Dakar 2013. Tappa 9. Dal dizionario di Endurology

Dakar 2013. Tappa 9. Dal dizionario di Endurology
Più che un Team è una famiglia allargata. Endurology riunisce passioni arrembanti espresse in un grande e organizzato impegno, ma sempre in modo molto colorito | P. Batini
15 gennaio 2013

 

Dopo il ritiro di Luca Viglio, che sta bene, Lorenzo Napodano, il “presidente”, e Stefano Rampolla continuano l’avventura di Endurology. Non si parla di classifiche, non di gara in senso stretto. I “soci” stanno vivendo una grande avventura, e sono concentrati nell’obiettivo di portarla a termine. È un’avventura costellata di alti e bassi, di emozioni sempre forti, di esperienza che aumenta ogni giorno che passa. Caso più unico che raro, il presidente trova anche il tempo di redigere quotidianamente un diario dell’avventura personale e del sodalizio. Da questi diari impolverati di fesh-fesh, che rappresentano un documento straordinario, abbiamo distillato un piccolo dizionario, che speriamo utile per tutti i “dakariani” e di cui vi proponiamo alcuni stralci caratterizzati dal colore e dal “calore” dell’esperienza autobiografica del Presidente.
 

Barcana

 
Le barcane sono dune a mezzaluna, in genere non altissime e spesso non difficili. Si riesce a proseguire ad andatura abbastanza elevata, ma in questo caso le vibrazioni diventano insopportabili. E infatti può capitare che quella cosa azzurra sulla plancia cominci a ballare fino a saltare via. È il Sentinel, uscito dalla sua sede che, appeso solo per un cordone ombelicale che è il cavo antenna, rimbalza e sbatte sul roadbook, sugli ico, sul gps, sulla scatola dei fusibili. Se non ti fermi può succedere un disastro. E questo è l’effetto barcana.
 

Stefano Rampolla
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Sentinel

 
È uno degli strumenti obbligatori. Ospita una trasmittente e una parte ricevente, ed emette un segnale luminoso e un beep infernale. Succede che in caso di sorpasso, quando il concorrente che segue schiaccia il pulsante del suo strumento, da quello del Pilota davanti (ma anche da tutti quelli entro la portata del trasmettitore) esce un allarme sonoro insopportabile. Un tele-clacson. Uno scherzo magnifico è schiacciare il pulsante alle 4 di mattina, alla partenza del trasferimento, quando i motociclisti sono tutti in fila per prendere, contro voglia, il via, e i Piloti auto e i meccanici ancora dormono. È un putiferio, e si dice che l’organizzazione abbia in mente una penalità storica per i trasgressori (che non sono facili da individuare).


Segnale GPS immobile

È emesso quando ti fermi, spegni e scendi nel deserto, per fare pipì, per riparare un piccolo guasto o per sistemare il Sentinel che è saltato via. Fermarsi nel deserto è sempre una sensazione un po’ strana. Un po’ come quando sei in mezzo al mare e spegni il motore della barca. Bellissimo, ma in qualche misura inquietante.
Non appena dal PC Course vedono sul monitor che sei fermo, da Parigi parte una voce che esce dalla scatola dell’Iritrack:
“Do you need medical assistance?”. Devi rispondere, vivavoce.
“No it's just a technical problem. I’m loosing my Sentinel, and I'm trying to fix it. thank you”.
A volte però, per il vento, per un’interferenza, perché parli troppo lontano, la tua voce non arriva a Parigi. E allora:
“Do you need medical assistance?”
"No thank you, it's just a technical probl…”
“I repeat: Do you need medical assistance?”
“No, thank you.”
Mi sa che non funziona.
“Do you need medical assistance?”
“No cazzo! I'm well thank you.”
“Do you need medical assistance?”
“Please tell me if you do need medical assistance.”
“Do you need med….”
“Oh, hai rotto i cogl… sto bene è solo sto ca… di Sentinel che s'è staccato!
“OK”.

Funziona!

         

La storia della Dakar è costellata di gente che ci ha messo una vita a tirarsi fuori da un catino, o che è ancora lì dentro dagli anni '80

Catino


Quando arrivi in cima a una duna, e sei sereno perché segui un altro pilota davanti a te che ti segna la strada, e sulla cresta c’è un mare di gente, spesso dietro alla cresta c’è un catino. Una vera e propria buca, ma di dimensioni spropositate. Quelli bravi saltano oltre, il concorrente davanti a te passa di lato e va via, te ti distrai e ci cadi dentro. La sabbia è molle ci rimani. La duna allora diventa un anfiteatro gremito di spettatori che urlano al massacro dei poveri cristiani. La storia della Dakar è costellata di gente che ci ha messo una vita a tirarsi fuori da un catino, o che è ancora lì dentro dagli anni '80. Tirare fuori la moto è una fatica immane, non solo fisica ma mentale.
Sei lì che sembra che ce la fai, e quella stronza di ruota davanti rotola indietro e non passa l'angolo critico. C’è da morire. Per uscirne c’è una soluzione, rivolgersi agli spettatori sovreccitati, alzare le braccia e chiamare l’aiuto del pubblico che non aspetta altro e risponde… con un boato d’incitazione. Funziona: non si muove nessuno ma scatta l’adrenalina, arrivano forze sconosciute, prendi quel c… di manubrio come le corna di una vacca e la butti fuori dalla buca.
 

Fesh-Fesh

Il fesh fesh è come borotalco, ma appiccicoso come il vinavil e volatilissimo. Non si riesce a vedere la ruota davanti, i quad riescono a galleggiare e le moto impazziscono. Si respira a fatica. Alcuni tratti di fesh-fesh si percorrono a piedi, perché nascosti sotto la polvere ci sono dei boccioni di roccia che altrimenti ti butterebbero per terra. Il fesh-fesh lo trovi di preferenza nelle situazioni più difficili. Come in quel canalone pieno di polvere che si dirama in una serie di altri canaloni pieni di polvere della terza tappa tra Pisco e Nasca. Visibilità zero ma è tutto un brulicare di moto che vanno da tutte le parti, e che naturalmente non vedi. Se cadi rischi di non trovare più la moto. L’accortezza, soprattutto per orientarsi e mappare la situazione è la seguente. Schiacciare il pulsante del Sentinel. Allora tutto il canalone è un rimbombare di beep beep. Non li vedi ma sai che sono tutti lì, impestati come te in questo posto di merda. Più difficile è trovare il tuo compagno, e lì ci vuole spirito di osservazione. Se vedi un omino tutto bianco, accanto a una motina tutta bianca, e l’omino sbatte le mani sul petto sollevando nuvole di polvere per pulirsi, e spuntano prima due occhi fuori dalle orbite e poi il blu e i loghi di Endurology, allora hai trovato il Rampo, al secolo Stefano Rampolla.


Prova Speciale

È l’unità di misura della competizione, il tratto cronometrato tra due punti, di partenza e di arrivo, che determina, insieme alle eventuali penalità, la classifica di gara. L’essenza della corsa. Alla Dakar corrisponde a quello che nell’Alighieri è definito girone.


Duna, cordoni di Dune, Erg

L’unità, il gruppo e il sistema di montagne di sabbia formate e trasportate in giro per il deserto dal vento. La culla dell’immaginario, e dell’inimmaginabile, della Dakar. Per superare queste barriere in-naturali ci vuole tecnica. Per acquisirla l’ideale sono le dune in salita. Magari sei già a pezzi, la caduta appena partiti ti ha messo di pessimo umore e il tuo corpo non reagisce. Non vuole guidare bene. Moralmente aiuta molto quando arrivi sulle creste a prendere fiato, guardi avanti e ancora non vedi la sommità dell'Erg. L’ideale è quando la sabbia è molle, perché fa già un caldo infernale. Non riesci a prendere slancio e la sequenza di ostacoli in salita significa una sola cosa, l'inferno. Ti fermi, riprendi fiato, peschi altri sei o sette jolly e finisci in un catino. È il calvario. (Vedi anche voce: catino)

 

Stefano Rampolla
Stefano Rampolla

Duna (in discesa) 

Un altro esercizio utile per imparare a guidare nel deserto è la discesa da una duna. In Perù ne hanno costruita una per l’occasione che è la palestra ideale. La pendenza è inverosimile, si prende grande velocita e mentre scendi ti si tappano le orecchie. Quando arrivi in fondo non ci credi, allora guardi su e ti accorgi che sono 700 metri di dislivello. Per defaticarti e normalizzare lo stato d’animo, subito dopo c’è una pista tutta pietre e tornanti. Ti accorgi che hai ritrovato il tuo equilibrio quando dirompi in un pianto disperato dentro il casco e ti viene una sola parola: vaffanculo.

 

Tappa Marathon

 
Due tappe tra le quali non è autorizzata l’assistenza (a meno che non sia effettuata tra concorrenti in gara). Siccome la sera tra le due tappe avrai da fare solo del bricolage alla moto distrutta, al mattino ti fanno partire alle 4, con il buio, e ti mandano a 5.000 metri per ossigenarti. Se devi fare i bisogni è meglio pensarci prima della partenza, perché farli a 4.000 metri, con il freddo e gli strati di vestiti che hai addosso e che ti impediscono anche di guidare, è come partorire al livello del mare. Quando arrivi alla fine della tappa marathon, ed è di nuovo buio, la vita della Dakar è enormemente semplificata: ti butti in terra, stramazzi e dormi.


Motivazione


È quella che ti ha fatto partire, ma in gara è tutta un’altra cosa, è l’ancora di salvezza. A volte la devi cercare, a volte la trovi sulla pista o nei trasferimenti. Come quando ti annullano la prima Speciale tra Salta e Tucuman e la trasformano in un trasferimento, e allora si chiama anche manna dal cielo. (vedi voce: trasferimento)

 

Siccome ritengono che non fai abbastanza chilometri in Speciale, te ne assegnano altrettanti di trasferimento

Trasferimento

Sono i tratti di collegamento da e per il bivacco di fine tappa, prima e dopo l’effettuazione della speciale, non cronometrati ma con un tempo imposto. Siccome ritengono che non fai abbastanza chilometri in Speciale, te ne assegnano altrettanti di trasferimento. Serve anche per riempire la giornata.
In Africa capita molto di rado, ma in America del Sud i trasferimenti, a parte la questione tecnica, sono caratterizzati dalla moltitudine di gente che incontri. Come quello alla volta di Tucuman, che non si riesce a passare dalla gente che c’è in strada. Gli argentini vanno in visibilio. È come se continuassero a vincere tutti gli anni il mondiale. Migliaia di persone. In alcuni casi bisogna farsi largo a colpi di limitatore, in altri non capisci neanche qual è la strada perché è invasa dalle persone. Il rito dei saluti. È quello che ti da la forza di continuare. È bellissimo. Può capitare anche che alla fine della fila di persone una ragazza tiri su la maglietta e ti faccia vedere le tette. Tutto quanto diventa bellissimo e ti senti in pace. (vedi anche voce: motivazione).

 

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