Dakar 2022. Piloti e Storie Speciali. Danilo Petrucci, Sì o No?

Debuttante, Pilota MotoGP catapultato tra le sabbie del Deserto. Per sua passione e scelta. È rivelazione, certezza, dubbio, sicurezza e dilemma. Premio e castigo. È quel che succede quando si scopre un fuoriclasse?
29 gennaio 2022

Jeddah, Saudi Arabia. Ancora Gennaio, ma verso la fine. Ripensamenti. Danilo Petrucci. Il debuttante, un debuttante del tutto speciale. Conclude la sua prima Dakar 2022 Arabia Saudita al 90° posto. Come il numero che porta sulla tabella della KTM Tech3. Al di là della cabala, cosa c’è di speciale?

Apparentemente nulla. Calma, calma, ce n’è eccome, di materia e umanità speciali. Petrucci entra dalla porta principale della Dakar nella Squadra ufficiale KTM Rally. Non ha un passato, passa dal nero e duro asfalto al chiaro, affascinante e durissimo Deserto. Un vecchio sogno di Pilota e appassionato senza confini di immaginazione che si realizza.

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Da dove viene? Da Terni. Si, ma volevo dire sportivamente… Danilo Petrucci si fa tutto in questo millennio. È campione italiano Mini Trial nel 1999, dal 2002 al 2004 campione regionale di minicross. Tutto nella norma se non fosse che, anima in pena, come si direbbe da noi, e Pilota eclettico aperto per vocazione alla sfida, nel 2006 passa alla pista e alla velocità.

Da lì un crescendo di carriera e di performance che lo porta a guadagnarsi sul campo i galloni della massima ufficialità, prima con Ducati e quindi con KTM. Non lo seguo che a distanza e a tratti, per i dettagli bisognerebbe riferirsi a Zam che lo ha visto crescere da vicino, ma da tifoso distratto lo fisso in due momenti chiave indimenticabili.

Sono due eventi scolpiti sulle tavole dei comandamenti: le vittorie ai templi del Mugello nel GP d’Italia del 2019 e di Le Mans al termine di un incredibile Gran Premio di Francia bagnato. Con quella vittoria Ducati rompe un incantesimo, a portarla nella storia è Petrucci. Associo Petrucci anche a una misteriosa, per me, convivenza con il Team satellite di KTM, conclusa in maniera che non mi sono mai preso la briga di chiarire (chiamiamo ancora Zam), ma che mi lascia un retrogusto cattivo. Sta di fatto che lo ritrovo al via della Dakar 2022.

L’inizio è un mini Calvario. Si fa male durante l’ultimo allenamento a Dubai, con la Squadra ufficiale, e arriva in Arabia zoppicante. Poi inizia il tira e molla per un tampone che risulta finalmente negativo giusto alla vigilia del Rally. Petrucci mi insegna subito che con lui bisogna stare in equilibrio tra sensazioni e vicende clamorosamente contrastanti. È la forma di attaccamento che scaturisce da una tremenda spontaneità, sono sicuro, qualità rarissima ma anche facile spina nel fianco.

Petrucci Pilota improvvisamente ufficiale alla Dakar esplode in un’incredibile gamma di cariche emotive, le sue e quelle che provoca in me e negli altri. È come un elastico che si tende, tra exploit e cadute, entusiasmi e paure, approvazioni e contrarietà, e non si rompe mai. L’ho percepito subito: è uno che ti fa stare con il fiato sospeso, che ti consuma. A volte ti viene da abbracciarlo, altre da dargli del cretino.

Vai piano!” Gliel’hanno detto tutti e in tutte le lingue, in tutti i modi dal parere all’autorità. Ciao! Il bello è che se l’è detto anche lui, da solo, da lui medesimo. Salvo poi ammettere che quando ti prende, quando vedi quella duna o quell’avversario… Dopo tre giorni sale sul podio, sorpresa e felicità, ma alla sera lo penalizzano per… eccesso di velocità, sorpresa e rabbia. Poco male, è un bene sennò due giorni dopo ti viene in infarto. Nella quinta tappa è il più veloce di tutti.

Vince, sfonda un’altra porta della storia: è il primo e unico Pilota ad aver vinto un Grand Prix e una Tappa della Dakar. Come quella volta al Mugello, fa impazzire gli italiani, li mette tutti sulle spine. Che succede ora? Che può fare di più? In cinque giorni ha già fulminato le esperienze caratteristiche di anni di Dakar: rimanere con la moto muta nel deserto, piazzarsi e vedersi penalizzare, vincere ed essere dietro, volare e cadere. Vincere! Frustato e frustrato,

Petrucci va avanti come un treno. S’incazza con sé stesso e con la moto, si complimenta con il Team e con sé stesso. È una fionda, nel bene nel male, una mitragliatrice di emozioni. Si fa male, oltre che alla caviglia, al polso, alla clavicola, al ginocchio, a una spalla. Quando non è una duna o una pozza di fesh-fesh, la trappola è un cammello nero. Come ammette alla fine, al rientro dovrà passare qualche tempo sul divano. L’ultimo giorno prova a imporsi di finire, soltanto finire. Per non farsi mancare nulla cade ancora una volta. Al traguardo non gli va di parlare, cinque minuti dopo è un fiume in piena.

Ora. Petrucci ha un contratto per correre la Superbike americana, mi dicono, con Ducati. Ha voglia di tornare alla Dakar, non c’è bisogno che me lo dicano. I sintomi del virus sono evidenti. Ora ha voglia in un modo, tra qualche mese avrà più voglia in un altro modo, più potente e irresistibile. Dubito che chi lo segue, chi gli da la moto e chi lo sostiene nella traversata dell’Atlantico sia d’accordo. Per ora c’è tempo, non è un problema impellente.

A proposito di Atlantico, bellissimo l’accostamento che ha immaginato: “La Pista è come Luna Rossa e la Coppa America, la Dakar è come la traversata dell’Atlantico in solitaria”. Sono sicuro che gli piace la vela, e che ha immaginato di misurarsi in un modo e nell’altro contro l’Oceano.

Deve tornare alla Dakar? E chi siamo noi per dirlo? Una cosa è certa: gli italiani lo acclamano. Gli italiani hanno riscoperto la Dakar. Non solo gli iper-appassionati, i malati. Da quanto tempo non c’era un italiano trascinatore? Questo ve lo posso dire io: oltre 15 anni.

Dunque ci tocca. Dakar. Petrucci sì o Petrucci no? Dipende. Se è per far qualcosa d’inverno, con cautela e senza obiettivi, è troppo tardi. L’ha già visto lui e abbiamo visto tutti il potenziale di Petrucci. Non si arriva e si vince, se non se ne hanno le capacità. E quelle qualità non sono di tutti, non si improvvisano, sono doti, talento. Naturale che venga da pensarci. Quindi il dilemma. Diventa anche una questione di carriera, di motivazioni qua e di stimoli là. Di proseguire su una strada o prenderne un’altra.

Non c’è una soluzione salomonica o di compromesso, pista e Dakar non sono due staffe sulle quali tenere i due piedi. Sulla nuova strada c’è da sistemare qualche buca, lavorare su qualche interruzione o intermittenza di controllo, su certi sensi unici pericolosi.

Mi viene in mente al volo un Pilota: Joan “Nani” Roma. 1996, arriva alla Dakar e dopo due giorni va in testa. Poi si sfracella, credeva che l’altra sponda del fiume in secca fosse sulla pista principale, invece c’era una deviazione. Colleziona sette ritiri in otto partecipazioni, un record. Nel 2004 vince con la moto, dieci anni dopo anche con macchina. Ecco, 25 Dakar, una carriera formidabile, una vita per la Dakar. Era un Campione dell’Enduro, ha cambiato vita, spostato la mira.

Torniamo a Petrucci. Chissà quanti si saranno già sentiti in dovere di consigliarlo, di dirgli cosa deve fare. Strano ma vero, la storia ce lo insegna: più uno è bravo e più riceve consigli. Al brocco che ne avrebbe ben bisogno, nisba.

Quindi me ne sto zitto... però mi permetto un’ultima idea. Tanti moti emotivi, dell’anima e d’interesse sono un frutto della passione più che della competenza. E per la verità questa virtù spontanea è attendibile e si scatena solitamente in un caso certo: quando si è in presenza di un fuoriclasse!

 

© Immagini ASO Mediateque - KTM – PB - Red Bull Content Pool

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