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Cordoba, 21 Gennaio. All’inizio Maurizio Gerini sembrava in difficoltà. Le cose non sono mai andate male, mai un vero allarme. Ma questo Mondo completamente sconosciuto si svelava con molta lentezza e qualche sorpresa. Una cosa è sentire i racconti, studiare le Gare altrui, farsi consigliare, e un’altra cosa, completamente diversa, ma più completa, è trovarsi in quelle situazioni che solo una volta superate ti offrono una risposta a domande diverse, che una volta archiviate si convertono in esperienza utile per i chilometri che devono ancora venire. Tanti, un’esagerazione che ti tiene sospeso a un filo che è fatto di tenacia e un po’ di fortuna, di pazienza e attenzione. Di determinazione.
Gerini è cresciuto così. Non si poteva chiedergli troppo, perché ad ogni traguardo il Pilota doveva sedimentare centinaia di sensazioni, interpretare, archiviare, mettere a disposizione per i giorni successivi. Tuttavia gli occhi spesso parlano per il cuore, e hanno parole più semplici e chiare. Ogni giorno Maurizio appariva un poco più sicuro, più deciso, in ogni caso deciso a non mollare. Ogni giorno, superati una difficoltà o uno spavento, lo sguardo diventava più “duro”, ma… buono. Il confronto con la Dakar è incerto fino alla fine, questo si capiva chiaramente da quegli occhi persi indietro a ricordare, per imparare, o molto avanti, per prevenire, per prepararsi alla sfida successiva. Poi Cordoba. Quel traguardo improvvisamente vicino, di traverso, finalmente superato. E lo sguardo si ferma nel presente, ora “cattivo”… ma buono.
«Ecco le mie impressioni. Innanzitutto una Gara incredibile, un’esperienza unica. Un evento agonistico e una sfida al cospetto del quale mi sono presentato senza alcuna ambizione di classifica. Non più una Gara, ma una prova, sì, una sfida. Certo, mi sono presentato pronto a dare tutto, tutto il mio meglio, e per questo mi sono preparato meglio che ho potuto almeno sul piano fisico. Sì, non sapevo cosa avrei incontrato, quali difficoltà avrei dovuto superare, ma ero sicuro che almeno dal punto di vista fisico non avrei prestato il fianco alla Dakar. Per questo mi sono preparato moltissimo, in modo quasi maniacale, senza trascurare o minimizzare alcun aspetto».
Pronto, in assetto di guerra. Più facile dunque affrontare l’impegno?
«No, non si può essere preparati a priori ad affrontare una Dakar. Nella Gara ho avuto un po’ di cose da imparare. Ogni giorno. E ogni giorno ritengo di aver imparato qualcosa, anche una piccola cosa giorno dopo giorno, esperienza dopo esperienza. Non posso che essere soddisfatto dell’esperienza globale, molto soddisfatto di aver finito la Dakar, e tutto sommato bene. Alla fine sono soddisfatto, felice del risultato. Oltre il ventiduesimo posto, felice per la vittoria nella categoria Marathon. Questo dimostra che la mia Moto era veramente buona, e davvero a punto, ben preparata, curata».
Gioco di Squadra…
«Sì, devo fare tutti i complimenti, e ringraziare il mio Team, il Solarys Racing. Anche loro hanno lavorato tutto l’anno, duramente, con grande passione e applicazione per consentirmi di presentarmi al via nelle condizioni ottimali. Devo poi ringraziare il Team di Pedrega, che mi ha assistito durante la Gara. Un’équipe incredibile, composta da personaggi competenti e appassionati, che mi ha messo ogni mattina nelle condizioni di affrontare ogni tappa al meglio, nelle condizioni migliori, risolvendo ogni più piccolo problema che mi si presentava, prevenendo e curando ogni ansia e debolezza meccanica in agguato».
Quali i problemi più evidenti?
«All’inizio, soprattutto all’inizio con gli speed limit. I primi giorni ho preso un po’ di penalità, e pagato multe che ho scoperto salate. Credo che fosse colpa in parte della mia inesperienza, ma in parte anche del malfunzionamento del sistema di allarme che ti segnala l’arrivo di un tratto a velocità limitata. L’altra difficoltà è che non sapevo che ritmo mantenere, quando spendere e quanto risparmiare, e questo aspetto importantissimo della gestione delle risorse ho imparato a conoscerlo meglio solo man mano che la Gara andava avanti. Questo spiega anche la mia progressione man mano che mi avvicinavo alle fasi finali del Rally. Più che un crescendo penso che sia stato un incremento progressivo della consapevolezza, e quindi della capacità di gestire la Gara a un livello sempre più alto».
La tappa più sofferta.
«La Paz-Uyuni, senza dubbio la più sofferta: a causa dell’altitudine, e per quel tratto lunghissimo di dune corte, tagliate male e piene di vegetazione che spesso bloccava la moto tra i suoi duri rami secchi».
La più bella.
«Pisco San - Juan De Marcona. Paesaggi incredibili e dune altissime a picco sull'oceano Pacifico. Uno scenario indimenticabile, tale da farmi dimenticare, per qualche attimo, la durezza della prova!».
Il bilancio.
«È il bilancio di un’esperienza, più che di una Gara. Il bilancio della Dakar vissuta come esperienza incredibile. Come prima esperienza di Dakar mi ritengo innanzitutto fortunato per essere arrivato in fondo. Poi, solo alla fine perché prima non ci ho mai pensato, e perché non si è mai alla fine finché non è tutto… finito, per il risultato ottenuto».