20 anni di sport. Despres: “Ho vinto 5 Dakar… ma quel 2007!”

20 anni di sport. Despres: “Ho vinto 5 Dakar… ma quel 2007!”
Ora Pilota Peugeot, Cyril Despres è il protagonista assoluto, insieme a un Catalano, di oltre dieci anni di Dakar in Moto. Pilota e stratega sopraffino, talento da vendere, per il nostro compleanno Cyril ci regala il racconto di quell’impresa
21 luglio 2017

Dakar, 21 Gennaio 2007. Ho vinto cinque volte la Dakar, ma per me l’edizione del 2007 è quella più carica di suspense e di grandi sorprese della mia storia. È andata così. Si correva con le 690 KTM. Moto straordinaria, anche quell’anno un nuovo prototipo, ricordo che era più leggera, più potente, con un grande serbatoio monolitico posteriore e con tutte le evoluzioni del caso. Pronta a vincere. E io anche. Si partiva da Lisbona, si attraversava il Mediterraneo e si sbarcava in Africa. Appena in Marocco, a 150 chilometri dall’arrivo della Tappa, ho rotto l’alberino del cambio. Difficile dimenticarsene, sento ancora l’amaro in bocca, l’arsura della contrarietà, quel senso di cambiamento così radicale che non ti sembra vero. La moto era rimasta in prima e, tu conosci l’Africa e il Nord del Marocco, correre su quegli altopiani piatti e dritti a una velocità massima che non doveva superare i 70 chilometri all’ora, era frustrante, difficile soprattutto per la testa. Ero partito per vincere, e non era ancora finita la prima tappa africana che perdevo già oltre un’ora dai primi, da Marc che era partito subito in testa alla corsa.
 

In effetti, però, si trattava di un difetto di particolare della moto, non ero destinato a rimanere la sola vittima e presto è iniziata la successione di rotture. Casteu ha rotto, Verhoeven ha rotto, più avanti Esteve. Credo di non ricordare male, quasi tutti noi dello squadrone KTM ci imbattemmo nello stesso problema. Quasi tutti, comunque, salvo Marc.
 

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Arriviamo in Muritania e rompo una seconda volta. È strano, sono sempre stato attento alla meccanica, mi è sempre piaciuto “ascoltarla”, tenerne di conto. Avevo lavorato in officina e sapevo bene come fare, ed ero conosciuto come uno mai aggressivo con il mezzo, apprezzato per come sapevo usare bene le mie moto. Dunque rompo ancora, perdo altro tempo, resto in corsa ma ancora più indietro, inesorabilmente indietro.


Nessuno pensava più a me, credo, come a un favorito, e certamente non lo ero stato dalla sorte! In un certo senso ero tranquillo, non avevo commesso errori e avrei potuto anche mettermi l’animo in pace. Nessuno poteva credere in me, ero troppo distante dai primi. Ricordo di essere passato dalla sala stampa al Bivacco della giornata di riposo, ad Atar, e che nessuno era venuto a farmi delle domande. Probabilmente per rispetto della mia sfortuna, o forse perché credevano tutti che fossi già finito, in ogni caso che lo fosse per me quella Dakar.
 


Per la verità io continuavo a crederci. Pensavo che se era successo “quasi” a tutti di rompere il cambio… poteva succedere anche a Marc. Così ho continuato ad attaccare, ad attaccare. Non all’impazzata ma controllato, forte. Sono tornato nei primi dieci, e avanti più forte, nei cinque e, ancora all’attacco, mi sono riportato tra i primi. Non avevo un piano preciso, ma allo stesso tempo non riuscivo ad arrendermi, a pensare di rinunciare ad attaccare, di calare le braghe e darmi per vinto.


Poi è successo l’incredibile, ormai verso la fine del rally, in Senegal. Non lontani da Dakar durante la penultima tappa “utile”. Avevo fatto una brutta speciale il giorno prima, ma Marc anche, non era andato meglio. Se non ricordo male quella mattina partivo attorno alla dodicesima posizione, Marc forse cinque o sei prima di me.


Appena partito in Speciale mi accorgo che ci sono delle note del road book piuttosto complicate, e che la navigazione sarà inevitabilmente molto difficile. Parto dietro ma non è il giorno per attaccare a testa bassa, è certamente meglio stare molto attenti al road book. Così mi applico sulla navigazione, cerco di seguire attentamente ogni nota, di capire bene le indicazioni e soprattutto di essere sempre sulla pista giusta.
 

Sto sulla mia gara, sulla navigazione e sulla pista corretta, quella del road book


Vedo polvere dappertutto, tracce a destra, a sinistra, ma non do retta a niente e alla gara di nessuno. Sto sulla mia gara, sulla navigazione e sulla pista corretta, quella del road book così difficile da mantenere.


E così, sebbene fossi partito molto indietro, quando arrivo al rifornimento mi accorgo che non c’è ancora nessuno. Sono il primo. Niente Marc Coma. Aspetto i quindici minuti della neutralizzazione per il rifornimento, e ancora niente. Marc Coma non c’è. Mentre sto ripartendo, solo allora arrivano il secondo, poi il terzo. Ma non Marc.


Dunque la seconda parte dalla speciale diventa automaticamente molto complicata. Sta cambiando tutto e sento andar via la concentrazione. Penso troppo, parlo con me stesso. Ero indietro di 45 minuti da Marc, ne devo aver recuperati almeno trentacinque. Ma quando sono ripartito dal rifornimento non sapevo dov’era, non avevo la più pallida idea di dove potesse essere Marc Coma.


Era un periodo di Dakar anche tristi, e cominciavo a preoccuparmi, ad augurarmi che non avesse avuto un incidente, che stesse bene. Cercavo di pensare al famoso guasto del cambio, a un errore di navigazione. Ho continuato a correre forte, anche ad attaccare, ma nella testa avevo un grande affollamento di pensieri. Davvero difficile tenere sveglia la concentrazione su quello che stavo facendo. Si era perso David Casteu, si era perso Chris Blais. Mi sforzavo di pensare che potesse aver fatto lo stesso anche Marc.


Arrivo alla fine della peciale, ancora solo, e vedo scendere l’elicottero della direzione di gara. Gli vado incontro. Scende David Castera. Oggi David è il mio navigatore sulla Peugeot DKR, allora era il Direttore Sportivo della Dakar. Mi viene incontro, e finalmente mi racconta quello che è successo. Marc si è perso, ha girato in tondo senza riuscire a venire a capo della situazione. Sono andati a cercarlo con l’elicottero e lo hanno ritrovato nella “brousse”, in mezzo al nulla e fuori pista. Doveva aver preso una gran botta, perché aveva perso conoscenza. Niente da fare, è costretto ad abbandonare. È out. Di primo acchito penso con sollievo alla prima cosa, la più importante, che non è niente, che Marc non ha niente di grave e sta bene.
 


Poi penso alla vita, alle sue stranezze. Quindici giorni prima avevo rotto il cambio della mia moto e con quello dato un bel colpo, forse definitivo ma non nel senso giusto, a quella corsa che avevo affrontato per vincere. Due settimane dopo, alla vigilia della tappa del Lago Rosa, mi ritrovo all’improvviso in testa alla Dakar. Dovevo fare attenzione solo all’ultima, cortissima, eccitata tappa finale sulle sabbie attorno al lago. Ormai… no, non avevo ancora vinto, ma poco dopo sì, vincevo la mia seconda Dakar.


In quel caso era stata solo la mia perseveranza a fare la differenza, una grande differenza. Anche per questo l’edizione del 2007 mi ha lasciato per sempre un bel ricordo.

 

Ho avuto la percezione chiarissima di quello che è un rally: mai vinto finché non è finito, e mai perso fino alla linea del traguardo finale


Ma più forte del ricordo di una vittoria, in quella Dakar ho avuto la percezione chiarissima di quello che è un rally: mai vinto finché non è finito, e mai perso fino alla linea del traguardo finale, anche se è iniziato nel peggiore dei modi. Se avessi alzato le braccia a metà della corsa, quando non potevo vedere niente di buono, o se avessi rinunciato ad attaccare dopo la giornata di riposo, sarei rimasto a due ore dai primi, forse non avrebbe vinto Marc, forse l’avrebbe fatto qualcun altro, Casteu o Blais, ma non io.


Ecco perchè quella resta per me un’edizione della Dakar speciale, davvero memorabile.

 

Bene, non è facile ricordare e mettere insieme episodi così complessi, sebbene emotivamente forti. Ma ci ho provato, e la storia è tornata a galla istantaneamente.

Un vero piacere ricordarla, Buon Compleanno Moto.It.

Cyril Despres

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