Dakar 2013. Tappa 5. Barreda e quel mirabolante miracolo meccanico che tradisce

Dakar 2013. Tappa 5. Barreda e quel mirabolante miracolo meccanico che tradisce
Quando un Pilota sbaglia strada dico che è un errore umano, e tutto sembra avere una logica accettabile, ma quando è il ferro che si ferma non mi piace, mi sembra un’ingiustizia bella e buona | P. Batini
10 gennaio 2013

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Non mi piace quando un mezzo da corsa di ferma. Fa parte del gioco, naturalmente, ed è una delle sue regole più chiare ed inopinabili. Di quelle che se, infrante, non hanno nessuna possibilità di diventare oggetto di un reclamo o essere portate in giudizio. Debolissime anche le scusanti e le giustificazioni. Ma non mi piace. Non è una questione sentimentale, direi che è contro la mia… filosofia. Quando un Pilota sbaglia strada dico che è un errore umano, e tutto sembra avere una logica accettabile, ma quando è il ferro che si ferma non mi piace, mi sembra un’ingiustizia bella e buona. Questo perché, nota la precarietà dell’affidabilità umana, sono affascinato dall’affidabilità che i mezzi da corsa trovano lungo la strada del loro sviluppo nel raggiungimento delle massime prestazioni. Mi piace il miracolo dell’equilibrio perfetto tra performance e resistenza, che evoca l’indistruttibilità. E ho sempre ritenuto di per sé un miracolo che un motore potesse girare per ore e ore, giorni, settimane.

Tre ore e tre minuti! Questa è l’era che Joan Barreda ha trascorso nel deserto accanto alla sua moto. Quanto basta a un meccanico, al bivacco, per fare un tagliando completo alla moto, cambio del motore compreso. Me nel deserto, mentre tutti gli avversari se ne vanno, è un’eternità insopportabile. E il buon Matt Fish, promosso “aiutante in campo”, che si ingegna per aiutare, è ben magra consolazione per il Comandante privato della sua arma. Tutto, come dice Husqvarna, per una maledetta pompa della benzina. Un piccolo meccanismo troppo spesso a orologeria.
         

Oggi le pompe di benzina sono molto più affidabili, ma non ricordo una moto per la Dakar che non abbia fatto la trafila dei guasti in successione prima di raggiungere un’affidabilità decente

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La pompa della benzina è su tutte le auto, e da quando c’è l’iniezione, anche su tutte le moto. Per quanto ne so non si rompe mai. Io ne ho rotta una, o meglio l’ho trovata rotta in una moto rimasta ferma ed esposta alle intemperie per quattro anni (peccato mortale, lo so, era il minimo che meritavo). Sulle moto della Dakar è arrivata ancor prima dell’iniezione, serviva per mandare su la benzina dal fondo dei giganteschi serbatoi, più in basso del o dei carburatori, perché sennò normalmente la benzina arrivava per caduta, dall’alto verso il basso. Pompe elettriche o a depressione. Modelli robustissimi, tecnologici, sempre più sofisticati, collaudi che ne garantivano il perfetto funzionamento a vita, poi alla Dakar, in gara, si rompevano a guardarle. Misteriosamente, immancabilmente. E quando funzionavano, magari erano troppo esposte per poter essere raffreddate (il vapor look, un’altra maledizione) e sul più bello venivano spazzate via da una stivalata. Una pompa via l’altra, bestemmie come rena. Oggi le pompe di benzina sono molto più affidabili, ma non ricordo una moto per la Dakar che non abbia fatto la trafila dei guasti in successione prima di raggiungere un’affidabilità decente. Resta il mistero di questo tipo di guasto.

Le Husqvarna ci sono passate anche loro, all’inizio, ma poi il problema sembrava essere stato risolto definitivamente. Se guardi sotto il serbatoio di una moto da Rally, oggi, non ti capaciti della quantità di roba che sembra fatta apposta per rompersi, ma difficilmente ormai si brucia anche solo un filo o un fusibile. Alla pompa non ci pensi quasi più.

E invece ieri Joan Barreda ci ha pensato davanti al cadavere di quell’insetto di metallo per tre ore, inerme, sfortunato, defraudato del diritto a finire come poteva la bella corsa che stava facendo. Due giorni prima aveva disintegrato la ruota posteriore e ci aveva messo una pezza perdendo molto tempo, ma in quantità inferiore alla sua capacità di recuperarne. Ieri no, ha dovuto aspettare che arrivasse il suo compagno di Squadra con il ricambio, riparare lentamente, sempre tutto troppo lento e troppo lentamente per restare attaccato alla Dakar che meritava. Tutto nel giorno più breve fino ad ora, 136 chilometri, e di questi fatti appena la metà. Disdetta. Davvero una frustrante disdetta. Mi dispiace per Barreda, per Wolfgang Fischer, per tutti loro e per tutti noi, privati di una grande attrattiva di questa Dakar.

 

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