Viaggi. Planet Explorer 3, USA National Park

Viaggi. Planet Explorer 3, USA National Park
Moto e viaggi sono evidentemente un binomio che piace: Planet Explorer non conosce crisi e così, per la sua terza edizione, ha deciso di sbarcare oltreoceano, negli Stati Uniti | L. Bracali
4 novembre 2013


1. LAS VEGAS-KANAB: 242 KM


Moto e viaggi sono evidentemente un binomio che piace: Planet Explorer non conosce crisi così, per la sua terza edizione, ha deciso di sbarcare oltreoceano, negli Stati Uniti. Ma non nella solita Route 66, bensì attraverso un itinerario ad anello per così dire che, partendo da Las Vegas, in 2.500 chilometri ci ricondurrà nella capitale del peccato dopo aver attraversato una manciata abbondante fra i più bei parchi nazionali americani. Da Zion a Bryce, dal Grand Canyon ad Antelope, eppoi la Monument Valley, Arches e Mesa Verde. Insomma il meglio del meglio in quanto a geologia e grandi paesaggi.
Las Vegas è una città dalla doppia identità: quella diurna, molto più flemmatica e sonnolenta e quella notturna, basata quasi esclusivamente sul sesso e sul gioco d’azzardo. Ma la capitale del Nevada possiede anche forti richiami motoristici, ci sono moto un po’ ovunque e di tutti i generi, dispone persino di un circuito dove il pluricampione della classe 500, Freddie Spencer, ha la sua scuola di guida sportiva. Noi, decisamente molto più modesti, non puntiamo ad una motogp anzi, andiamo su tutt’altra specie ed il modello prescelto per questa terza edizione è una Honda NC700 X, una moto votata al comfort e che adora i grandi viaggi, una moto dalla cilindrata non troppo spinta ma dall’altra lato contenuta nei pesi e con ottime doti di maneggevolezza. Anche nei consumi si difende assai bene, nonostante negli Stati Uniti la benzina non rappresenti certo un costo importante.
La nostra avventura parte dal Carter Motorsport, dealer plurimarca, il cui motor shop è così bello, grande e ben fornito da farci intendere che da questa parti, come dicevamo ad inizio articolo, di crisi non se ne parla… Nonostante sia una città praticamente sorta in mezzo al deserto, Las Vegas ha un traffico molto sostenuto ed uscire dal crocevia autostradale nell’ora di punta è il primo fra i tanti impegni imprevedibili. La meta prescelta per la prima tappa è Kanab, una tranquilla cittadina che vive alla spalle di un animatissimo turismo diretto ai grandi parchi, in modo particolare a Bryce canyon. Il lungo tratto autostradale, ad onore del vero, non è dei più esaltanti, ma le miglia successive, che percorreremo con ritrovato entusiasmo, saranno di uno spettacolo assolutamente unico. Negli Stati Uniti i parchi nazionali sono un po’ il fiore all’occhiello di questo paese che, proprio per combattere la forte crisi economica, giusto qualche settimana fa li aveva chiusi, evitando sprechi inutili vista la scarsa affluenza di persone. Entrare a Zion è un po’ come varcare la soglia della Svizzera o percorrere la Orchard Road di Singapore. L’ordine, la cura, la pulizia, anche di una semplice panchina, rasentano davvero la perfezione. Zion è il parco più meridionale dello Utah ed è in pratica un microcosmo fatto di tanti piccoli canyon, cascate e grotte di arenaria stratificate. Ciò che lo contraddistingue, rispetto agli altri parchi, è la forte presenza d’acqua e ciò che lo rende ancor più affascinante sono i petroglifi e le pitture rupestri realizzate dai Pueblo ancestrali e prima ancora dai Fremont. Segno evidente che questa terra era abitata già da qualche millennio. L’asfalto rossastro, come le pietre che lo circondano, è una perla per chiunque, ma per i motociclisti ancora di più. Il grip è elevatissimo, a livelli di circuito, e lo snodarsi di curve e controcurve, tornanti, lievi saliscendi è l’invito a gustarsi un piacere di guida assoluto.

Video Giorno 1


2. KANAB-BRYCE CANYON-KANAB: 265 KM


Come secondo giorno non ci è andata affatto male e anche se la temperatura al mattino era di soli 4 gradi, almeno il sole ci ha dato sostegno per tutto il giorno. Un giorno che è iniziato all’insegna di due impegni fuoriprogramma: una insolita lotteria per riuscire ad accaparrarci uno dei dieci posti che vengono ogni giorno sorteggiati fra le centinaia di richieste per accedere a “The Wave”, una meraviglia geologica di queste terre e un’intervista, in diretta Skype, con Licia Colò.
Entrambe le cose sono andate positivamente e, grazie alla generosità di chi ci precedeva di un solo posto, siamo riusciti ad accaparrarci così l’ultimo estratto. Alle 11 ci mettiamo in marcia, nettamente in ritardo rispetto alla tabella ma cerchiamo di recuperare ugualmente il tempo perduto forzando un pochetto il ritmo. La NC non è certo un missile ma noi la spremiamo a fondo. La lancetta del contagiri supera a fatica i 5.000, il motore gira con una regolarità impressionante e, anche forzandolo al massimo, il tachimetro sta fisso sulle 90/95 miglia, certo non proprio una velocità da codice visto che la 89 North State Highway consente punte massime di 65 miglia orarie. Per le strade americane ci vorrebbe la RC 213 di Marquez: sono larghe ed infinitamente lunghe: si percorrono per decine di minuti tratti che non sembrano mai terminare, alternando dirizzoni a curve ad amplissimo raggio. Gran bei paesaggi, ma talvolta anche noia assoluta.
L’antico villaggio di Bryce vuole ricordare i tempi che furono, quelli del far-west un po’ classicheggiante e mentre ci scorrono davanti piccoli frammenti di storia, il main-gate di Bryce ci da il suo benvenuto. Il primo colpo, per chi non è abituato a paesaggi del genere, può essere molto forte, addirittura impattante, da sindrome di Stendahl, come quando i giapponesi si collassavano di fronte alla cupola del Brunelleschi a Firenze. Bryce è davvero impressionante, uno spettacolo superlativo, provate ad immaginarvi una serie infinita di anfiteatri e canne d’organo che si ripetano in lunghi filari e si perdono all’infinito. Ma oltre ad un gioco di forme, i pinnacoli di Bryce sono una straordinarietà anche nei colori che si infiammano con il sole, ma si accendono di una luce diafana, a tratti dorata, altre volte trasparente, quando vengono illuminati dal retro. Una serie di piccoli sentieri si snodano al suo interno e percorrerli a piedi è una delle grandi esperienza da fare, giusto per confrontarsi con la smisurata grandezza di questa natura che ha saputo modellare autentiche opere d’arte scolpite dal vento e dalla pioggia negli ultimi millenni. Le migliori vedute del canyon sono tutte facilmente raggiungibili percorrendo i 27 chilometri di “scenic drive” che si snodano verso sud seguendo il bordo del canyon e i punti più spettacolari restano Inspiration, Bryce, Sunrise e Sunset Point dove conviene intrattenersi piacevolmente anche ben oltre il tramonto. E chi come noi non ho prenotato un camping in zona Bryce, ma per ragioni logistiche deve rientrare a Kanab, dovrà farsi un’altra ottantina di chilometri che percorsi nel buio più assoluto e magari con temperature prossime agli 0°, non sono la più piacevole conclusione di una lunga giornata.

Video Giorno 2




3. KANAB-GRAND CANYON-PAGE: 380 KM


Ieri sera è stata una di quelle serate che ti ripagano da ogni fatica. Con il team video abbiamo deciso per una volta tanto di abbandonare il mezzo di appoggio per le riprese, un motorhome da oltre 10 metri guidato da quello che chiamo “twin brother”, un gigante buono di 180 chili, per andare a cena in un ristorantino tipico di Kanab. Ci dicono che in una città a maggioranza mormonica la domenica sera sarà difficile mettere qualcosa sotto i denti, ma con il proverbiale colpo di fortuna riusciamo invece a trovare uno dei pochissimi locali aperti. Una specie di self-service che alterna piatti di manzo a maiale con contorni vari, quello che ci voleva per riprendersi un po’. Ma la vera delizia non è stata nella cucina, buona ma niente di eccezionale, quanto alla musica country cantata e suonata da Mike Ewing, un tipo molto western-style, baffo lungo e stivali alla cow-boy, una di quelle persone però capace di incantarti al ritmo delle sue note. Al mattino successivo il team di Planet Explorer si divide in due gruppi per ragioni di riprese: Danilo, uno dei due video-maker sorteggiato in una lotteria federale sarà il nostro inviato a The Wave, una formazione rocciosa così straordinaria il cui accesso viene limitato solamente a 10 persone al giorno. Già di per sè essere estratti al primo tentativo, in una lotteria che viene regolarmente svolta alle 8.30 di ogni mattino, è un bel colpo di fortuna, per cui accettiamo la buona sorte e spediamo in Danilo nel Paria Canyon. Incastonata come una perla di rara bellezza all’interno della Vermillon Cliffs Wilderness, The Wave è un’onda pietrificata: una serie di strati roccia posizionati una sopra l’altro che si snodano dolcemente creando un’immagine iridescente, fatti di mille sfumature di arancio. Ci vogliono quasi due ore di cammino per raggiungerla e non è nemmeno così facile localizzarla vista la totale assenza di segnaletica. E non tutti ci riescono, tanto che negli ultimi mesi tre persone non hanno più fatto ritorno…
Visto che con la NC700X sarebbe stato impossibile giungere fin lì, decido di andare in altra direzione, puntando la 89° in direzione sud. Il vento soffia fortissimo, ma così forte che ci vogliono buone doti di equilibrismo per restare in sella. La NC ondeggia vistosamente sotto le insistenti raffiche di vento, il cupolino rastremato offre una superficie limitata all’effetto vela ed è forse questo ad evitarci brutte sorprese. Quelle sorprese che poi arriveranno con l’ingresso al North Rim del Grand Canyon, dove vengo fermato da un ranger che dopo avermi visto fotografare i fire-man del controllo incendi boschivi, mi contesta una distanza troppo ravvicinata rispetto al mezzo che mi precede. Mezz’ora di sosta, controllo sulla moto per la certezza che non sia rubata e poi mi dice che in Arizona questo genere di contestazioni vengono accompagnate da 300 dollari di multa. Che non so per quale ragione decide poi di non farmi…
Fra i 30 parchi nazionali più suggestivi degli Stati Uniti sicuramente il Grand Canyon occupa il primo posto, sia per fama che per immensità del paesaggio.
Generato dall’erosione del fiume Colorado, il Grand Canyon è lungo 446 chilometri, profondo fino a 1.600 metri ed in alcuni tratti ha un ampiezza di ben 27 chilometri! Ma oltre ad essere uno degli spettacoli più belli da ammirare in natura è altrettanto affascinante la sua storia più recente, quando 10.000 anni fa, nel tardo pleistocene, i Paleoindiani andavano qui a caccia di bradipi giganti e di mammut.

Video Giorno 3




4. PAGE-ANTELOPE CANYON-BUFF: 280 KM


Page è una cittadina strana, sorta dal niente nel 1957 e sviluppatasi attorno ad una enorme power-station che brucia qualcosa come 250.000 tonnellate al giorno di carbone, producendo energia elettrica per lo Utah, l’Arizona, il Nevada e persino per una parte della California. Mi viene da sorridere, per non dire che mi assale lo sconforto, se penso a qualche secolo fa quando in queste sconfinate pianure del far-west i Navajo scorrazzavano indisturbati, padroni assoluti delle loro terre. Oggi è cambiato molto per loro ma anche per noi, e se noi “musi gialli” abbiamo il privilegio di poter ammirare la sconfinata bellezza di questi territori, dall’altro lato non siamo certo stati riconoscenti nel salvaguardarli anzi, ci stiamo impegnando assai nel produrre quanto più inquinamento possibile.
A Page si viene essenzialmente per due cose, la prima è per ammirare quella straordinaria formazione a ferro di cavallo chiamata Horseshoe Band, un canyon dalla forma semi-circolare attorno al quale scorre il fiume Colorado, ci vogliono 50 minuti di cammino per raggiungerla ma è sicuramente uno sforzo che vale la pena di fare. Noi ci abbiamo rinunciato perché la luce non era quella giusta; il cielo restava coperto di nubi e lo spettacolo ci avrebbe disatteso. In compenso ci resta sempre la seconda cosa da vedere che in realtà è la prima, anche per ordine di importanza. Page, come dicevamo all’inizio, è l’antica terra dei Navajo ed il loro tesoro più prezioso è racchiuso fra le rocce. Antelope è una meraviglia assoluta, un canyon modellato in milioni di anni dall’erosione delle rocce di arenaria a causa dell’acqua e del vento che hanno creato forme così seducenti da ricordare le opere scolpite del marmo dai grandi maestri del rinascimento. Ma con un’aggiunta in più: la luce. Quella luce diafana che filtra dalle feritoie della roccia a piccoli fasci ed illumina di un rosa soffice o di un arancio intenso le pareti di arenaria. Per i Navajo è un punto di riferimento assoluto della loro terra, un luogo sacro, tramandato da secoli e ancora vivo nella loro spiritualità. Raymond M. Chee Sr. ha 52 anni suo figlio che porta il suo stesso nome, ma è Junior, ne ha 22. Ci parla con il suo sguardo profondo delle tradizioni, di quelle tradizioni che i suoi antenati gli hanno tramandato e che per lui hanno un valore inestimabile. La lingua è la prima fra queste e Raymond non si arrende all’idea che fra 30 anni saranno proprio gli idiomi Navajo a scomparire, fagocitati dall’inglese o, peggio ancora, dallo slang americano. Raymond ci invita a seguirlo a casa per mostrarci la sua arte, una serie di sculture in legno intarsiate a mano che raffigurano indiani in scene di caccia o di battaglia. “E’ così che tramando la cultura Navajo – ci spiega Chee sr. - con queste creazioni riesco a narrare storie vissute nelle scuole, ai più piccoli, mantenendo viva la nostra lingua”.
Lo ascolteremmo per ore ma il tempo corre più delle parole e la nostra prossima tappa è Buff, un paesotto ai margini della Monument Valley. Saranno 280 chilometri da percorrere al buio e sotto l’acqua, con un freddo cane! Uno dei trasferimenti più duri del viaggio, dove l’unica cosa che abbiamo apprezzato è stato il cambio automatico della nostra NC 700X che, oltre ad una grande fluidità negli innesti, ci ha tolto un bell’impegno nella guida, mantenendo oltretutto ridottissimi anche i consumi se impostato in modalità D.

Video Giorno 4




5 BUFF-MONUMENT VALLEY-BUFF: 160 KM


Sicuramente il consumo è una delle qualità che più apprezziamo della Honda NC700X e lo diventa ancor di più se ci troviamo in America. Fare il pieno è un vero spasso, una delle cose che più ci piace, che fa bene al portafoglio, che non ci fa rimpiangere affatto l’Italia. Con 10 dollari di verde il serbatoio è così pieno da schizzare fuori e in più ti fanno pure il resto! La tappa di oggi, chilometricamente parlando, è assai facile, da un punto di vista paesaggistico invece è un altro grande high-light di questo viaggio. Il team di Planet Explorer, che per questa edizione è cresciuto a 5 persone proprio per realizzare una vera e propria produzione televisiva, parte ben motivato a caccia di immagini in quella che viene considerata l’icona per eccellenza, a livello naturalistico degli Stati Uniti.
La Monument Valley a colpo d’occhio ti lascia senza fiato e senza parole. L’immensità del paesaggio è talmente sconfinata da non lasciar spazio nemmeno ai pensieri. Lo si capisce già qualche chilometro prima di giungere al main-gate che stiamo varcando la soglia di un altro mondo, un mondo fatto di giganteschi monoliti di oltre 600 metri di altezza. Queste sculture naturali, formate da roccia e sabbia, sono in parte sedimentaria e in parte dovuta ai fenomeni di erosione. Tutta la zona fa parte della Navajo Nation Reservation ed è abitata da una comunità di nativi che ne gestiscono le attività dell’intera aerea, traendo fra le altre cose ottimi profitti, a partire dal discusso View Hotel che ha soppiantato uno storico campeggio.
Ma l’indiscussa fama della Monument Valley nasce dal cinema degli anni ’40, esattamente nel 1946, quando Henri Fonda, protagonista di “Sfida infernale”, spingeva la sua mandria fino a Tombstone. John Ford, sempre a cavallo del secolo scorso, ci ambientò ben 7 film ma la star di tutti i tempi, quella che ha lanciato la Monument Valley come set cinematografico per eccellenza dell’ambientazione far-west, resta il mitico John Wayne che ha interpretato qui i suoi più grandi film (Ombre rosse, Sentieri selvaggi), dichiarando lui stesso che dalla Monument Valley “non ci si riesce ad allontanare”. Pensate che persino Michael Jackson in Freejacks e Tom Hanks in Forrest Gump si sono recati qui e come non ricordare lo sfigato Wily Coyote a caccia dell’imprendibile Beep-Beep! Nel 1937 mr. Eastman Kodak realizzò la sua Kodachrome e in quello stesso anno Josef Muench (l’uomo che scagliò un pomodoro ad Adolph Hitler) scattò la sua prima foto a colori. Indovinate dove?
La strada che attraversa la vallata ha tutto il fascino del tempo, si può percorrere con qualsiasi mezzo ma è piuttosto malridotta. Sebbene avessimo a disposizione un fuoristrada 4x4 credo che non ci sia nemmeno da chiedersi quanto possa essere emozionante fare il periplo della Monument Valley in sella ad una moto. Le gomme totalmente stradali della nostra NC non ci hanno favorito nei tratti più sabbiosi dove si affondava, perdendo aderenza con grande facilità. Le sospensioni, decisamente morbide su asfalto, in questo off-road a tratti misto hanno lavorato alla perfezione, rendendo il mezzo perfettamente controllabile. Solo una passeggiata a cavallo può avere un fascino più evocativo…

Video Giorno 5




6. BUFF-MESA VERDE-MOAB: 415 KM


Stamani ci siamo svegliati con un bel sole ma anche con un luccicante strato di brina che ricopriva la moto e soprattutto la sella. -2° segnava il termometro e la voglia di mettersi in marcia era pari allo 0 assoluto. La partenza è slittata di un’ora circa, giusto per far sciogliere quel sottile strato di ghiaccio che in alcuni tratti ricopriva la strada e per rendere il nostro viaggio un po’ più sicuro, nonostante i segnali di attraversamento cervi abbondino un po’ ovunque da queste parti, e molti siano anche gli animali che si trovano accasciati lungo il margine. Questo non è sicuramente un buon segnale per i motociclisti.
Gli oltre 160 chilometri che ci separano dal nostro camping di Buff fino a Cortez, per poi entrare a Mesa Verde sono fra i più freddi mai percorsi. L’abbigliamento Befast, giacca e pantaloni Four Climath, sono davvero provvidenziali: i 3 strati ci mantengono caldi corpo, braccia e gambe. L’unica nostra mancanza, ma le previsioni non davano certo questo meteo, è stato non portare guanti invernali e un sottocasco adeguato.
La strada che conduce a Mesa Verde è piuttosto piatta e dritta, priva di quelle emozioni di guida alle quali eravamo finora abituati. Il freddo continua a pungere finché non arriviamo a Cortez, in Colorado, da qui mancheranno ancora 9 miglia prima dell’ingresso al parco, ma almeno la temperatura ha iniziato a superare lo zero. Forse meno conosciuto degli altri parchi nazionali americani, Mesa Verde é comunque un sito Unesco, per cui resta patrimonio mondiale dell’umanità. E’ qui che si trovano gli insediamenti degli Anasazi, conosciuti anche come gli antichi popoli ancestrali, che circa 1500 anni fa, ben prima dell’arrivo dei colonizzatori europei, scelsero Mesa Verde come loro dimora. Gli Anazasi, di cui non si conoscono nemmeno le origini con certezza, vivevano inizialmente in abitazioni a pozzo, successivamente, con il passare dei secoli, e parliamo di circa 500 anni dopo, iniziarono ad affinare le loro tecniche costruttive, realizzando insediamenti maggiori, su più livelli, e con l’ausilio di fango e pietre. Dovevano essere un popolo davvero particolare, una società attivissima dove ognuno aveva un suo ruolo lavorativo, compresi i bambini. Oggi di questa civiltà restano delle rovine ben conservate, anche troppo se vogliamo, dove si perde un po’ il pathos dell’autenticità.
Certo che gli americani talvolta sono proprio strani. Mentre siamo in attesa di partire per il tour guidato assieme al ranger di turno, che nel frattempo sta dando spiegazioni ad un nutrito gruppetto di persone, a voce bassissima mi rivolgo a Laura, la mia video-maker e blogger, dicendole cinque parole a numero. “Chiudi la bocca” – mi apostrofa con tono arrogante il Signor Ranger e se continui a parlare sono 500 dollari di multa. Dopo avergli risposto per le rime, ma sempre con assoluto stile ed eleganza, al termine del tour mi reco in direzione a fare un bell’esposto. Ricevo tanto di scuse ed una busta già indirizzata dove poter esporre il mio reclamo. E pensare che i parchi americani, proprio per la grande crisi che attraversa anche questa nazione, sono stati chiusi fino ad una decina di giorni fa. Evidentemente il signor Tom non pensa al suo futuro…
La nostra NC fa dietro-front, direzione Moab, per percorrere altre 150 miglia non-stop ad eccezione di una sosta di servizio. Oggi è il 31 di ottobre e negli Stati Uniti si celebra un po’ ovunque una grande festa. Happy Halloween a tutti, anche a voi che da casa ci seguite!


Video Giorno 6




7. MOAB-ARCHES-SALINA: 330 KM


Stamani è una giornata particolare perché andremo a visitare l’ultimo dei 7 parchi nazionali in programma che, ad onor del vero, dovrebbe anche essere il più bello. Da Moab all’ingresso di The Arches sono solo una manciata di miglia, ma subito dopo aver passato l’ingresso ci rendiamo conto in quale meraviglia geologica stiamo entrando. Già di per se la strada è quanto di più bello un motociclista si possa attendere: una serie di tornanti in salita che fronteggiano pareti enormi in pietra arancio-rossastra, il tutto condito con un asfalto da far impallidire quello di una pista da MotoGp! La NC 700X scivola via con dolcezza fra i destra-sinistra del parco, le sospensioni sono un po’ soffici per viaggiare con tre valigie e una buona dose di attrezzatura fotografica, ma la stabilità non viene mai a mancare. Nonostante un mono-disco anteriore la frenata ha un intervento pronto e deciso, offrendo sempre la giusta modulabilità nell’intervento. Avremmo solamente preferito un cupolino un po’ più ampio visto che questa moto si adatta assai bene alle lunghe percorrenze, mantenendo forte la sua indole al mototurismo.
Cosa dire invece di The Arches? Una meraviglia nella meraviglia. La signora che avevo a fianco durante una salita lo ha definito un parco alla Disney, dove tutto è bello, perfetto e colorato in maniera surreale. Qui invece è tutto vero e viene da chiedersi come abbia fatto madre natura a disporre in maniera così ordinata e perfetta i suoi elementi. Pensate che questo parco nazionale conserva la bellezza di 2.000 archi naturali scolpiti in arenaria. Altra cosa decisamente affascinante è il fatto che le prime popolazioni di cacciatori-raccoglitori migrarono in questa regione circa 10.000 anni fa, alla fine dell’ultima era glaciale. Fra spirali, archi, rocce in equilibrio, pinne di arenaria e monoliti erosi a The Arches c’è davvero da rifarsi gli occhi anzi, ad essere in imbarazzo sul dove cominciare. Sicuramente gli high-lights del parco, le sculture di arenaria più monumentali sono tre: Double Arches che come dice il nome è un doppio arco, enorme ed in perfetto equilibrio su se stesso. Landscape è una formazione molto bella per la sua estensione in senso orizzontale ma il più visitato, il simbolo del parco, è Delicate Arch. Per raggiungerlo ci vogliono quasi 3 chilometri di cammino, per la sola andata ovviamente, in un percorso che in un tratto sale così ripido da far venir la voglia di tornare indietro. Una volta giunti alla vetta è superfluo ogni commento…
Alle 19 siamo di nuovo all’aerea di parcheggio pronti per metterci in marcia ed iniziare il nostro avvicinamento per la tappa finale a Las Vegas. Da Moab dobbiamo percorrere circa 800 km. e, giusto per spezzare un po’ il viaggio, decidiamo di fare un po’ di strada. Imbocchiamo la I 70 in direzione ovest ed un bel cartello segnala “no service for 106 miles”. La cosa non ci piace affatto anche perché non abbiamo taniche di riserva, ma partiamo comunque. La strada che percorriamo è buia, ampia, con pochi segnali e veramente non esiste l’ombra di una stazione di servizio. Dopo 2.30 ore di marcia inizia a lampeggiare la riserva, proseguiamo ancora per un po’ ma niente da fare. L’unica chance per non restare a piedi è tornare indietro di altre 12 miglia ad Emery, che più che un paese sembra una ghost-town. “C’è nessuno da queste parti???” grida Diego a squarciagola di fronte all’unica pompa di benzina. Ovvio, nessuna risposta. L’unica nostra fortuna è che accettano la carta di credito al box automatico. Anche per stasera siamo salvi, certo che se questa è l’America…

Video Giorno 7




8. SALINA-LAS VEGAS: 500 KM


Ci siamo. E siamo pronti per l’ultima tappa, quella conclusiva, che ci riporterà a Las Vegas in 500 chilometri dal nostro ultimo punto di sosta, piuttosto squallido a dire il vero. Il morale è ottimo perché siamo alla conclusione di un tour abbastanza impegnativo, sia come ritmo di viaggio che come ritmi di ripresa. Il live-tour resta un progetto piuttosto pesante non a caso, senza peccare di presunzione, credo sia l’unico, perché richiede davvero un supporto tecnico particolare non tanto per le foto e per lo scrivere i testi, quanto per la parte video. Girare ogni giorno qualche giga di materiale e ritrovarsi alla sera, dopo 12 ore di guida, ad iniziare la seconda fase operativa, beh non è proprio piacevole. Considerando che non si spengono i pc puntualmente prima delle 2 la notte.
Noiosa fino allo sfinimento resta la I 15 che ci porterà diretti fino a Las Vegas: una freeway enorme, come tutte quelle americane, che si dipana fra montagne e vallate ma che trasmette un effetto soporifero incredibile rispettando i severi limiti di velocità imposti ad 80 miglia. Man mano che ci avviciniamo alla città più caotica del Nevada i controlli della polizia naturalmente si intensificano, tanto che per essere certi di inchiodare qualcuno ci sono pure i pattugliamenti aerei… La NC 700X tiene il suo ritmo senza nessuno sforzo, il cambio automatico dual-clutch lavora bene sia in modalità D che in S ma visto le performance che gli vengono richieste è inutile esasperare i cambi di marcia. In poco meno di un’ora la temperatura cambia rapidamente e nel cuore della city ritroviamo l’estate! Certo Las Vegas è proprio una città assurda che succhia tanta di quell’energia per far girare soldi e sesso che ci potrebbe mandare avanti una nazione come la Finlandia. Basti pensare che ogni residente di Las Vegas consuma in media il doppio di un americano medio il che è tutto dire. In cifre si parla di 20.000 Kw e di 160 milione di tonnellate di Co2. I casinò arrivano a spendere anche 100.000 dollari al mese di elettricità, questo per darvi un’idea di che macchina infernale sia questa città, sorta in mezzo al deserto per lavare il denaro sporco di mafiosi ebrei ed italiani. Non si discute il fatto che Las Vegas abbia un fascino ed un carisma tutto particolare che la rende unica nel suo genere, un po’ come Venezia se vogliamo traslare il paragone. Di casinò e cappelle nuziali, dove si sposano 100.000 coppie all’anno, ce ne sono a perdita d’occhio ed un passaggio nello strip è un’esperienza da fare per rimanere sbigottiti di fronte a tanta grandezza ma anche molta opulenza, sicuramente cercata. Nella capitale mondiale del gioco d’azzardo tutto ruota attorno alle sale, per cui alla fine chi ne beneficia può essere il turista che si trova a dormire in hotel da sogno (ricordate gli incontri storici di Mike Tyson al Caesar Palace o all’MGM Grand?)per una sessantina di dollari e a mangiare succulente t-bone steak per soli 10 dollari. L’importante è non iniziare a giocare, o giocare imponendosi un limite, altrimenti si esce a tasche vuote…
E’ qui che incontriamo Dan, un tipo di quelli che fanno colpo sulle donne: capello lungo e biondo, braccia iper-tatuate, occhiale scuro e bandana in testa. Ovviamente una Harley gialla customizzata è il suo mezzo preferito. Dan ha fatto lo stock-broker per anni a Los Angeles e dopo aver guadagnato una montagna di quattrini si è sposato con una italo-americana, parente stretta di Al Capone, e si è trasferito a Las Vegas a fare ciò che più gli piace: il preparatore di moto oltre che il collezionista d’epoca e fra le 22 moto che possiede le Beta sono fra le sue preferite.
E con Dan ed un salto nel boulevard più movimentato al mondo chiudiamo così la terza edizione del nostro Planet Explorer. Quasi 3.500 chilometri percorsi in 8 giorni e 7 parchi nazionali visitati è il brevissimo sunto del nostro viaggio. E da Las Vegas salutiamo anche tutti i lettori di Moto.it dando appuntamento al Motor Bike Expo di Verona il 24 gennaio per il dvd ufficiale del viaggio!

Video Giorno 8


PARTNER DI VIAGGIO


Come abbiamo scritto all’inizio, nonostante la crisi, Planet Explorer va avanti anzi, ogni anno cresce e si migliora nei contenuti. Questo progetto, iniziato nel 2011 con Moto.it in Islanda è giunto oggi alla sua terza edizione e lo fa grazie ai nostri preziosi contributi dei nostri partner di viaggio che credono nel nostro live-tour.

BARDAHL: XTM Synt per motori 4 tempi, è l’olio per eccellenza anche per chi ama il turismo. Eccellenti prestazioni ma soprattutto protezione su pistoni e cilindri grazie all’esclusiva formula polar-plus. E con la terza edizione di Planet Explorer, Bardahl aggiunge nuovi capi alla linea di abbigliamento e merchandising.
FREQUENZA GRAFICA: azienda giovane, dinamica e brillante come la sua titolare. Dal web-project alla gestione dei social, Frequenza Grafica offre supporto nelle riprese video e nella post-produzione.
FUJIFILM: brand internazionale che non ha bisogno di presentazioni. La qualità e la compattezza delle sue nuove fotocamere mirrorless, lo rende uno fra i marchi leader a livello mondiale.
LIBURNUS: spedizioniere internazionale fra i più importanti al mondo per la gestione e la spedizione di carichi eccezionali o fuori-sagoma. Dai ponti alle gigantesche talpe per la realizzazione di gallerie, la nostra Honda non poteva che finire in mani migliori!
MACOTA: PLC 200 è un prodotto semplicemente straordinario, capace di ridonare lucentezza e trasparenza a fari e cupolini come nuovi. Il “Gonfia & Ripara” talvolta può essere indispensabile.
MOTOABBIGLIAMENTO.IT: leader italiano nella vendita on-line di abbigliamento per moto, ci ha fornito il completo Four Climath prodotto da Befast e importato in esclusiva. Cordura su giacca e pantaloni e triplo strato, assicurano protezione e riparo in ogni condizione climatica. Come nel nostro viaggio che è andato dai -5° ai +24°.
MOTOR BIKE EXPO: uno sponsor un po’ anomalo per un viaggio, ma del resto la fiera italiana più ambita dai custom-bikers e dai preparatori, non poteva che fare la sua presenza live nel mondo a stelle e strisce!
KAPPA: borsa soffice da bauletto e casco, il KV-10, un integral-cross pratico ed ergonomico, ben areato e molto silenzioso. E soprattutto leggero.
TCX: in viaggi del genere fondamentale è la scelta dello stivale. Con i suoi Touring TCX offre il perfetto mix fra calzata, traspirabilità ed impermeabilità. Il comfort è in assoluto la sua dote migliore.
UFO PLAST: i guanti Ufo Plast sono leggeri e traspiranti, il paraschiena, oltre a una valida protezione, è un supporto ideale per i lunghi viaggi.

E poi non dimentichiamoci di ringraziare Honda ed il buon Costantino Paolacci che ci ha dato la sua piena disponibilità come già accadde lo scorso anno.
Un grazie va a tutto il mio team che da una persona in Islanda, quest’anno è salito a quattro! Jim Trombley, eccellente location manager, Danilo Musetti, instancabile operatore video, Diego Nicoletti, video maker e fantasioso editor e Laura Scatena che, fra riprese di back-stage e pilotaggio del drone, ha saputo sorprenderci.
Ma se non ci fosse chi pazientemente pubblica ogni mattina le notizie live sul web, Planet Explorer non avrebbe senso. Ecco perché un grazie speciale va speso per Cristina Bacchetti e per tutto lo staff di Moto.it.

Luca Bracali
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