Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su [email protected]
Trentadue anni, di Castellon. Joan Barreda, da tre anni ufficiale Honda Team HRC con il compito non facile di… vincere, è sempre stato indicato come il più probabile successore di Marc Coma. Velocissimo, combattivo, irriducibile, tecnicamente bravissimo, tuttavia Barreda non è mai riuscito a vincere una Dakar.
Ha vinto molte tappe, è stato in testa per lunghi giorni, per settimane, ma non è mai riuscito a concretizzare. Mai in testa alla fine della corsa. Anche durante la scorsa edizione le cose sono andate in questo modo. In testa fino a Uyuni, Barreda non è riuscito lasciarsi alle spalle il Salar conservando la leadership. Battere Coma non era facile per nessuno, e la successione era rimandata, anno dopo anno. Fino a oggi. A pochi mesi dall’abbandono di Marc il problema dell’avvicendamento è reale, concreto. In onore alla sua ultima vittoria, il numero 1 non è stato quest’anno assegnato, ma lo sarà obbligatoriamente l’anno prossimo.
Più che una caccia a Coma, dunque, la Dakar di quest’anno sarà una caccia alla sua eredità, non solo agonistica e sportiva, ma mentale, strategica. I candidati non mancano, e Barreda è tra questi, ma l’operazione non è semplice, né automatica. Restano le incognite del rendimento, delle circostanze che possono diventare imprevedibili, di una certa pressione psicologica che non mancherà di gravare. Joan Barreda sembra aver capito dove andare a cercare il Graal della Dakar!
Joan, come vedi questa Dakar dei grandi cambiamenti improvvisi? Ci hai capito qualcosa?
«Mah, direi che l’Argentina ormai la conosciamo bene, e la Bolivia abbastanza. Penso tuttavia che potrà essere una Dakar un po’ diversa, soprattutto con l’arrivo di Marc come Direttore Sportivo di ASO. A spanne, vedo anche che la seconda settimana di gara, quella con le tappe vicino alle Ande, sarà sicuramente difficile. Conosco abbastanza Marc, e so che gli piace molto la navigazione, più tecnica e senza moltissime informazioni. Quindi è sicuro che quelle saranno tappe nelle quali bisognerà stare molto calmi e attenti, e prendere le decisioni corrette. Poi, io credo che le due tappe che seguono la seconda tappa Marathon potranno ancora fare una grande differenza, e che non sarà facile controllarsi a vicenda, con gli avversari, soprattutto con le partenze scaglionate a tre minuti. In particolare, inoltre, ci sarà da stare attenti nella tappa che Marc ha definito Super Fiambala. Sono certo che trovarsi in mezzo magari a due macchine e un camion non sarà una cosa facile».
Adesso che Marc ha appeso il casco al chiodo, credi di essere tu il suo successore? Sei pronto a raccoglierne la pesante eredità?
«Guarda, non direi che mi preoccupo dell’eredità di Marc Coma. Lui ha smesso, e io continuo con l’obiettivo di vincere la Dakar, come ho fatto sino ad ora. Direi piuttosto che sono intenzionato a pianificare molto attentamente la mia Dakar 2016. Come già avevo fatto anche l’anno scorso, in effetti. Fino alla ottava tappa tutto è andato secondo i nostri piani, poi è arrivata la tappa del Salar e tutto è andato a rotoli, ma non penso per colpa nostra. È così. Dunque anche quest’anno la mia priorità è quella di rimanere molto concentrato e di preoccuparmi solo di quello che io posso controllare. Voglio fare prima di tutto una gara senza errori, ben gestita sotto il profilo delle risorse e delle strategie. Se ci riesco sarò contento, come lo sono stato… fino a quella ottava tappa. Dopo non ho più potuto fare niente».
Hai preoccupazioni?
«No, non ne ho. Diciamo che metto molta attenzione al recupero e alla preparazione del fisico. Voglio arrivare alla partenza della Dakar al 100% della forma. Manca un mese al via, e penso di riuscirci senza particolari problemi o ansie».
Sicuro che sei il pilota più veloce del lotto dei papabili, e sicuro anche che, se si vuole vincere la Dakar, mantenere la calma, controllarsi, è un “must”. Come pensi di riuscire a contenerti, a mantenere la calma per quindici giorni?
«Penso che bisogna lavorarci, ma anche che contano molto l’esperienza e il fatto di conoscere bene, diciamo molto meglio, la Dakar. In passato ho forse esagerato un pelo, ma già l’anno passato credo di essere riuscito a gestire molto bene le risorse, le incognite e il temperamento. Ho corso e spinto forte quando ce n’era l’opportunità, o la necessità, e amministrato quando era più opportuno farlo invece di correre dei rischi inutili. Ho capito una cosa importante. Ci sono due aspetti dell’essere pilota, l’essere veloce e il voler vincere, che possono creare qualche equivoco. Non sempre questi due aspetti si sposano felicemente. Vuoi essere rapido e vuoi vincere, ma non sempre si vince spingendo troppo forte. L’importante è vincere, non dimostrare che sei in grado di farlo con le tue prestazioni, soprattutto in una gara lunga e complessa come la Dakar. Questa è una cosa che ho ben chiara, ed è sicuro che i miei piani per la prossima Dakar rispecchieranno questo credo. Vedrai che i primi giorni molti si spingeranno oltre e saranno velocissimi, ma non è lì che qualcuno potrà fare la differenza. La differenza verrà da sola un po’ più avanti. Meglio stare calmi, saper aspettare e prepararsi meglio per i momenti più difficili che arriveranno più avanti».
Sembri aver fatto tesoro dell’esperienza…
«Credo che sia innegabile. Soprattutto in rapporto con i nuovi che arrivano, per quanto veloci e preparati, io ho senz’altro una maggiore esperienza. Credo che questo possa essere un motivo di pressione, ma anche e soprattutto un vantaggio. Io devo ritenerlo tale e metterlo tra le mie risorse più preziose».
Diventare un po’ come era Marc in pista?
«Questo l’ho sempre saputo. Per battere Marc dovevi arrivare ad avere la sua forza, batterlo sulla pista, sul suo terreno di gioco, non aspettare che lui commettesse un errore. Questo perché Marc di sicuro non sbagliava, mai. Direi che in questo momento, più che la sua eredità, devo fare tesoro del suo insegnamento, prendere da lui la sua mentalità, il suo modo di correre.
Io penso che lo farai. Tu cosa dici?
«Grazie della fiducia. Lo penso anch’io!»