Dakar 2016. Toby Price, australiano orgoglioso!

Dakar 2016. Toby Price, australiano orgoglioso!
Terzo lo scorso anno, Toby Price è l'incredulo vincitore della Dakar. Tutto è venuto senza che lui se ne accorgesse, ma per i compagni di squadra era già il numero 1. È molto orgoglioso di essere il primo australiano a esser riuscito a vincere la Dakar.
18 gennaio 2016

18 agosto 1987, Nuovo Galles del Sud. A 28 anni, dunque, Toby Price vince la sua prima Dakar. L’anno precedente, al debutto, è stato il miglior rookie conquistando il terzo gradino del podio alle spalle di Marc Coma e Paulo Gonçalves. Ancor prima è stato per quattro volte il più forte pilota delle gare del deserto australiano. Quattro volte ha vinto la Finke Desert Race, quattro volte la Hattah Desert Race. Nel 1012 è stato vice campione della Baja 1000, l’anno dopo ha rischiato di rimanere su una sedia a rotelle per un incidente che gli è costata la frattura di tre vertebre e un intervento delicatissimo.

Ma prima ancora la tragedia ha bussato alla porta di casa sua, insegnando a Toby Price il valore del desiderio di vivere e di riuscire a fare le cose che si desiderano di più. Vincere la Dakar non era un’urgenza, ma il fatto di essere stato scelto da KTM, di far parte del “pacchetto" di ricambi all’indomani del ritiro di Marc Coma, e di aver passato vari mesi in Spagna alla scuola di Jordi Viladoms, ha fatto sì che i tempi iniziassero a comprimersi, e al resto ha pensato lui, questo gigante australiano che per la prima volta porta la vittoria della Dakar nel suo Paese, e per la prima volta, in verità, anche fuori dall’Europa. In due anni, la parabola di Price ha già raggiunto una vetta importante, ma la cosa che più mi colpisce è come Toby Price sia amato dai  meccanici e dai suoi “colleghi”, giovani e più anziani. È un segnale di grandi cuore e bravura, e del grande rispetto che suscita

Quando hai scoperto di poter vincere la Dakar?

«Bella domanda. No, non me la sono mai posta, e ti devo dire che lo scopro solo adesso, appena dopo esserci riuscito. Non ci volevo credere fino a pochi metri dal traguardo, ma dopo averlo tagliato, sì, è una bella scoperta. Lavoro forte da tre, quattro anni, e questo era il mio secondo tentativo. È una sensazione meravigliosa. È un momento stupendo, vorrei che fosse ancor più lungo. Sì, mi accorgo solo ora che non avevo mai pensato a un risultato alla Dakar. Era come un sogno, una cosa alla quale è difficile pensare seriamente, freddamente. Ed ecco perché adesso mi sento quasi sotto shock, incredulo. Penso che debba essere più facile per i miei amici, per i miei familiari che mi vedono e ci pensano più freddamente».

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Cosa pensi di questa edizione della Dakar?

«È un mix micidiale di… tutto. La Dakar ha tutto e di più di ciò che è duro, difficile. È sempre al limite. Al punto che talvolta va oltre il limite e diventa troppo difficile. Anche per gli organizzatori. Guarda quest’anno. un sacco di tappe annullate o accorciate. Tempo nuvoloso, piovoso, tempestoso. E poi caldo, caldissimo. E l’altitudine, la montagna, le partenze di notte. Davvero di tutto, due settimane davvero lunghe. Adesso penso proprio che mi serva un break!»

L’anno scorso hai aspettato per attaccare, poi hai preso in mano le redini della tua corsa e sei finito al terzo posto. Quest’anno, all’inizio sembrava che tu volessi attaccare subito, ma poi ti sei fermato e ti sei messo ad aspettare. Cosa aspettavi?

«Che la Dakar diventasse più impegnativa. In effetti all’inizio sono partito forte, ma solo per vedere come stavo. Poi mi sono accorto che nella prima settimana non c’erano tappe nelle quali poter fare una reale differenza, poca navigazione e molte piste dritte, c’era solo da rischiare. Così mi sono deciso ad aspettare la seconda settimana, che sapevo sarebbe stata ben più difficile e impegnativa. Volevo arrivarci in gran forma. E in effetti, quando è iniziato il viaggio di ritorno dopo la giornata di riposo di Salta, mi sentivo molto fiducioso, molto bene sulla mia magnifica moto, e mi stavo divertendo. Ero a mio agio, non ho commesso alcun errore di navigazione, e le tappe sono venute bene, senza troppe difficoltà. Sentirsi bene, questo sì che è importante».

Importante la motocicletta, l’abbiamo capito. Ma quanto è importante un team così forte e collaudato, per vincere alla Dakar?

«È “solo” fondamentale. Non posso crederci ancora, se ci penso, che KTM mi abbia scelto come pilota ufficiale per la Dakar e i Rally Raid! È meraviglioso far parte di una squadra come questa. Il segreto sta nel disporre del miglior materiale, delle migliori persone e dei tecnici più bravi. E naturalmente un’esperienza vincente ormai di lunghissima data, senza mai alcuna pausa. È una di quelle situazioni ideali, nelle quali senti uno stimolo in più dovuto al fatto che non hai scuse. Hai il meglio, devi dare il meglio di te! Ti danno tutto, e aver vinto è il modo migliore per ripagarli. Un grande grazie alla squadra, a KTM. Terzi lo scorso anno, una stagione consistente, finalmente la vittoria alla Dakar. Stiamo toccando la luna con un dito».

I festeggiamenti per la vittoria del team KTM
I festeggiamenti per la vittoria del team KTM

Ricordi che nessun australiano aveva mai vinto prima d’ora?

«Eccome se me ne ricordo. Man mano che realizzavo di aver vinto, mi venivano in mente tutte le persone più care. Prima una a una, poi a grappoli. Amici e familiari, soprattutto, ma poi ci sono le persone che mi hanno aiutato, quelle che mi hanno permesso di superare momenti difficili. Era come essere al centro di un gruppo sempre più vasto, più grande. Al centro del mio paese. È così che mi sono reso conto che nessun australiano aveva mai vinto la Dakar. Ci sono stati piloti molto forti, anche molto sfortunati, ma nessuno mai, prima d’ora. È così che si acquisisce la consapevolezza di aver fatto qualcosa d’importante, di appartenere a un Paese, di essere orgoglioso della gente della tua terra. Sì, sono molto orgoglioso di essere il primo vincitore della Dakar del mio Paese».

Foto: Kin M./Bauer/KTM Media Library

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