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Las Vegas, 24 Agosto. Penso che Joan Barreda possa essere contento. Ha vinto due gare importantissime nel giro di un mese, Baja Spain e Vegas to Reno, e in mezzo, tra le due, ha infilato un mese di gran lavoro. Tutto in America, nei deserti della California e del Nevada, luoghi mitici per il Fuoristrada USA, e inquietanti come la terribile Death Valley. La vittoria della Vegas To Reno è basilare, non tanto per il palmarès ma perché si tratta di una competizione molto impegnativa e decisamente “diversa”. È una classica che non si può affrontare con ambizioni se non si è all’altezza di una concorrenza agguerrita, e se non si è disposti a soffrire su piste che possono essere semplicemente infernali. Ma l’obiettivo del Team HRC Honda, e del pilota signor Joan Barreda, era quello di sottoporre la evoluta CRF450 Rally a un impietoso “massacro” di test e corse, così da tornare alle officine del reparto corse di Barcellona con una nuova, ricchissima biblioteca di dati.
Buongiorno Joan, contento dunque, non è così?
«Ciao Piero! Sì, sono contento, ma direi che lo sono soprattutto alla fine di questo intenso mese di lavoro globale tra Spagna e Stati Uniti, perché è stato diverso ed è quello che, una volta concluso, ci permette di dire oggi che sta andando tutto bene, esattamente come avevamo immaginato e programmato dopo la Dakar. Abbiamo impostato una stagione un po’ diversa, con una pianificazione un po’ diversificata su più fronti di impegno. Al termine della Dakar ci siamo seduti con lo stato maggiore Honda, e tra le altre cose abbiamo deciso di impostare un programma basato sull’affidabilità. Mi hanno incaricato di occuparmi della “durabilità” e dello sviluppo della moto. Sono diventato il centro della raccolta dei dati sullo sviluppo della moto e della sua affidabilità, e questa è diventata la priorità anche sul calendario e sulla tipologia delle competizioni da affrontare».
Anche per questo avete parzializzato il vostro impegno nel Mondiale?
«Lo facciamo, il Mondiale, ma non è la nostra priorità. Non abbiamo impostato la stagione sulle prove del Mondiale, ma abbiamo preferito cercare di fare anche delle gare diverse o corse che non ho potuto fare gli altri anni, o non con la stessa finalità. È il caso della Baja in Spagna, che abbiamo vinto a luglio, dell’esperienza alla Vegas To Reno, o del prossimo impegno che ci attende, quello cioè di partecipare al Cina Rally. Non sarò all’Atacama, ma questo è chiaro perché non era possibile stare in due parti del Mondo nello stesso momento, e non so ancora se parteciperò al Rally del Marocco, ma preferisco così. Preferisco lavorare per avere una moto che mi dia la massima garanzia che non si rompe e non si ferma».
Lavorare sullo sviluppo e l’affidabilità è un compito che non sempre rende felice i piloti. È il tuo caso?
«No, al contrario. Anche sotto questo aspetto sono molto contento. Sto lavorando sulla nostra moto e tutti insieme abbiamo operato su un’infinità di particolari, piccoli e grandi. Alla fine sappiamo che può succedere di tutto, ma penso che abbiamo preso una buonissima direzione e abbiamo già raccolto moltissimi dati e indicazioni che lo dimostrano. È anche questo tipo di impegno che ci ha permesso di capire dove abbiamo sbagliato negli ultimi anni, e di consolidare senza gli errori il buono di quel lavoro».
Come ti sei trovato in America?
«Qui in America? Bene, benissimo! Prima di tutto devo dire che lavorare su più fronti, test e gare, con Johnny Campbell è stata una grandissima esperienza. Mi piace tanto, lui ha una esperienza enorme, conosce i piloti e le corse come pochi al mondo. In più in USA Johnny è un autentico mito! È sempre una grande opportunità avere una persona così al tuo fianco e abbiamo lavorato per un mese benissimo, fortissimo e già affinando precisamente alcune prospettive buone per la prossima Dakar. Con il supporto della squadra, di Johnny e del suo team abbiamo svolto diligentemente il nostro compito ed effettuato tutti i test di affidabilità che ci eravamo prefissati».
Circa un mese di lavoro. Duro?
«Un bel lavoro, circa 4.000 chilometri su terreni, ritmi e caratteristiche di setting impostati per ottenere dei dati significativi sulle prestazioni e il comportamento, che già erano buonissimi, ma soprattutto sull’affidabilità della Honda CRF450 Rally. Abbiamo lavorato a velocità di prova speciale, in condizioni di temperatura e di terreno estreme, e anche sulla navigazione. Non crediate che sui deserti della California e del Nevada si possano tracciare delle linee rette e unire i due punti, non è così. Non è così neanche la Vegas To Reno, e in più si tratta davvero di una corsa speciale, molto dura e veloce, tirata, con due tappe di 500 chilometri, avversari bravi, esperti e che non mollano, e un ritmo elevatissimo senza la possibilità di riposare veramente, ad eccezione degli attimi concitati dei refueling».
Come hai vinto?
«Ho mantenuto un ritmo molto alto, soprattutto il secondo giorno che era senz’altro più duro, per confermare la leadership conquistata il primo giorno ma anche per mettere alla prova non solo la moto ma anche il fisico. Evidentemente, tutto bene: la moto e io ce la siamo cavata egregiamente in ogni contesto di terreno, dalle lente petraie da enduro ai velocissimi terreni sabbiosi e torridi sotto il sole martellante. Un bel test, passato nel migliore dei modi».
Torni a casa soddisfatto?
«Torno a casa contentissimo. Della moto, della gente del team e anche, devo dire, di me. Sta andando tutto bene e come speravamo, tra di noi, con i giapponesi, con la moto che si dimostra ogni giorno più competitiva. Da fuori forse si vede che non stiamo facendo molte gare, ma da dentro vi assicuro che stiamo lavorando fortissimo e bene. Il programma continuerà a seguire il suo corso fino alla fine dell’anno, naturalmente con l’obiettivo di arrivare alla vigilia della Dakar Paraguay-Argentina-Bolivia al 100%. È un programma duro e impegnativo, ma siamo in tabella di marcia e, soprattutto visti i risultati, il lavoro non mi pesa e mi piace molto!».