Dakar 2017. Team Honda HRC, è svolta. Arriva Roberto Boasso

Roberto Boasso, 43 anni, piemontese, è il nuovo Team Manager del Team HRC impegnato nei Rally Raid. L’esperienza e la storia di uno dei tecnici più competenti e più amati del “bivacco”. Il Team punterà ancora su Barreda e Gonçalves
14 aprile 2016

Punti chiave

Va bene, lo sapevamo da un po’, ma era necessario dare tempo e spazio al divenire. Oggi, però, possiamo esplodere la nostra felicità, e accompagnare l’”insediamento” di Roberto Boasso che diventa Team Manager del Team HRC Ufficiale, per la Dakar e il Campionato del Mondo Cross-Country Rally.

È una notizia strepitosa, e un segno del correre del tempo, certo, ma con la corroborante certezza che la corsa va nella direzione giusta.


Roberto Boasso è il tecnico incaricato di portare le Honda sul tetto della Dakar e, possibilmente, del Campionato del Mondo Cross-Country Rally. Un programma di due anni più uno, come al solito, molto ambizioso, ma forse questo spiega ancor più chiaramente il motivo della scelta del Tecnico torinese, uno dei più competenti, esperti e amati, anche dai Piloti, del “bivacco”. Boasso, già operativo con una prima serie di test americani, “prende servizio” nella nuova sede di Barcellona del Team HRC Rally, negli ambienti Montesa-Honda di Santa Perpetua de la Molgoda che già ospitano le attività Racing del Trial. Roberto Boasso diventa così il “braccio armato” del triumvirato della Squadra, che comprende anche General Manager Martino Bianchi e dal Project Manager Taichi Honda. Il nuovo quartier generale si sposa perfettamente con l’accentuata configurazione “iberica” del Team, ed offre una situazione logistica ideale per la preparazione e lo sviluppo delle Moto, e per gli allenamenti della Squadra. Barcellona, poi, non è così lontana dal Piemonte, la Terra che ha dato i natali al nuovo Manager.
 

L'INTERVISTA

E del Manager Roberto Boasso vogliamo adesso tracciare la storia attraverso l’autobiografica intervista che ci ha “concesso”.

Ed è giusto che cominciamo da lontano, come si dice all’inizio degli “interrogatori”… dall’inizio.

 

Roberto Boasso: «Sono Nato a Bra, Cuneo, vicino alla pista di Motocross che è stata famosa negli ’70-’80, il 6 Giugno 1972. Sarà la vicinanza alla pista, il fatto che mio padre correva nelle gare in salita con un Sidecar motorizzato Kawasaki 750 2T, o tutte queste cose messe insieme, sta di fatto che sono cresciuto in quella speciale atmosfera che ti guida sin da piccolo. Sin da bambino il mio desiderio più forte era quello di diventare pilota di Motocross. Sono cresciuto, infatti, con idoli del valore di Michele Rinaldi e Alex Puzar. Di loro sapevo tutto, e il mio diario di scuola era pieno delle loro foto incollate sulle pagine. Lo spazio che rimaneva era riempito dalle… note!».

 

Ma la marcia di avvicinamento alla Dakar inizia un po’ più tardi…

«Di Bra è anche Franco Germanetti, un eroe, pioniere della Dakar, la prima nel 1986. È in quel periodo che in famiglia si inizia a parlare di quella avventura, mio padre aveva lavorato con i Germanetti, e che io scopro la Dakar. All'epoca la passavano alla televisione e io mi appassionai. A 14 anni, cedendo alle mie insistenze, i miei mi comprarono un’Aprilia che avevo voluto in versione Tuareg 50, e che mi dava l’impressione di guidare uno di quei bolidi della Parigi Dakar. Finita la scuola, andai a lavorare, e manco a dirlo in un’officina, Yamaha. Negli anni ho cambiato varie officine, fino a che sono riuscito ad allestire la mia nel paese dove vivo ancora, Vigone. A Vigone, che è famosa solo per il cavallo Varenne, vive anche un “Dakariano” purosangue, Giampaolo Quaglino, un grande pilota e appassionato con un curriculum zeppo di Rally e di Dakar, di quelle vere in Africa. Un giorno “Giampi”, che doveva aver mangiato la foglia, mi disse: “Dai ti porto con me a un Rally, visto che sei cosi appassionato!” Era il Rally di Tunisia del 1995, e lì conobbi tutta la “banda” dei Dakariani Torinesi, oltre a Giampaolo, Aldo Winkler, Daniele Cotto».

 

E si comincia a fare sul serio?

«Si comincia a… imparare! Con i “torinesi” ho fatto molti Rally come meccanico, ed è stata la mia prima, grande Scuola specifica. In quegli anni ho scoperto che bisognava sapersi inventare di tutto, e per fortuna Daniele Cotto, che è un artista del fai da te, mi ha insegnato un’infinità di cose. Poi, sempre Quaglino. Mi propone di fargli da meccanico alla Dakar. Un tuffo al cuore, un po’ come in questi giorni, non ci potevo credere. Ma era tutto vero, era la Dakar-Agadez-Dakar del 1997. Certo, la ricordo bene, come se fosse oggi, indimenticabile! Avevo consumato i giornali a leggere e guardare le foto della Gara e dei suoi luoghi mitici, e avrei dovuto passare la mia prima “giornata di riposo” a Agadez! Ancora ricordo la sensazione fortissima di incredulità, e di come tutti i miei sogni si trasformavano, pian piano, in realtà. Un anno magico. Lo stesso in cui conobbi Papà Degavardo, Giorgio, un personaggio incredibile. Fu lui a mettermi sul trampolino. Mi chiese se volevo fare il meccanico di suo figlio Carlo per la Dakar… Accettai, certo che accettai, per me non era il caso neanche che la proposta mi arrivasse con una domanda, poteva benissimo essere un ordine! E da lì è partita l’avventura meravigliosa che è durata quasi dieci anni».

 

Avventura, esperienza e… risultati. No?

«Sì, Carlo è stato un grandissimo pilota, il primo vero idolo sudamericano della specialità. Con lui ho conquistato un podio alla Dakar del 2001 e tre titoli di Campione del Mondo, due con la 450 e uno nella “open”. Con Carlo Degavardo è iniziata anche la mia prima avventura con KTM, come meccanico Factory, ed è durata finché non lui ha smesso con le Moto. Bellissimo. In quel periodo ebbi anche la fortuna di fare il meccanico per più grande Pilota e Dakariano di tutti i tempi, Fabrizio Meoni, a un magnifico Master Rally. Terminata l'”era” Degavardo, ma non la profonda amicizia che tuttora mi lega a quella famiglia straordinaria e sfortunata, per un attimo ho calato il ritmo, senza tuttavia mai abbassare il tiro. Ho fatto il meccanico per Terranova come privato, poi uno stop alla Dakar per due anni, e quindi sono tornato con l’Aprilia della breve avventura Factory come meccanico di Joan Barreda. Eh sì, a volte ritornano!».

 

E poi sono arrivati i giorni bui…

«Si vede che nella vita bisogna passare anche attraverso queste esperienze. Dopo la parentesi Aprilia, in effetti, si aprì la porta di un nuovo progetto, sulla carta molto interessante. È la storia Bordone-Ferrari, un appassionato che decide di costruire una moto da Rally tutta italiana. Fui chiamato a fare parte della squadra, una squadra speciale che aveva il pregio di essere formata dagli amici della grande esperienza della Dakar. Il mitico Fernando Prades, storico meccanico di Kinigardner e insieme al Campione austriaco inventore e pioniere delle KTM per la Dakar. Romeo Feliciani, storico meccanico di Fabrizio Meoni, un’autentica leggenda Africana, e “Valvola” Valter Fortichiari, altro mito delle Dakar. la squadra era formata da quattro piloti, Alessandro Botturi, Jordi Viladoms, Gerard Farres e Paolo Ceci. Dal punto di vista sportivo fu un successo straordinario. Il podio sfiorato, tutte le Moto al traguardo, tre nei primi dieci, e il miglior “rookie”. Successivamente arrivò anche un altro pilota cileno, Francisco “Chaleco” Lopez, che avevo voluto io».

 

Una bella avventura, sulla carta, una sonora fregatura alla fine. Una brutta storia di cialtroni, e di nessun rispetto per le persone intrappolate nella passione. E sappiamo come è andata a finire!

«Purtroppo l'avventura bordone finì troppo presto. E tutti quelli coinvolti si sono ritrovati, e io tra questi, a piedi e con il… sedere per terra. All’ultimo tuffo decisi di rimanere comunque al fianco di Chaleco. Comprammo una KTM Replica di serie, la smontai tutta in un garage di Santiago, rifeci le sospensioni e i settings, insomma la preparai per la Dakar in un’avventura totalmente nuova, con la sola cassetta dei ferri e dormendo, come al solito ma più del solito, pochissime ore. La moto non era Factory, ma quella Dakar fu la più bella. Senza alcun supporto vincemmo 5 tappe e stavamo lottando per la vittoria quando, durante la penultima tappa, tac, si rompe il cambio. Terminammo comunque sul podio. Terzi, un podio stupendo conquistato con tutte le nostre forze e da soli, Chaleco, Carlos Jimeno, Jordi Arcarons in aiuto per i radbook, e io che facevo un po’ di tutto, dalla moto, ovvero tutto dal motore alle sospensioni, allo… psicologo del Pilota! Quel podio mi fece capire che non bisogna mai mollare. Dopo aver toccato il fondo con il team precedente, lavorando sodo e credendoci, arrivarono i risultati, quei risultati che ti fanno bene».
 

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Il livello oggi è molto alto, sei sempre al limite e se non sei più che in forma fisicamente e mentalmente la Dakar ti fa male!


Finisce che uno si vota alla Dakar?
«In un certo senso sì. Perché la Dakar è una di quelle cose che ti prende l'anima. Ti fa vedere le stelle, e quando salì sul podio non lo dimentichi più, ma ti sa fare anche molto male! Ma ero destinato a rimanere a piedi ancora una volta. Chaleco aveva deciso di smettere, giusto alla vigilia di una Dakar. Troppe cadute, troppe fratture. Saggia decisione, da amico ero d’accordo con lui. Succede inevitabilmente, se fai questo mestiere con passione, che il rapporto fra meccanico e pilota diventa molto profondo, e puoi arrivare al punto che non puoi più vederlo rischiare la vita. Questa è una parte fondamentale del “lavoro” che un meccanico della Dakar deve sentire e saper fare, conoscere il proprio pilota e aiutarlo a prender le decisioni più importanti. Perché i rischi che si corrono sono tanti, e quando sei fortunato ti fai molto male. Il livello oggi è molto alto, sei sempre al limite e se non sei più che in forma fisicamente e mentalmente la Dakar ti fa male!».

 

Avanti, per piacere, la storia è bellissima.

«Siamo quasi ai giorni nostri. Io avevo ancora un contratto con KTM. Alex Doringer, il “Boss”, mi chiese di fare da meccanico per un pilota australiano. Era una scommessa di Alex, finanziata da lui. Una moto standard. Mi disse: “Roberto, tu hai esperienza e voglio che tu vada con Toby Price. Alex vinse la scommessa, il “Canguro” salì sul podio e fu la rivelazione della Dakar, e oggi ha vinto ed è l'uomo da battere. Poi Alex Doringer mi chiese di lavorare con la Squadra Husquarna. Un nuovo Team, anche se in parte già collaudatissimo, un nuovo Marchio alla Dakar. Alex mi chiese di fare il meccanico per un… cileno, vista la mia confidenza con i Cileni. Mi dispiaceva lasciare Toby, ma naturalmente accettai, e con Pablo Quintanilla abbiamo vinto l’Atacama Rally e conquistato un altro podio alla Dakar, storico per Husquarna».

 

Husqvarna, ma la stessa famiglia.

«Sacrosanto! Per me il gruppo KTM è stata una famiglia vera. Più di dieci anni assieme, moltissime vittorie, bellissimi ricordi, anche tanta sofferenza per i Piloti scomparsi. Devo tanto a Stefan Huber e ad Alex Doringer, perché mi hanno sempre aiutato a crescere. Ancora nel 2016 Alex mi propone di cambiare tutto e di diventare responsabile tecnico della Squadra Husquarna dell’Enduro. Dopo 16 Dakar decido di accettare, a patto che ci sia sempre un posto per me alla Dakar».
 


Tutto sistemato, tutto da… ripensare.

«Una sera mi arriva un messaggio da Barreda. Nudo e crudo. Mi chiede se voglio fare parte della Squadra Honda come Team Manager. Mi dice che vorrebbe tornare a lavorare con me! Quella notte non ho dormito, la tentazione era forte, la sfida ancor di più. E poi c’è il prestigio di una squadra come HRC. Ma c’è anche il dovere affrontare, prima di tutto, la mia… famiglia. Sì, perché KTM non è un team o un datore di lavoro, in quel momento è la mia famiglia. Non dormo per giorni, e intanto Martino Bianchi fa il diavolo a quattro per portarmi in Squadra!


Ritorno in Austria, voglio parlare con Alex e Stefan. Non è stato facile, non cancelli gli anni passati insieme, e non è facile prendere un’altra strada con un presupposto così forte. Ma ci sono momenti nella vita in cui non puoi neanche guardare troppo indietro. Vuol dire che dovrò aprire nuove porte e creare una nuova famiglia! Ho avuto veramente paura. Lasciare qualcosa di solido, qualcosa di indistruttibile. Ho pensato alle avventure della mia vita, a Bordone-Ferrari e Chaleco, rimanere a piedi e poi rischiare di vincere. Allora, mi sono detto, perché non riprovare la stessa emozione e accettare la nuova sfida? Ancora un po’ di tira e molla, soprattutto mentale, affettivo, emotivo, poi accetto la proposta Honda. Comunico a KTM la mia decisione. Mi sono arrivati molti messaggi, da parte di “quasi” tutta la Squadra, ma questo era prevedibile. Il più bello, toccante, è di Stefan Huber, che ancora una volta dimostra di essere una persona speciale, leale, e un grande amico. Un altro mi augura buona fortuna… ma non troppa! Speriamo che si sbagli! Sono dentro alla mia nuova sfida. So che non è per niente facile, perché conosco molto bene i miei avversari, ma voglio giocarmela lealmente, con tutta la passione!».

 

Possiamo aspettare ancora un po’ e riparlarne, se vuoi, ma c’è già un piano di base?

«Il piano è lavorare, naturalmente. Sulla Moto e sul Materiale Umano. La Squadra rimarrà quella che è già stata definita, Barreda e Gonçalves rimangono i piloti di punta. Barreda lo conosco già “direttamente”, è un gran talento, un ragazzo fortissimo che va seguito, e sinceramente voglio provare ad assecondarlo. È un Pilota molto sicuro di se, a patto però che tutto quanto è attorno a lui sia perfetto».
 

Joan Barreda
Joan Barreda


Certamente il Team è a una svolta, ma lo sei anche tu?

«Direi senz’altro di sì. Ora le cose cambiano anche per me. Fino ad ora c’era in primis la moto, e dopo la faccia del pilota. Adesso sarà meglio che mi concentri prima di tutto sul cercare di “leggere” e capire i piloti, e solo su un secondo piano dei meccanici e del resto del lavoro da fare sulla moto, Con i giapponesi il rapporto personale e di lavoro è un po’ diverso da quello che siamo abituati a conoscere, ma già dopo primi test che abbiamo fatto sono iniziati ad arrivare dei messaggi molto belli. Iniziano: “Roberto san…».

 

Un capitolo bellissimo, di una storia bellissima, inizia ufficialmente oggi. Ne abbiamo viste di cose eh?

«Sai Piero, noi ci siamo conosciuti proprio a quella Dakar-Agadez-Dakar. Tu avevi ancora i capelli biondi, io continuo ad averli rossi, anzi ora rosso Honda. A partire da quella Dakar abbiamo sempre diviso gioie e dolori, ci siamo sempre raccontati un sacco di cose, e forse è per questo che quando ho ricevuto la proposta ti ho chiamato. Mancava il caffè del bivacco, ma ci siamo raccontati tante cose, e io mi sono confidato con te e devo dire che tu mi hai dato un bel input. Adesso spero di darti qualcosa di bello da scrivere in futuro!».
 


Ma questa è una delle cose più belle che potevi darmi da scrivere, sono talmente felice. Grazie amico, in Bocca Al Lupo “Rosso”!

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