Dakar 2016. Perché Marc Coma può essere un grande passo avanti della Dakar!

Il Super Campione di 5 Dakar chiude il capitolo leggendario della sua storia di Pilota. Davanti a sé Marc ha adesso una pagina bianca, sulla quale può scrivere il futuro del Rally
15 luglio 2015

Per pura combinazione ero lì la sera in cui Marc scendeva di moto alla fine della prima tappa africana della Dakar del 2002. La combinazione è un amico che volle presentarmi quello che, secondo lui, sarebbe diventato un giorno uno dei più grandi Campioni della Corsa. Per la verità avevo sentito quella “promessa” molte volte, e ci credevo il giusto. Marc scese dalla moto che aveva preparato per lui Carlos Sotelo, il Pilota-eterno-bambino che ricorderemo in sella alle mitiche Gilera di Perini. La moto era una Suzuki-CSV artigianale. Nello stesso gruppo ispiratore, altri due spagnoli. Nani Roma, primo in classifica dopo le quattro tappe che avevano attraversato l’Europa, e Fernando Gil, ex motociclista al volante di una macchina improbabile, una Seat Cordoba di derivazione WRC con la quale aveva pure vinto il prologo e l’incredibile tappa che da Madrid portava lì, a Rabat. L’atmosfera era, anch’essa, improbabile. Come sempre, quando si arrivava in Africa, permeata di entusiasmo e di timore, ma dopo il fango di mezza Europa mettere i piedi sulla sabbia calda era rassicurante, confortevole. Nani era incontenibile, Fernando come sempre, estroverso e guascone. Il giovane Marc Coma era, invece, discreto, gentile. Calmo. Come sempre sarebbe stato, aveva la testa lì e l’anima più avanti. Era il 31 dicembre, il giorno del compleanno di Fabrizio Meoni, che partiva con il numero 1 di detentore e che avrebbe vinto anche quell’edizione della Dakar, con la KTM bicilindrica. Nessuno dei tre spagnoli, invece, avrebbe finito quella Dakar ma, a parte Gil, Roma e Coma ne sarebbero diventati due dei più grandi interpreti.


Il 7 luglio, ad Avia, la città dove è nato il 7 ottobre del 1976, Marc Coma ha concluso ufficialmente le operazioni, iniziate con il comunicato del 2, del suo ritiro dalle corse per assumere l’incarico di Direttore Sportivo della Dakar.
 

Naviga su Moto.it senza pubblicità
1 euro al mese


Roba da non credere. Non ci volevo credere, non riuscivo a mandarla giù. Ci voleva un evento ufficiale per convincermi che non era uno scherzo. L’abbiamo detto, credevamo poco ad un futuro già segnato, già all’indomani della quinta vittoria, pochissimo al passaggio alle auto, per niente ai camion. Ma alla sfida al primato di Stephane Peterhansel sì, e a un ruolo senza casco a dirigere la “famiglia” KTM dei Rally, anche. Per questo, come abbiamo già detto, parlavamo di “stagione chiave”. Oggi sappiamo che lo è, ancor di più, per motivi molto più importanti, che abbracciano la sfera globale, personale di Marc e della Dakar.
 

Marc Coma è l’Uomo che vuol dire un passo importante in avanti, un salto per la Dakar. Ecco, a nostro modesto parere, perché.

In tutta la sua carriera, Marc è sempre stato prima Uomo e poi Pilota. Ha il dono della saggezza dell’uomo “qualunque” in mezzo agli altri uomini comuni, solo avvicinati da una grande, speciale passione. Come tale ha sempre avuto una grandissima sensibilità nel mettere costantemente in rapporto il contesto umano con quello sportivo. Ha commesso pochissimi errori, due soltanto, ed è tutto, a mio giudizio, e il suo contributo di “giustizia” è esemplare. Alla Dakar della grande trasformazione, il cambio di geografia è solo un aspetto dell’evoluzione, mancava un collegamento di sensibilità tra gli Organizzatori e i Piloti. Etienne Lavigne è una bravissima persona, ma la totale dedizione alla causa che è il suo lavoro e il suo credo, una causa costellata di una miriade di problemi, lo ha assorbito completamente, privandolo del tempo da dedicare al collegamento umano con i Piloti. Ne è derivato un personaggio in conflitto con se stesso, distante suo malgrado dalla “base”, a volte furtivo e con lo zaino sempre pieno di situazioni da gestire, anche difficili, talvolta difficilissime.
 


Il caso, la tappa boliviana del Salar di Uyuni di quest’anno, ha messo a confronto l’Organizzatore e il Pilota, Lavigne e Coma.

Quella tappa “non s’aveva da fare”, eppure era scritto che si sarebbe fatta per troppi motivi, anche politici. Coma aveva messo da parte la sua Dakar ed era dalla parte dei Piloti, faccia a faccia con Lavigne. La decisione non l’ha soddisfatto e l’ha manifestato, pubblicamente e, sicuramente, in privato con Etienne. Mi piace pensare che quello è stato il momento dell’incontro, della svolta, dell’idea di Lavigne di un grande, nuovo equilibrio tra Piloti e Organizzatore.
 

Hanno scritto che Marc Coma prende il posto di David Castera, ma è una definizione riduttiva. Lo stesso Lavigne ha spiegato meglio: Coma sarà il suo “coéquipier”. Non un funzionario esecutore, non un braccio destro ma, molto di più, l’espressione di un confronto costante e più equilibrato tra le esigenze dei piloti e quelle degli organizzatori. La Dakar sarà più grande per questo.
 

Coma sarà l’espressione di un confronto costante e più equilibrato tra le esigenze dei Piloti e quelle degli Organizzatori


La Dakar non ha mai avuto un Direttore Sportivo che non fosse francese. L’arrivo di Marc Coma rompe questa tradizione, in modo quasi traumatico se si pensa che gli spagnoli sono tradizionalmente, quasi campanilisticamente rivali dei “transpirenaici”, e ne sono stati anche i più spietati critici. Decade così anche l’ossessivo luogo comune del Rally incondizionatamente filo-francese, e per questo la Dakar sarà più grande, autenticamente universale.
 

Per ora sono stati solo addii e ringraziamenti. Ancora non è stato reso noto il “programma” di Marc Coma. Nelle frasi pubbliche del campione, tuttavia, si leggono più volte le parole Avventura, Africa, Amore. È noto che l’amore di Marc Coma per la Dakar affonda le radici nell’avventura africana della più grande Corsa del Mondo. La trasposizione geografica della Dakar ha inevitabilmente cambiato certi parametri, si è passati dalla solitudine avventurosa della corsa nei deserti africani, all’evocazione delle leggendarie Carrera sudamericane tra due ali di folla in un delirio di entusiasmo e di passione. Il risultato è una corsa più… corsa, e un po’ meno avventura e più fenomeno di massa. Coma ha più volte dichiarato di augurarsi il ritorno, un giorno, della Dakar in Africa, ma realisticamente l’augurio è la metafora del ritorno del Continente ad una situazione più serena, per gli africani prima ancora che per la Dakar. L’”innamorato” della Dakar lavorerà dunque sull’imprinting dell’avventura, e l’intelligenza di un innamorato, con la testa nel presente e l’anima più avanti, è la forza che aiuterà la Dakar a trovare la sua nuova dimensione di più grande avventura.
 

Ogni volta che è stato chiesto a Coma quale fosse l’aspetto più duro della Dakar, la sua risposta è sempre arrivata senza esitazioni: la Sicurezza. Che la Dakar sia un’attività con un alto coefficiente di rischio non lo scopre nessuno, così come è chiaro che la tendenza a farne costantemente un evento sempre più sicuro è una legge. Lavorare sulla sicurezza significa operare senza pause e simultaneamente su tre fronti fondamentali, che riguardano la prevenzione, e quindi il disegno del Rally, l’”educazione” dei suoi partecipanti, i road book; la logistica, quindi mezzi, monitoraggio e “servizi”, tecnologie; la gestione delle emergenze, che possono dipendere da mille fattori, di natura climatica, logistica, morfologica, e anche del tutto casuali. L’efficienza della macchina organizzativa, in questo senso, si basa sul contributo di equipe esperte, ma anche e soprattutto sull’efficacia del coordinamento, dello scambio di informazioni e sull’autorità degli interventi. Sotto questo aspetto poter contare sull’esperienza di un Campione come Marc, che ha vissuto ogni aspetto della sicurezza sulla propria pelle ed elaborato una raffinata intelligenza “globale” di gestione della Corsa, sarà un contributo decisivo, su un livello decisamente superiore.


Si dirà che Coma lo “spagnolo” sarà utile anche sotto il profilo dell’immagine “latino-americana” della Dakar e dei suoi risvolti politici, che il suo carisma e la personale conoscenza dei Piloti e dei Team potrà rendere più agile il rapporto tra Organizzatore e Concorrenti, magari anche che, scegliendo uno spagnolo, i francesi congelano ad libitum il record del francese Stephane Peterhansel. Sono tutte cose vere, alle quali non bisogna dare, però, troppo peso.


Il “colpo” da maestro di Etienne Lavigne è quello di avere dato alla Dakar una nuova, grandissima intelligenza, in questo modo moltiplicando la propria e quella di Marc Coma. È la prospettiva di un’iniezione di valore epocale al mito dell’evento del motorsport più grande del Mondo.


Buon lavoro Etienne Lavigne, buon lavoro Marc Coma.

 

 

Argomenti

Ultime da Dakar