Dakar 2018. Se non Mathias Walkner e KTM, chi avrebbe potuto vincere?

Dakar 2018. Se non Mathias Walkner e KTM, chi avrebbe potuto vincere?
La Dakar è sempre la gara delle grandi occasioni mancate. Chi vince è spesso il pilota più accorto, quasi mai il più veloce, almeno nella circostanza. Vediamo cosa sarebbe potuto accadere
31 gennaio 2018

Cordoba, 21 Gennaio. Il campione della Dakar è sempre e immancabilmente un Pilota speciale. Molto speciale. Per vincere il Rally più lungo e difficile del Mondo occorre mettere sul piatto della bilancia una serie di attributi e di qualità, commisurati anche a una certa dose di fortuna, che solo alla fine fanno pendere il braccio dalla parte giusta. Solo alla fine. In caso contrario, quasi sempre è completa… contrarietà!


Si può essere il Pilota più veloce o più talentuoso, il più bravo a navigare, il più forte fisicamente, il più concentrato e costante nell’attenzione o il migliore stratega, ma una o più di queste qualità non servono a nulla se non sono accompagnate, e bilanciate, da tutte le altre. Un cocktail micidiale, al quale bisogna aggiungere altre due ingredienti esterni, quel poco di fortuna che è sempre necessaria e che va propiziata e aiutata, e una grande Squadra che sappia tenere sotto controllo l’altra faccia della Dakar, quella della parte tecnica, logistica. Il fattore “ambientale”. Tante, troppe cose? Certamente, ma l’impianto della Dakar ha dimostrato in quarant’anni di storia che ci vuole tutto questo.


Ha vinto Matthias Walkner, diciassettesima volta consecutiva di KTM. Questo ci aiuta a liquidare in fretta la questione “ambientale”. La moto, nelle sue declinazioni evolutive da vent’anni, la squadra, basata su uomini ed esperienze le cui qualità si sono sommate anno dopo anno distillando lo stato dell’arte, e l’impianto logistico. Tutto al di fuori di qualsiasi discussione e ben al di là di ogni ragionevole dubbio al riguardo. Da un altro punto di vista si potrebbe dire che la costante, l’arma vincente è proprio KTM. Ma qui parliamo di piloti. Vediamo com’è andata e come avrebbe potuto concludersi… un esercizio quasi inutile, solo riassuntivo.


Comunque, per inciso, Matthias Walkner ha vinto una sola tappa, la decima e ormai famosa di Belen, è saltato in testa al Rally e ci è rimasto fino alla fine. Come aveva fatto Coma nel 2015, e come ha fatto Sunderland l’anno scorso. Non è una strategia nuova. Alla Dakar c’è un momento propizio, ideale, che va saputo riconoscere e che deve essere sfruttato. Raramente se ne presenta un secondo uguale, giusto per attaccare e provare a fare la differenza. Tutti gli altri giorni è meglio star buoni, amministrare, cercare di non sbagliare.

Walkner era uno dei favoriti “ragionati”. Era arrivato secondo l’anno prima. Essere secondi vuol dire aver imparato un sacco di cose di Dakar e di strategia, ed è un buon lasciapassare per il paradiso, a patto che chi ha già vinto, e che quindi sa perfettamente come si fa, si faccia da parte. Già sulla carta, dunque, i favoriti erano ancora loro, i campioni di KTM, Sunderland e Price, vincitori delle due edizioni precedenti, o i cugini di Husqvarna, in particolare Pablo Quintanilla, fresco campione del Mondo Rally-Raid. Su un secondo livello, sempre in “famiglia”, Gerard Farres e Stefan Svitko, non favoriti ma nel giro dei “buoni”, degli exploit possibili.


Due diverse linee di tendenza eleggevano come favorito numero 1 Joan Barreda. La prima faceva riferimento alla statistica, a quelle 16 vittorie consecutive di KTM, inaugurate con la doppietta di Fabrizio Meoni nel 2001 e 2002. La linea si faceva forte del fatto che il record era già troppo lungo e non poteva resistere ancora. L’altra linea puntava sul fatto che Joan Barreda è uno dei Piloti più veloci in assoluto. Riunite nel fattore comune, la Moto, le due fazioni anti-KTM proponevano come vincitori Barreda e la Honda o, in alternativa e in mancanza dell’infortunato dell’ultimo minuto Paulo Gonçalves, Kevin Benavides e Honda.

Infine ci si augurava che le Yamaha fossero finalmente competitive, e in tal caso un credito di fiducia andava a Adrien Van Beveren, uno di estro a Xavier de Soultrait, e uno di passione e tifo nostrani ad Alessandro Botturi.


Com’è finita lo sapete. Barreda ha vinto la seconda tappa, ma si è perso in quella successiva lasciando mezz’ora sulla pista. Dall’altare alla povere in due giorni, e obbligato ad attaccare, Joan ha strabiliato massacrando gli avversari ad Arequipa, poi è iniziato il suo calvario. Primo a Uyuni, ma con il ginocchio distrutto, poi la disfatta alla Salta-Belen e il ritiro a Fiambala. Nulla di fatto, un futuro da ricostruire, il morale a terra, il contratto in scadenza e l’ottava Dakar infruttuosa nonostante buone, interessantissime premesse e incondizionati propositi. E non doveva essere Honda perché anche Kevin Benavides, lui in testa a un certo punto, si è fatto prendere dalla circostanza maledetta, la solita, discussa Tappa di Belen, e ha buttato tutto. Fattore ambientale? Sunderland era partito bene, ma forse un po’ troppo presto. Il suo ritiro non è conseguenza di un errore vero e proprio, ma di un momento chiave girato storto. La compressione è come certe cadute, spesso figlia di un attimo di distrazione, e in quei casi dover abbandonare è una tassa salata, ma scolpita nelle tavole della legge della Dakar. Price non c’era mai stato per una serie di errori non rimediabili con un bel finale, e una fila di problemi, piccoli ma determinanti, aveva già separato dall’élite Quintanilla.


E poi Adrien Benavides. Il francese non era uno di quei “vice” in grado di dare il piccolo salto, ma un campione parallelo che aveva dimostrato, insieme alla buona competitività di Yamaha, di poter fare il salto grande. Per molti e per noi era stato, per tutta la prima parte del Rally, il pilota più assennato. Costante, incisivo, consapevole. Cresciuto di colpo. Possibile. Due volte in testa nel momento in cui l’asse della Dakar delle moto ruotava attorno al confronto tra lui e Benavides, Yamaha contro Honda come agli albori, e un momento no, forse un attimo di deconcentrazione in un frangente di euforia, a pochi chilometri dal traguardo, Belen, e con la gara quasi in pugno dopo l’errore di Benavides. A monte!


Sunderland, Barreda, Van Beveren, Benavides, quattro favoriti, tutti e quattro in testa alla corsa, quattro ritiri mesti e, per molti versi, sconcertanti, dalla prima alla decima tappa. Poi è arrivato il successo parziale di Walkner, l’unico, quello definitivo. Alle spalle una squadra super. Totale trionfo austriaco.

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