Dakar 2018. Vince Matthias Walkner (KTM)

Dakar 2018. Vince Matthias Walkner (KTM)
Walkner è al primo successo alla Dakar ma ha trionfato su una KTM che ha vinto le ultime 17 edizioni
21 gennaio 2018

Cordoba, 20 Gennaio. Finale emozionante. Non perché ci fosse qualcosa di speciale nell’epilogo, ma perché l’intensità della 40ma edizione ha fatto dell’intera Dakar un evento speciale, ben oltre il fatto di essere un’occasione celebrativa importante. E quando c’è di mezzo qualcosa di speciale è giusto che ci sia l’emozione, come un plus sentimentale, è giusto che ci si emozioni.

 

Ha vinto Matthias Walkner, austriaco 31enne di Kuchi, dove è nato il 1 settembre 1986, alla sua quarta partecipazione. Due volte, 2015 e 2016, Walkner aveva abbandonato, era caduto e si era fatto male, ma lo scorso anno aveva concluso la sua terza partecipazione salendo sul podio, secondo alle spalle del vincitore Sam Sunderland. È ancora quasi un pivello, ma il cadetto è figlio della Squadra della sua Terra, corre e vince con la Moto prodotta dove è nato, ed è sostenuto da sponsor della sua Nazione. È una circostanza speciale, un fatto quasi patriottico, emozionante anche quello, in questo caso per chi vive la particolare situazione. Walkner è anche, e in questo caso soprattutto, figlio di Heinz Kinigadner, il leggendario bi-campione mondiale di Motocross, austriaco meno patriota forse, ma attaccato alla Marca come e più che se ne fosse uno dei fondatori: e certamente è uno dei ri-fondatori. È stato Heinz a portare Walkner al Rally Raid, alla Dakar. Ma oggi, in particolare, “Kini” ha portato Walkner alla KTM.


Walkner aveva vinto il Mondiale MX3. Un Titolo che non porta né soldi né carriera. È già tanto se vale come biglietto da visita per uno che sappia leggere, ma bisogna che sappia farlo tra le righe. Matthias va da Kinigadner, Kini sa leggere e capisce. Indipendentemente dal parere tecnico, Heinz decide che Walkner e KTM meritano questa opportunità. Il Pilotino di imparare in un’altra specialità, KTM di costruire, formare un Pilota da Rally from scratch. Il programma è un Mondiale ridotto, qualche Gara per farsi le ossa e capire.


La Dakar 2018 di Matthias Walkner è perfettamente…imperfetta. Perché non si nota, non ha storia né tratti epici fino alla decima Tappa, l’ormai famosa e ultra discussa Frazione di Belen, quel deserto inospitale che sta sulle rive aride del fiume in secca. È la Tappa di navigazione, per definizione. Fino a quel momento era stata una Gara ad esclusione, una decimazione, Piloti e leader fatti fuori o suicidati, massima instabilità di una classifica ancora compattissima, stretta. Van Beveren e Kevin Benavides in 22 secondi, e alle loro spalle Walkner, Price, Barreda e Meo in tre minuti. Sei, sette Piloti in dieci minuti in grado di giocarsela, solo Barreda, forse, senza più jolly da usare.


Ma quel giorno la Dakar si trasforma completamente, non si sa se per caso o per programma. Probabilmente per tutte e due le ragioni. È il giorno in cui KTM lancia l’attacco. L’idea è di spingere il tridente Walkner-Price-Meo all’attacco, rendendolo tuttavia perfettamente consapevole che c’è un problema di navigazione che può aiutare, ma anche diventare una Caporetto.


Il piano non funziona. Non come nei…piani. Il waypoint maledetto c’è, ma le carte vengono rimescolate dall’entusiasmo di Benavides che, giocando in casa, cade nella trappola del ci-penso-io, sbaglia, si perde, va in panico ma trascina nell’errore anche Meo e Price. Il tridente è spuntato, ma il caso aiuta Walkner che, leggermente staccato dal gruppetto guidato dall’idrofobo Banavides, non si lascia contaminare e fa tutto da solo, in quel caso navigando con pazienza e metodo, precisamente fino a prendere il punto e ripartire in sicurezza. Van Beveren ha evitato il cortocircuito partendo prima, Walkner ritardando l’azione. Più avanti, a traguardo ormai in vista, Van Beveren cade e si ritira buttando al vento leadership e Dakar quando poteva contare su un buon vantaggio, e Matthias Walkner porta in cascina l’intero raccolto. Va in testa alla corsa: Barreda, Farres, Price e Meo sono distanti anni luce, tra i quaranta minuti e l’ora.


L’ora dell’intelligenza. A Fiambala, partenza in linea Moto, Auto e Camion insieme, Barreda si arrende, Walkner si accoda a Peterhansel e Cottret, e affida alle venti Dakar vinte dentro l’abitacolo di quella Peugeot l’onere della navigazione.


Walkner vince una sola Tappa, la terrificante Belen, ma non commette mai un errore. Prima di quel giorno gestisce il ritardo da avversari sovreccitati; dopo, l’enorme vantaggio su concorrenti massacrati. Il gioco diventa facile, un perfetto gioco di Squadra che porta all’austriaco la prima vittoria alla Dakar, e a KTM il diciassettesimo Titolo consecutivo: un record incredibile inaugurato con la doppietta del leggendario Fabrizio Meoni, vincitore con la mono nel 2001 e con la bicilindrica di Mattighofen nel 2002.


E chi altri poteva vincere la Dakar delle Moto e di KTM? Secondo gli avversari almeno altre due Marche, Honda e Yamaha. Honda punta tutto e sempre su Joan Barreda, il che crea anche il conflitto in famiglia tra lo spagnolo e Kevin Benavides. Due potenti guerrieri, comunque Barreda si è fatto fuori da solo e Benavides si è confezionato da solo l’handicap. Yamaha era veloce, ma un po’ meno di Honda e KTM, e comunque sia De Soultrait che Van Beveren si sono…fatti fuori da soli. Lo strano è Van Beveren, che fino alla Tappa di Belen aveva fatto una Dakar sensazionale. Accorta, veloce, sicura e tattica. Quel volo a fine tappa è inspiegabile, a meno che non sia da attribuire al puro caso o a un calo di concentrazione punito troppo severamente. Poteva vincere Sunderland, Campione in carica e strano, temibilissimo animale da deserto. Anche in questo caso, un attimo, una compressione troppo forte. A casa. Pablo Quintanilla? Quasi certo, prima o poi, ma a questo giro troppi problemi, di salute, di errori. Vari.

Qualcun altro in arrivo? Sì, pare proprio di sì, ma ne riparliamo.

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