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Sono lontani i tempi della grande partecipazione italiana, quando i “nostri” erano protagonisti assoluti alla Dakar. Gli ultimi acuti degli italiani sono le due vittorie, nel 2001 e 2002, dell’indimenticabile Fabrizio Meoni, succedute alla quattro di Edi Orioli, nel 1988, 1990, 1994 e 1996, recordman italiano della Dakar. E non sono neanche tempi, quelli di oggi, che possano favorire un ritorno in massa degli “azzurri”. La nostra rappresentativa comunque è interessante, e come sempre agguerrita.
Sono quattro gli equipaggi auto, cinque i camion, 11 le moto e uno soltanto, anzi una, “pilotessa”italiana con un Quad, Camelia Liparoti, iscritti a questa Dakar.
Già riferito di Alessandro Botturi, che corre con ambizioni rinnovate e ormai senza timori reverenziali nel forte Team Husqvarna by SpeedBrain, dei “ragazzi” che corrono con Franco Picco, e del Team Endurology, continuiamo la nostra rassegna partendo proprio da lei, dalla Campionessa del Mondo, alla quinta partecipazione.
Camelia Liparoti ha un passaporto italiano, è figlia di un livornese, e vive a Chamonix. È Pilota, ma anche giornalista, “donna avventura”, reporter, sciatrice, eccetera, eccetera. Bionda e minuta, si trasforma nell’emblema della forza e della determinazione a bodo del suo Quad. Inarrestabile.
Tre Piloti moto italiani compongono un appassionante binomio, tutto italiano… o quasi. Sono Alex Zanotti (che in realtà è di San Marino), Andrea Fesani e Manuel Lucchese, tutti e tre corrono con l’Italiana TM, che ha costruito per Zanotti, Campione del Mondo Baja 2012, la Rally 450 S13, una moto che è stata tra le più ammirate al salone di Milano e che avanza nel suo cammino di sviluppo. Qualche problema di gioventù era ed è prevedibile. Nella seconda tappa Alex è stato fermato per ben due volte da un problema verosimilmente riconducibile alla pompa di alimentazione, ed è in ritardo ma non molla, naturalmente. Lucchese ci riporta all’edizione dello scorso anno, in sella ad una Husaberg, particolarmente sofferta per il giovane pilota italiano. Andrea Fesani è la dimostrazione che determinazione, calma e organizzazione, ma soprattutto volontà, sono le basi indispensabili per mettere in pista Il Sogno, ma che ci vuole anche un po’ di giusta fortuna per realizzarlo. Il commercialista riminese, Campione Italiano Motorally, ha un passato di “frizioni” con la Dakar, e purtroppo un presente che non è da meno. Nel 2010 non è riuscito a partire a causa di un incidente, e nel 2012 la sua moto, una Rieju, è andata a fuoco, come molte altre, a causa delle sterpaie che, accumulate tra motore e paramotore, sono andate in autocombustione. Fesani non ha mai mollato e si ripresentato deciso a finire per vincere così la sua sfida personale. Purtroppo per il simpatico riminese, però, la sua nuova avventura si è conclusa precocemente…
Abbiamo già conosciuto Franco Panigalli, Fabio Mauri e Paolo Sabbatucci, i tre “moschettieri”, “tre uomini normali che corrono alla Dakar per realizzare un sogno”, accompagnati da Franco Picco. Franco Picco, sì, lui, uno dei miti assoluti della corsa. Uno dei Piloti che più hanno fatto palpitare l’Italia e sognare questo genere incomparabile di avventura, trascinando con le sue imprese ormai leggendarie l’avanzata italiana alla Dakar. Debuttante di lusso nel 1985, quando ottenne un meraviglioso terzo posto alle spalle di Gaston Rahier e Jean-Claude Olivier, Picco ha vinto il Faraoni in sella alla Yamaha ed alla Gilera, ma mai la Dakar in moto, risultando per ben due volte secondo, nel 1988 alle spalle di Edi Orioli al termine di un duello epico, e l’anno successivo dietro a Gilles Lalay. La sua prima vittoria Franco l’ha ottenuta in… auto, nel 2000 nella categoria T2 diesel. Nel 2010, per festeggiare in moto il suo matrimonio d’argento con la Dakar, venticinque anni dopo il debutto Picco concluse al 29° posto assoluto e vinse la categoria Marathon, o per moto strettamente conformi alla serie. L’anno scorso fu la frattura di una costola durante la quarta tappa a rendere dolorosa la sua Dakar, comunque portata a termine, e quest’anno c’è un altro record che merita di essere festeggiato, quello della ventesima partecipazione del Pilota vicentino alla maratona del deserto per definizione.
Picco è una di quelle persone che vanno conosciute per capire quanto possa essere straordinaria la personalità di un “Dakariano”
Anche Picco è una di quelle persone che vanno conosciute per capire quanto possa essere straordinaria la personalità di un “Dakariano”. A 57 anni poche persone si sentono a proprio agio e danno tanta fiducia in un ambiente che solo pochi possono solo pensare di affrontare, a qualsiasi età. Franco è quello cui calza meglio di ogni altro la definizione di indistruttibile. È uno di quei “tipi” che possono affrontare ogni tipo di situazione, per quanto dura e difficile possa essere, con la calma olimpica, ma soprattutto con la certezza di venirne a capo. Può rimanere nel deserto con la moto in panne, trovare un fil di ferro e aggiustarla, può dormire per due ore per venti giorni, capire da che parte andare solo con uno sguardo all’orizzonte deserto. La sua enorme esperienza, immeritatamente frustrata dalla mancanza di una vittori assoluta alla Dakar, è adesso a disposizione di alcuni fortunati.
Adesso Picco non guarda certo alla classifica, non con gli occhi del gladiatore di vent’anni fa, ma corre i suoi Rally distribuendo il dono prezioso della sua esperienza a “Piloti” che piloti non sono, ma che aspirano a diventarlo attraverso le durissime prove dei Rally Raid. Nell’ottobre scorso Franco è volato oltre una duna perché si era girato per controllare uno dei suoi “allievi”, caduto malamente e trasportato al bivacco, sdraiato sul lettino della tenda medica Franco era già al telefono satellitare per cercare di avere notizie dei suoi. Quando poi i medici hanno deciso di vietargli di riprendere la corsa, il dispiacere del Pilota è svanito istantaneamente per far subentrare quell’affettuosa preoccupazione per i suoi ragazzi, da quel momento soli contro il deserto. Questo è Franco Picco, anzi, solo una parte di Franco, come in una scheda che rischia di essere frettolosa e quasi irriverente. Il resto e di più di un Gigante della Storia della Dakar bisogna avere la fortuna di conoscerlo personalmente, perché non è raccontabile, sembra una favola.