Dakar, donne… in cerca di guai: Laia Sanz

Dakar, donne… in cerca di guai: Laia Sanz
Non c'è soltanto Camelia Liparoti. Il gentil sesso ha colpito ancora. Non solo grandi protagoniste all’arrivo. Laia Sanz, che ha seminato il panico tra i colleghi, ha fissato un nuovo, temibile punto di riferimento | P. Batini
2 febbraio 2015

Punti chiave

Camelia Liparoti, un metro e sessanta per 47 chilogrammi, ha concluso la gara dei quad al quindicesimo posto. Ma al diciottesimo posto, l’ultimo dei classificati dei piccoli quattro ruote, troviamo Paula Galvez, uno “scricciolo” di 1 metro e mezzo per 43 chili. Per dare un’idea della forza della formichina basta pensare che il Can-Am con il quale la maestrina cilena ha tagliato il traguardo di Buenos Aires pesa più o meno otto volte, ma non c’è dubbio che è stata la ragazza a portare il quad all’arrivo, e non viceversa. Al 52° posto della classifica delle moto, poi, c’è finalmente Rosa Romero, madre dei tre figli, e sposa, del doppio vincitore della Dakar, in moto e in auto, Joan “Nani” Roma. Dico finalmente perché Rosa era al quarto “tentativo”, dopo i tre precedenti andati a vuoto, e concludere la Dakar era un antico “pallino” diventato una sfida personale da vincere a tutti i costi. Fatta. Non credo vi siano dubbi: ragazze come queste meritano un’ovazione. Hanno dato mostra di una forza mentale non comune.

E poi c’è Lei, la bellissima ex principessa delle dune, Laia Sanz. E diciamo ex perché nessun’altra può essere la regina di questa Dakar. Abbandonato definitivamente il trial, ma non prima di aver conquistato 13 titoli di campionessa del mondo, Laia era già passata all’enduro, conquistando gli ultimi tre mondiali, e quindi ai rally nel 2010, giusto in tempo per partecipare alla sua prima Dakar, nel 2011, conclusa al 39° posto. Fin lì niente di “strano”, è così nelle due edizioni successive in cui la Sanz non era riuscita a migliorare il risultato finale. Già l’anno scorso, tuttavia, il 16° posto ottenuto aveva sollevato un mezzo vespaio, perché naturalmente il risultato era apprezzabile, soprattutto dai colleghi maschi, anche in valore assoluto, ed aveva avuto come effetto il fatto, abbastanza clamoroso, che la catalana fosse chiamata a far parte del Team HRC. Poi la storia di Laia Sanz dilaga in un’escalation stupefacente. È sua la quinta Honda 450 Rally 2015 ufficiale schierata dal Team HRC, e suo, infine, il 9° posto assoluto al termine della 37ma Dakar, strabiliante e “storico”. Non basta, dopo essere uscita indenne dalla trappola del Salar di Uyuni, la Sanz ha concluso la Uyuni-Iquique al quinto posto assoluto, ma era entrata nel tratto finale di dune con il terzo tempo!

 

 

Sono riuscita a partire davanti. È stata la mia fortuna, perché ho evitato la tormenta di acqua e sale sollevata dalle nostre moto, e la mia si è salvata. Sono uscita dal salar che non sentivo più le mani, erano congelate

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E allora Laia, complimentissimi! Partiamo proprio dalla Uyuni- Iquique. Come hai vissuto la tua tappa storica?
«Per la verità io facevo parte di quel gruppo di piloti che erano più arrabbiati, che non volevamo partire. Sinceramente pensavo che non si partisse, ma quando siamo arrivati lì c’erano il presidente della Bolivia, Evo Morales, e Etienne Lavigne che cercava di convincerci che era bello! Ero arrabbiata. Alla fine siamo partiti, e io sono riuscita a partire bene. Era uno start in linea, tutti insieme, e sono riuscita a partire davanti. È stata la mia fortuna, perché non avendo nessuno davanti ho evitato la “tormenta” di acqua e sale sollevata dalle nostre moto, e la mia si è salvata. Sono uscita dal salar che non sentivo più le mani, erano congelate. Sono arrivata al refueling, sono riuscita a scaldarmi un po’, e lì ho visto il disastro. Moto che non andavano più, Piloti con problemi di tutti i tipi. Lo sapevo, a me è andata bene, ma non era giusto partire. Sapevo che potevo fare una bella tappa, ero partita ottava o nona, e mi sono ritrovata all’uscita dalla Bolivia che ero terza. Siamo scesi in Cile, faceva più caldo, e poi sono arrivate le dune, gli ultimi 39 chilometri. In quella posizione, stavo per giocarmi il podio di tappa, forse avrei potuto spingere un po’ di più, ma nel finale, quando Toby Price e Pablo Quintanilla mi hanno passato fortissimo, ho ricominciato e pensare, più ragionevolmente, alla gara e non più alla tappa».

Per quanto tu veda tutto in modo così disarmante, resta il fatto che sei stata protagonista di una vera e propria impresa. Per te, per la squadra e per Honda. Diciamo la verità, te lo aspettavi?
«No, non me l’aspettavo. Prima di partire mi pareva già molto difficile riuscire a fare come l’anno scorso, e durante la prima settimana, con tutta la fatica che facevamo, avevo iniziato a pensare che sarebbe stato difficile anche finire nei venti. Non me l’aspettavo, ma poi ho iniziato a vedere che pur mantenendo un ritmo molto regolare e senza prendere rischi inutili, “c’ero”, iniziavo a stare lì davanti, quasi comodamente. Mi sono detta che stavo facendo una gara intelligente».

 

Tutto questo lo devi al talento e alla tua preparazione specifica soltanto, o anche alla nuova Honda ufficiale?
«Beh, la Moto non si discute, è andata molto bene ed era molto più performante e facile da guidare rispetto alla versione dell’anno precedente. È chiaro che la Moto è stata molto importante. Poi è stato importante il fatto che, a differenza degli altri anni, già all’inizio dell’estate sapevo che avrei fatto parte del team. Immediatamente ho avuto una rally a casa, una bella sicurezza per potermi allenare e prepararmi, una base formidabile, e siamo stati quasi un mese in Marocco, altro punto a favore importante. Poi c’era l’esperienza degli anni scorsi. Direi che devo il risultato un po’ a tutti questi motivi. Se poi volete metterci anche il talento…».

Beh, dicci tu come lo definiresti, allora. Dunque, adesso bisogna avvertire e mettere in allarme anche i Coma, i Barreda?
«
Certo no. Migliorare ancora è molto difficile, perché un anno così… perfetto è difficile che possa ripetersi. E poi molti hanno avuto un sacco di problemi. Beh, questo accade tutti gli anni, alla Dakar. Penso che io possa progredire ancora, come pilota, ma questo non significa che automaticamente posso migliorare anche il risultato. Ho ancora un po’ di margine per migliorare fisicamente, per imparare e per andare più veloce, questo sì».

Il dopo Dakar è un po’ la sagra dei passaggi dalle moto alle auto. Fai anche tu quello che sembra essere il sogno collettivo dei “dakariani”?
«
Le auto mi piacciono tantissimo, da sempre, questo è vero, e vorrei sperare di avere anch’io l’opportunità di passare alle quattro ruote. È un modo bello per allungare la carriera sportiva. Ma, giustamente, più avanti».

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