Dakar 2013, tappa 12. Alessandro Botturi. Il prezzo di un errore

Dakar 2013, tappa 12. Alessandro Botturi. Il prezzo di un errore
Dakar 2013. Il “Bottu” era quinto in classifica generale, e stava facendoci vivere una Dakar eccezionale. Un errore nella 12° tappa, il salto di un way point, ridimensiona la sua gara, ma non il valore del Gigante di Lumezzane | P.Batini
18 gennaio 2013

Punti chiave

Copiapò, 16 gennaio. Quinto in classifica generale a tre tappe dalla fine. La chiara possibilità di migliorarsi ulteriormente per il gioco dei cambi motore, e un’intelligenza tattica ineccepibile, soprattutto per un Pilota alla seconda esperienza in un Rally che esige un’enorme esperienza per premiare i suoi Campioni. Un solo errore, complesso nella sua dinamica, costa al Pilota italiano il salto di un way point, e il prezzo è un’ora di penalità. Ad un passo da un podio oggettivamente alla sua portata, Alessandro scende in dodicesima posizione, esce dalla top ten e si lascia andare, per un attimo, alla delusione.


AB.
«È successo a metà, circa, della dodicesima tappa, nel tratto di Dune della Speciale. Sapevo di dover passare per uno dei tanti way point, e sono andato a cercarlo. Ho cominciato a perdere un po’ di tempo perché non riuscivo a trovarlo, e ad innervosirmi perché non ero sicuro che l’incertezza dipendesse da me. In questa Dakar altre volte si era avuta l’impressione che questo tipo di errore potesse essere favorito da un malfunzionamento del sistema GPS, ma non voglio con questo dire che avessi una giustificazione. Dopo aver perso abbastanza ho deciso, ho tagliato al cap e ho raggiunto il successivo controllo di passaggio. Solo a quel punto lo strumento ha evidenziato il “salto” di way point. Ero davanti a un bivio. Tornare sui miei passi, fare 19 chilometri, “prendere” il WP e tornare al CP, o proseguire accettando di poter essere penalizzato. Nella 12° tappa c’erano way point con penalità variabile nel caso di “salto”, da venti minuti e da un’ora. Ho fatto i calcoli pensando che fosse un WP da venti, e ho proseguito. Invece la penalità prevista per quello era un’ora. L’ora di penalità naturalmente è arrivata, e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.»


Facile immaginare lo stato d’animo all’arrivo…

AB. «Si, potete immaginare. Mi sono girate le scatole a mille. Inizialmente tendevo a prendermela con tutto e con tutti, rimanendo in quel modo “caldo” che ti allontana un po’ dalla realtà. Più ricevevo pacche sulle spalle, gesti di solidarietà e consolazioni, e più mi giravano. Poi è arrivata la delusione, la sensazione di aver rovinato tutto, di aver buttato via la Dakar. Bruttissima sensazione.

Sentire che la tua Dakar è finita quando mancano solo due tappe è triviale, come voler andarsene da un posto che ti piace prima del tempo, o fuggire

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Sentire che la tua Dakar è finita quando mancano solo due tappe è triviale, come voler andarsene da un posto che ti piace prima del tempo, o fuggire. Finalmente ho cominciato a “raffreddarmi” e a vedere le cose un po’ più realisticamente, a mettere in fila le certezze. La prima è che non ci posso fare niente. Ieri ero contento di essere quinto e guardavo avanti con ottimismo, oggi sono dodicesimo e le ambizioni di classifica me le posso scordare. La seconda è che le gare sono così, e questo genere di “botte” e una delle parti del gioco. Le gare sono così, e la Dakar è più… così di tutte le altre. Nell’enduro una scivolata la puoi anche rimediare, oppure riscattarti quindici giorni dopo a quella successiva. Alla Dakar ogni errore costa sempre carissimo, e un errore come questo mi costa… un anno. Potrò riscattarlo solo fra un anno, alla prossima Dakar.»


Certo, un prezzo un po’ alto. Ma si può relativizzarlo, almeno un po?

AB. «Che devo dire, mi viene da fare un bilancio, come se la corsa fosse già finita, della Dakar e addirittura della mia carriera. Non è stata una brutta Dakar, anzi. Mi sono “comportato bene”, e ad eccezione dell’errore per cui siamo qui a parlare, non ho sbagliato molto. Pensiamo che in fondo sono solo al mio quinto Rally, a poco più di un anno dalla “riconversione”, che ho dimostrato di poter stare là, con quelli davanti, e che in fondo a questa Dakar ho anche rischiato di non poter partecipare. No, non sono andato male, ho imparato ancora molto e oggettivamente sono più forte e più sicuro. Ho fatto un altro bel passo avanti.»


Ti “salvi” dunque?

AB. «Non si tratta di salvarmi, ma di dare un’occhiata a tutto il contesto, non solo al momento negativo. Stavo andando bene, avevo già cambiato il motore e potevo aspirare al podio e non avrei “rubato” niente a nessuno. Sono un po’ i discorsi fatti con il senno di poi, ma penso di aver dimostrato di avere le capacità per lottare e ottenere un buon risultato, di avere imparato abbastanza in fretta. Mi girano le scatole, ma la mia rabbia può essere circoscritta a quei venti chilometri di deserto che mi sono costati un’ora. Devo pensare soprattutto che ho vissuto un’esperienza magnifica con la sensazione impagabile di lottare per un grande risultato.»


E che facciamo, adesso?

AB. «Adesso restano due tappe, da fare bene e alla svelta. Non più a rotta di collo, non servirebbe a niente, e non avrei niente da imparare. Alla svelta sì, perché adesso devo tornare a casa al più presto e iniziare ad allenarmi, a prepararmi per la prossima Dakar!»


E per concludere?
AB. «Abbraccio tutti, tutta la mia Squadra, gli uomini che mi hanno permesso di arrivare sin qui, quelli che mi hanno accompagnato e la mia famiglia che mi ha aspettato. La gente del Moto Club Lumezzane che ha favorito e seguito la mia Dakar, che spero non si senta “tradita”. Tutti quelli che hanno partecipato con me a questa bellissima avventura, a casa o lungo le piste del Sud America.»

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