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Termas del Rio Hondo, 4 gennaio 2016. Per primo Simone Agazzi. Merita l’apertura e una considerazione più approfondita delle sue sventure. Non è successo niente di grave, ma l’enorme disparità tra proposito e risultato rendono più amaro l’epilogo inaspettato, non certo meritato e cinico. C’est le Dakar, liquiderebbero i francesi, e in questo caso sarebbe nient’altro che distillato d’impudenza. Agazzi è caduto nella prima parte della Speciale, neanche 100 chilometri, sopravvalutando la distanza che lo separava da un pericolo segnalato e distraendosi nella polvere di un altro concorrente davanti a lui. Evacuato in elicottero, Simone era già fuori gara quando la diagnosi gli ha rivelato la frattura di una spalla. Abbastanza per metterci una croce, per doversi sentire comunque tagliato fuori. A bruciapelo. Destino senza alcun rispetto né per l’impegno né per la passione che aveva spinto il bergamasco a mettersi nella scia di un suo compaesano ben più famoso, Giovanni “Gio’” Sala. Ma ci mancherebbe altro che il fato si mettesse a fare differenze o riflessioni e iniziasse a punire su base meritocratica. Non sarebbe più il destino, inflessibile e misterioso, cieco, ma il solito strumento di un potere sbagliato.
Simone torna a casa, non è stato il primo a vedere interrotta prematuramente la sua avventura, e non sarà l’ultimo. E si dirà che ha esagerato, che ha sottovalutato i rischi e che ha pagato un pelo caro, d’accordo, ma giusto secondo il codice della Dakar. Ecco dove ci sentiamo di dover entrare in scena, non dalla parte dell’accusa bensì per “difendere” Agazzi. Giusto la sera prima, al bivacco di Villa Carlos Paz, ci siamo intrattenuti con Simone, accanto alla sua moto, le ultime rifiniture alla preparazione del giorno dopo e poco prima di andare in branda. Tutto a posto. Un inizio di Dakar un po’ lungo e anche tedioso, la sfortuna di una lunga tappa annullata ma non per questo meno impegnativa, sotto l’acqua, controvento nel buio, il cuore in gola troppe volte. E questa Dakar che non si decideva ad iniziare veramente. Nessun segno di nervosismo, anzi. In forma, sereno, pazienza e molta circospezione. E chi la conosce questa Dakar. Peccato quella prima tappa sotto l’acqua, annullata. Forse gli sarebbe piaciuto farla, ai bergamaschi due gocce d’acqua non fanno paura, e magari c’era anche da divertirsi. Calma, verrà da divertirsi, se è questo che aspetti. Ma Agazzi lo sapeva benissimo, si dimostrava in questo assai più esperto del suo ruolino di marcia di Dakariano. Pazienza, diceva la sera prima di andare a letto. Credo di aver fatto tutte le cose abbastanza bene. Mi sono preparato, ho fatto la mia moto come si deve, non ho intenzione di strafare, diceva. Poi con grande calma rincalzava il telo antipioggia che doveva proteggere la sua Husqvarna Rally dalla pioggia, anche solo dall’umidità. Con attenzione, quasi con affetto. O è l’impressione che mi faceva. Gli ricordavo che, comunque sia, la Dakar va presa con le pinze, mai di petto o con ambizioni smisurate, con superbia o anche soltanto sotto pressione o agitati.
Allora Simone, con grande umiltà, prendeva la parola. “Non so bene tutto il resto. Ma per quanto riguarda il non strafare e prenderla con calma e attenzione, ho un metodo infallibile per ricordarmente. Penso spesso alle mia bambine e a mia moglie, e mi è facile darmi una calmata pensando a loro a casa, che magari stanno in ansia per me!”
Ecco ricostruiti i fatti che “assolvono" Simone. Calma perfetta. E solo una grande sfortuna. Pazienza, ci vuole.