Dakar 2015, Alessandro Botturi: “La Dakar è una gara troppo difficile, non si può improvvisare"

Dakar 2015, Alessandro Botturi: “La Dakar è una gara troppo difficile, non si può improvvisare"
Tutti ritengono che Alessandro Botturi sia pronto per fare il salto tra i Grandi della Dakar. Soprattutto ci crede lui. E ora è tutto pronto per verificarlo|P.Batini
5 gennaio 2015

Punti chiave

Buenos Aires, 3 Gennaio 2015. Tutti ritengono che Alessandro Botturi sia pronto per fare il salto tra i grandi della Dakar. Soprattutto ci crede lui. E ora è tutto pronto per verificarlo.

Alessandro, come hai passato i giorni a cavallo tra i due anni aspettando di partire per la tua quarta Dakar?

«Sono stati giorni come sempre abbastanza intensi ma sereni. Con Yamaha abbiamo cercato di lavorare, di sistemare le ultime cose e di fare un po’ di collaudo alle nuove moto. Abbiamo sistemato le regolazioni personali per allinearle alla configurazione che avevamo definito durante i test. L’abbiamo fatto, e in tutto abbiamo percorso circa 400 chilometri»

È la moto scaturita dai test?

«Senz’altro sì, ma abbiamo deciso di partire con qualche cavallo in meno per affrontare la prima fase della Dakar in sicurezza, e di decidere più avanti se restituire alla moto tutta la potenza originale. Meglio partire con 5 cavalli in meno e stare più tranquilli»

Cavalli tolti come? Era una moto troppo veloce?

«Con l’elettronica, intervenendo sulle curve della centralina. Alla fine è un lavoro di cinque minuti, in un senso e nell’altro. Durante i test effettivamente abbiamo verificato che il motore è molto potente e la moto è molto veloce. In realtà lo è anche adesso nella configurazione che adottiamo per la partenza. I tecnici hanno deciso di partire in questo modo puntando a fare tutta la Dakar con un solo motore, e di decidere più avanti se è necessario riportare la potenza ai livelli testati»

È utile stare un po’ alla larga della bolgia dei tre giorni di verifica?

«Per noi è stato un bene. Abbiamo passato tre giorni e il capodanno vicino a Yamaha Argentina. Un colosso, una struttura veramente potente. Una catena di produzione impressionante. Siamo stati accolti molto calorosamente, ce ne siamo stati da soli e abbiamo passato il capodanno con le maestranze della fabbrica. Bello. Una grande atmosfera e un grande senso di appartenenza, di unione. Siamo riusciti a passare dei bei giorni. Abbiamo lavorato, ma alla sera smettevamo presto e stavamo tutti assieme vivendo un ambiente molto familiare. È stato anche il modo per capire che effettivamente non abbiamo particolari pressioni da parte della Casa madre. Ne abbiamo parlato, soprattutto affrontando il tema delle strategie. L’imperativo emerso è quello di stare tranquilli, e di vedere a partire dalla seconda settimana di gara cosa è meglio fare»

Ti senti bene? Carico?

«Mi sento bene, in generale. Ho sofferto solo di un po’ di mal di schiena, penso a causa dell’aria condizionata, ma sto meglio e sono tranquillo. Penso di aver fatto le cose giuste. Mi sono allenato bene, e aspetto che sia la gara a dirlo. Non nascondo che sono qui per fare bene. Non so ancora cosa significhi in termini di risultato ma conto di mettercela tutta per verificarlo correttamente. Ho capito che la Dakar è un lavoro lungo. C’è un percorso definito da dei punti cospicui che non puoi saltare. Me ne manca ancora qualcuno, ma spero di fare in fretta. Prima di vincere devi arrivare, e ci sono riuscito alla prima. Poi devi salire sul podio. Ecco un tassello del mosaico che deve andare al tuo posto. La Dakar è una gara troppo difficile, non ti consente di improvvisare»

E degli avversari, che dire?

«Conosco Marc da quando correvamo insieme nel Mondiale Enduro Junior. Penso che sia ancora lui l’uomo da battere, anche se la Honda ha uno squadrone veramente agguerrito. Sull’arco dei quindici giorni è Marc l’uomo in grado di fare la differenza. Mi piacerebbe riuscire a stargli il più vicino possibile»

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