunea Bissau e non ho il visto sul passaporto, poichè mi è stato rubato pochi giorni prima della partenza e non ho avuto il tempo sufficiente per riottenerlo. Sono teso, d’accordo con il referente non consegno il documento, nella speranza di confondermi con la massa dei partecipanti.
Riesco ad entrare. Sono un clandestino. Ora passerò le successive 36 ore preoccupato, ma ci tenevo troppo ad arrivare a Silo Gambasse, dove consegneremo agli abitanti del villaggio materiale per un progetto di assistenza scolastica.
L’arrivo è quanto meno emozionante: centinaia di persone ci attendono festanti , danzando al suono di fischietti e tamburi, noi siamo sporchi di fango e sudore ma felici. Stato di gioia generale.
Dopo qualche problema intercorso con i doganieri, sempre risolto dall’organizzazione, entriamo in Gambia, antico prottetorato Inglese , dove, a differenza dei paesi sino ad ora attraversati, troviamo un livello di cultura superiore. Tutti, compresi i bambini, parlano un discreto inglese.
Per giungere in Senegal dobbiamo attraversare il fiume Gambia. Due traghetti fanno da spola, sono lenti e la colonna, numerosa, viene smaltita solo dopo diverse ore di snervante attesa .
Sostare all’imbrunire sulle sponde di un fiume, in una zona malarica, non è proprio del tutto consigliabile.
L’albergo che ci attende è piuttosto lussuoso, ma alle 22 ha già chiuso la cucina. Improvvisiamo così una tavolata con un vastissimo assortimento di scatolette!
L’arrivo è una generale emozione percepibile in molti visi, ci si scambia abbracci, fioccano pacche sulle spalle, tutta la carovana giunge e, a mano a mano, riempe disordinatamente il fronte mare, sino al momento organizzato per la foto che concluderà l’avventura.