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Yanbu, Arabia Saudita, 19 Gennaio 2024. Carlos Sainz e Lucas Cruz, Audi, primi, Guillaume de Mevius e Xavier Panseri, Toyota, secondi a venti minuti, Sébastien Loeb e Fabien Lurquin, Prodrive, terzi a mezz’ora.
È una storia talmente simile e emblematica, quella che lega il vincitore della Dakar Moto e Dakar Auto alla storia delle rispettive Squadre vincenti, che il cappello lo copio e lo incollo. Le breaking news esplodono, annunciano, confermano. È appena giorno e la notizia dilaga. Ricky Brabec, Honda, ha vinto la Dakar delle Moto, e, poco dopo, Carlos Sainz, Audi, ha vinto la competizione delle Auto. Son due vittorie a mio giudizio sensazionali, stratosferiche, perché esprimono un corpo di impegno di Squadra straordinario, un programma con obiettivi intransigenti andato perfettamente a segno. È bravura del “sistema” che moltiplica le componenti individuali, che amplifica il valore della vittoria personale. Talmente perfetta, così ben congegnata da risultare in una globale umiliazione degli avversari sconfitti. Sappiamo che non sono tutte “colpe” quelle che portano a una sconfitta alla Dakar, ma l’effetto di contrasto delle vittorie di Honda e di Audi è forte, quasi violento. Complimenti, congratulazioni. Non si sarebbe potuto dire. Immaginare, forse, ma dire mai.
Adesso volano nella rete e nell’etere le immagini e gli “autori” di quelle vittorie, Brabec al secondo successo, fedeltà Honda premiata doppiamente, Sainz al quarto con la quarta Macchina della sua seconda vita di leggenda della Dakar. Le breaking news che sanciscono il risultato finale hanno anche il sapore di un verdetto liberatorio, che arriva dopo 2 settimane di camera di consiglio, di proiezioni, di illazioni, di colpi di scena e imprese, di valanghe di emozioni, di gioie e di dolori, di soddisfazioni e di delusioni cocenti.
Le Auto. Quale che sia l’importanza dei ruoli all’interno della squadra, di ogni Squadra impegnata alla Dakar, l’espressione della riuscita si concentra nel nome e nella figura del vincitore, del super umano il cui identificativo è il primo riferimento, la prima informazione esaustiva, definitiva. Se parliamo di Moto, ha vinto Ricky Brabec, Honda. Se parliamo di Auto, ha vinto Carlos Sainz, Audi.
Poi le storie si dividono, prendono strade differenti ma è come se fossero state scritte, elaborate da un unico sceneggiatore, uno scrittore amante della perfezione, delle cose fatte bene, della logica del bene prevalente sulla illogicità delle armate Brancaleone, simpatiche ma inopportune quando si parla di poste in gioco così alte. Une delle premesse stonate dei primi giorni della Dakar 2024 delle Auto è la strana uscita di Rolf Michl, Head of Audi, che conferma l’uscita della Marca dalla scena della Dakar al termine dell’edizione 2024. Come dire: ragazzi, è l’ultima occasione, di vincere. L’aspetto stonato della vicenda nella vicenda è che il programma era chiaro sin dall’inizio, 3 anni, e che l’annuncio dell’uscita di scena era già stato fatto a metà dell’anno scorso. Tutto chiaro, tutti dovevano considerarsi informati. C’era bisogno di ribadire in pieno inizio di Dakar? C’era forse bisogno di un’ulteriore iniezione di timoli agli Equipaggi? Una minaccia? Boh, stiamo parlando di super professionisti. Sono sicuro che Carlos Sainz si è sentito offeso, e probabilmente nella sua vittoria c’è un dentino avvelenato.
Sta di fatto che, pronti via, le RS Q e-tron vincono, prologo con Ekstrom e 2a Tappa con Peterhansel, e vanno in testa al Rally. Chi l’avrebbe mai detto? Sainz. In testa Sainz. Di una certa competitività delle Audi si era sentito parlare parecchio, ma lo si era visto a sprazzi. Si sapeva anche che le “ibride” di Ingolstad erano già forti sul passaggio delle dune, coppia immediata, mancanza dell’interruzione di “fornitura di energia” del cambio. Però le due Dakar di Audi erano state minimizzate dal resto delle… Dakar, in gran parte “ambientate” sulle dure pietre. Poi c’erano in ballo vecchi e rinnovati obiettivi da parte della Concorrenza. Al Attyah aveva lasciato Toyota e aveva raggiunto Loeb e Prodrive in un multi-programma che, ora, appare tutto da ridiscutere ma che, allora, post Baja Aragon, sembrava il risultato di una scelta oculata in direzione della Macchina ritenuta vincente, Prodrive, appunto. Toyota aveva rimediato allargando la rosa dei giovani, Seth Quintero, Guillaume de Mevius, e confermato Moraes, terzo lo scorso anno, Al Rajhi, in fondo un fedelissimo e veloce aficionado, e il “senatore” De Villiers uno che ormai non si vede mai ma c’è sempre. L’avversario da battere, per tutti e prima di tutti era, è e sarà sempre Sébastien Loeb, bandiera e ostinato ambassador Prodrive nonostante le batoste subite.
Le versioni di Carlos Sainz sono le più disparate. C’è chi lo considera burbero e scontroso, chi incostante, chi un lord spagnolo, chi un gentleman. Allora ve lo dico io chi è Carlos Sainz Cenamor, Madrid, Aprile 1962. Carlos Sainz senior è un intransigente. Con sé stesso prima di tutto, e di conseguenza con gli altri. È una persona che rifugge dalla banalità e dai luoghi comuni, che tratta con la sostanza ed evita la superficialità. È un talento, qualità che ha coltivato per tutta la vita. Ha intuito e competenza tecnica spaventosi e, dal punto di vista agonistico e della carriera, è perfettamente inutile e offensivo che sia io a ricordarvi chi è. Se ci concentriamo sulla Dakar, seconda vita leggendaria del “Matador”, è però pertinente sottolineare che ha vinto quattro volte con 4 Macchine diverse. Con la Volkswagen “finto buggy” dei primi anni del secolo (i tedeschi di allora ci misero ben 6 anni per vincere il Trofeo Touareg con l’omonima Race Touareg 4x4, con De Villiers, poi Carlos e infine al Attiyah), con la Peugeot DKR 3008 (prima 2008) di Mago Bruno Famin, con la Mini declinata ostinatamente da Sven Quandt e, ora, con la Audi RS Q e-tron nata “finta elettrica” (così tentarono, tre anni fa, di farci bere quella che era comunque un’avveniristica, rivoluzionaria “ibrida”). Per certi casi metto la mano sul fuoco, ma giurerei che nella svolta vincente di ciascuna di queste Macchine c’è lo zampino e l’estro del Matador.
Poca impressione quando, è il terzo giorno, in testa va Yazeed Al Rajhi, tutta la nostra simpatia ma il saudita è un… testone, troppi errori in carriera. Proprio per questo, tuttavia, la sua leadership è credibile, diciamo che fa pensar a una specie di conversione, tra l’altro confortata da una piccola serie. Fino all’Empty Quarter. Eccoci! Adesso vi racconto del granchio che ho preso e di come, grazie al… granchio, la Dakar ha cambiato volto da quella sesta, doppia tappa andata in scena nell’Empty Quarter. Ci si arriva con lo spauracchio di un Deserto mangia-macchine-piloti-equipaggi. Una frontiera tremenda boia raccontata in lungo e in largo nelle edizioni precedenti, ma mai così terribile come veniva dipinta. Niente a che vedere con certe due giorni in Mauritania, come certi giorni da incubo in Bolivia o certe “condanne” in Africa Nera, insomma. Una volata divertente tra le dune e via, questa era stata la realtà. Fino a quel 10 Gennaio! Invece qui entrano in scena le tre verità che hanno cambiato la Dakar. Le tre ave marie della 48H Chrono. Uno. La promessa di David Castera - “Sarà la più dura!” - mantenuta (ma ho il sospetto che la 48H sia un’idea di Edo Mossi). Due. L’eccezionale, strabiliante competitività dell’evoluzione Audi RS Q e-tron “macchina-da-dune”. Tre. La raffinata, straordinaria, coraggiosa strategia di Carlos Sainz. Un genio! Nell’anello di Shubaitah, 170 chilometri di “prova generale” di Empty Quarter, Sainz va “scandalosamente” piano. Addirittura si ferma in compagnia di “Peter” prima del traguardo per lasciar passare altri 5 minuti. Morale, il suo ordine di partenza per l’imminente due giorni di “inferno” è 26° a dieci minuti dal vincitore Al Attiyah, il quale a sua volta si avvicina pericolosamente a Al Rajhi.
Si entra nella 48h Chrono, un giorno e mezzo i più bravi per uscirne. Non tutti indenni. È vero, Al Attiyah incontra un altro dei problemi dell’aneddotica delle Prodrive (per esempio motore), e Al Rajhi si schianta inspiegabilmente dopo 50 chilometri e piega a libro la sua Toyota. Gara finita per entrambi. Al Attiyah si i*****a come una belva, ammette di “Aver imparato delle cose a questa Dakar che non si ripeteranno mai più nella vita!” Si direbbe un anatema, e torna a casa. Al Rajhi consegna le chiavi del suo strabiliante motorhome a Carlos Sainz, in una specie di simbolico, simpatico passaggio definitivo di consegne. Più di tutto, più dell’immaginabile, Carlos Sainz spinge la sua Audi e il suo talento verso un risultato stellare. Non riesce a vincere la Tappa, c’è sempre un Loeb “cannibale” in agguato, ma passa al comando del Rally e infligge agli avversari rimasti in pista una punizione storica: venti minuti a Moraes e mezz’ora a Loeb. Forse quell’annuncio di Rolf Michl era solo un promemoria. La “promessa” di Audi è mantenuta, l’evoluzione della ibrida, trasmissione elettrica, “carica” termica, ha prodotto il risultato progettato e vinto la sfida rivoluzionaria. Probabilmente la RS Q e-tron resterà un monumento, magari molte delle sue tecnologie si trasferiranno sulle nostre vetture di tutti i giorni. La gara è decisa, ma non ci si deve credere ancora. Resta Loeb, l’indomabile, il fuoriclasse che ha collezionato 4 podi e 24 Speciali vinte in sette partecipazioni.
Carlos Sainz può gestire, questo è chiaro e solo lui sa come si fa a mantenere una posizione del genere per l’ultima metà della Dakar 2024. Loeb ci prova. Divora metà dello svantaggio a Al Duwadimi, è il giorno del brivido gelato per Sainz che fora tre volte e deve attendere un’eternità prima che arrivi Ekjstrom a a salvargli… la Dakar. Loeb si mantiene in scia a Ha’Il, torna a vincere nel successivo anello di Ha’Il, è ancora secondo, ma dietro a Sainz, a Al Ula. La successiva, penultima Tappa alla volta di Yanbu, è fatale a Loeb. Il francese rompe il triangolo della sospensione anteriore destra al KM 132. Vede passare Sainz, lo saluta, qualcuno vede un atto di sottomissione, e saluta anche la sua ottava Dakar, che gli porterà un altro, frustrante podio ma niente di più che sia coerente con le sue ambizioni. È il trionfo di Carlos Sainz, è il trionfo di Audi che chiude il progetto con la vittoria “programmata”, annunciata, “richiamata all’ordine”.
Per me è il trionfo di un uomo e di un pilota al di sopra delle circostanze, delle Marche, delle situazioni più delicate. Un genio, l’ho già detto, non solo del volante!
Si parlerà ancora di alti e bassi, di campioni e frustrati, di scelte vincenti e di errori madornali, ci si ricorderà di Eugenio Amos e Paolo Ceci, soprattutto di Laia Sanz e Maurizio Gerini, si celebreranno Xavier de Soultrait, SSV, e la strabiliante Cristina Gutierrez, Challenger, di Macik, Tomasek e Svanda, IVECO, di Traglio e Bedeschi dietro a Santaolalla tra le Classic, ma questa deve essere la pagina di un mito, Carlos Sainz!
© Immagini © Immagini Prodrive, Honda Monster, ASO Media, Red Bull Content Pool, DPPI, RallyZone, Ford, ItalTrans Media, Astara
Dakar Arabia Saudita 2024 Classifica Generale Finale Assoluta
AUTO
1. 204 - C. SAINZ (ESP). AUDI | RS Q E-TRON E2. 48h15m18s. +00:00:00
2. 221 - G. DE MEVIUS (BEL). TOYOTA | HILUX OVERDRIVE. 49h35m43s. +01:20:25
+01:29:1249h44m30s. 3. 203 - S. LOEB (FRA). PRODRIVE | HUNTER.
+01:35:5949h51m17s. TOYOTA | HILUX OVERDRIVE. 211 - G. CHICHERIT (FRA). 4.
+02:16:4350h32m01s. FORD | RAPTOR. 208 - M. PROKOP (CZE). 5.
+02:40:3350h55m51s. TOYOTA | GR DKR HILUX. 243 - G. BOTTERILL (ZAF). 6.
+02:50:2651h05m44s. TOYOTA | GR DKR HILUX. 209 - G. DE VILLIERS (ZAF). 7.
8. 223 - B. VANAGAS (LTU). TOYOTA | HILUX. 51h12m35s. +02:57:17
9. 206 - L. MORAES (BRA). TOYOTA | GR DKR HILUX. 51h18m30s. +03:03:12
10. 212 - M. SERRADORI (FRA). CENTURY | CR6-T. 51h19m30s. +03:04:12
15. 238 - L. SANZ (ESP). ASTARA | CR6-T. 53h09m04s. +04:53:46
24. 260 - A. SCHIUMARINI (ITA). CENTURY | CR6. 62h18m20s. +14:03:02
31. 227 - E. AMOS (ITA). TOYOTA | HILUX OVERDRIVE. 65h56m36s. +17:41:18